Regolamento formazione iniziale degli insegnanti, un'occasione perduta
Data: Mercoledì, 22 settembre 2010 ore 08:43:28 CEST Argomento: Rassegna stampa
Il nuovo
regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti fornisce
un’ulteriore conferma della vacuità politica del Ministro Gelmini.
Questa è una della poche materie in cui il Ministro ha deciso senza
essere sotto il comando dei tagli ordinati da Tremonti. Avrebbe quindi
potuto fornire qualche prova dei sui proclamati intenti di
modernizzazione della scuola. Invece tutti i nodi che si è trovata di
fronte o li ha lasciati irrisolti o li ha sciolti in senso
conservatore. Parliamo di una di quelle vicende – la formazione
iniziale degli insegnanti – in cui la politica scolastica italiana ha
accumulato enormi ritardi. Solo i decreti delegati del 1974
(conquistati con la minaccia di sciopero generale dei sindacati
confederali) stabiliscono finalmente che per insegnare è necessaria una
formazione specialistica e universitaria. Passano però altri 16 anni
prima che il Ministro dell’Università Ruberti predisponga i percorsi e
si deve aspettare il 1998 per trovare un Ministro dell’Istruzione –
Berlinguer naturalmente – che metta in atto questa riforma. Prendono
così avvio i corsi di laurea in scienze della formazione primaria e le
scuole di specializzazione per l'insegnamento nelle scuole secondarie
(SSIS). Finalmente, con il nuovo millennio, anche in Italia per
diventare insegnanti di deve conseguire una formazione alta
(universitaria anche per i docenti della scuola dell’infanzia ed
elementare) e specialistica (anche i docenti della secondaria devono
conoscere oltre alle discipline anche le scienze dell’educazione). E
soprattutto tutti i docenti devono acquisire competenze professionali
specifiche per l’insegnamento attraverso l’interazione
scuola-università: tirocini, laboratori e ricerca didattica.
Inutile dire che siamo di fronte a una delle condizioni essenziali per
elevare la qualità della scuola italiana. È altrettanto evidente che
questi cambiamenti, davvero epocali, non potevano non incontrare
difficoltà e ostacoli nella loro prima attuazione. Nella concreta
attuazione molti ambienti universitari hanno fatto prevalere un
atteggiamento ostile alla formazione professionalizzante e alla
collaborazione con il mondo della scuola: l’integrazione tra teoria e
pratica spesso non si è realizzata, le relazioni tra i docenti
universitari e i supervisori (gli insegnanti esperti che collaboravano
con l’università) sono state difficili così come quelle tra università
e istituzioni scolastiche in cui si sono svolte le attività di
tirocinio.
Una innovazione difficile, quindi, che non è stata, per altro,
sostenuta dalla continuità politica, visto che già nel 2001 il Ministro
Moratti annunciava la chiusura delle SSIS (senza per altro mai riuscire
ad attuare il suo nuovo decreto).
Il ministero Fioroni riprende la questione nella Finanziaria 2008,
abroga i provvedimenti Moratti e stabilisce la definizione, mediante
regolamento ministeriale, della formazione iniziale e del reclutamento
del personale docente, attraverso concorsi ordinari, con cadenza
biennale (comunque salva la validità delle graduatorie ad esaurimento).
Il governo Prodi però cade prima del varo del Regolamento attuativo.
L’attuale governo, con la legge 133/2008, sopprime le SSIS, ma non
abroga le nome varate da Fioroni e affida la definizione della nuova
formazione degli insegnanti ad un gruppo di lavoro coordinato dal Prof.
Israel.
Il provvedimento varato dal Ministro Gelmini non affronta i nodi della
formazione iniziale degli insegnanti emersi dall’esperienza di questi
anni, ma ne accentua i difetti e le disfunzioni.
Il Regolamento definisce nuovi percorsi per la formazione iniziale
degli insegnanti: 5 anni di università, comprensivi del tirocinio, per
insegnare nella scuola dell’infanzia e primaria e 6 anni (5 di
università e 1 di tirocinio) per insegnare nella scuola secondaria
inferiore e superiore. Percorsi lunghi e impegnativi cui non
corrisponde alcuna prospettiva sulle modalità di assunzione. Il
decreto, infatti, non mette in relazione la nuova formazione iniziale
dei docenti con nuove forme di reclutamento necessarie per offrire
prospettive più certe ai giovani che scelgono di diventare insegnanti e
ai precari che da anni attendono di essere stabilizzati.
Inoltre i percorsi sono fortemente differenziati: per la scuola
primaria e dell’infanzia sono previsti percorsi quinquennali a ciclo
unico, mentre per la secondaria inferiore e superiore si prevede, dopo
la laurea disciplinare triennale, un corso di laurea magistrale
biennale ed un successivo anno di tirocinio formativo attivo. Questa
scelta di differenziare nettamente i percorsi per la scuola primaria da
quelli per la secondaria contraddice l’obiettivo “storico”
dell’unitarietà della funzione docente; in questo modo diventano
impossibili anche i «passaggi» degli insegnanti da un ordine all’altro
di scuola.
L’impianto culturale complessivo della formazione è pesantemente
sbilanciato a favore della formazione disciplinare teorica e a
discapito di quella pedagogico-didattica. Questa scelta è in netto
contrasto con il profilo del docente indicato dall’Unione Europea,
fondato su un curricolo formativo integrato tra teoria e pratica, tra
laboratori e tirocinio, che poggi su tre gambe: psicologia, discipline
e pedagogia, in una logica d’integrazione tra i tre elementi.
Nella formazione dei docenti della scuola secondaria si accentua la
formazione disciplinare teorica, la pratica didattica è confinata
nell’anno finale di Tirocinio Formativo Attivo (TFA). L’attività di
tirocinio, ridotta ad un solo anno rispetto ai due delle precedenti
Scuole di Specializzazione (SSIS), è un’isola non comunicante con il
biennio magistrale: appare difficile, in un tempo così compresso,
sviluppare attività di ricerca-azione, invece essenziali per la
formazione di un profilo docente con capacità di riflessione sulla
pratica didattica, di ricerca e di apprendimento permanente.
Nella scuola primaria torna una formazione coerente con il modello del
“maestro unico tuttologo”, cui la Gelmini vorrebbe tornare superando “i
modelli del tempo pieno e dei moduli”, fondati invece sulla
specializzazione dei docenti solo su alcune discipline: a questo fine
il percorso formativo dei futuri insegnanti della scuola primaria è
imbottito di discipline in una logica enciclopedica e nozionistica, a
discapito della qualità della didattica,
Alla compressione della formazione professionalizzante corrisponde un
ruolo subalterno della scuola nei confronti dell’università: non sono
valorizzate le competenze maturate sul campo nemmeno nella
progettazione delle attività di tirocinio formativo attivo, dove alle
istituzioni scolastiche autonome non è riconosciuto un ruolo
paritetico. Nel decreto è, infatti, attribuito all’università un ruolo
preponderante nella regia della programmazione e nella conduzione dei
laboratori e del tirocinio, nella designazione dei docenti esperti per
i laboratori, nella valutazione finale del tirocinio e nell’esame
abilitante. Le istituzioni scolastiche nel loro insieme non
rappresentano un interlocutore per l’università, ma si limitano alla
presa d’atto delle designazioni dei tutor.
Infine il regolamento ignora del tutto l’istruzione degli adulti,
nonostante la sua riorganizzazione, attraverso l’istituzione di unità
scolastiche specifiche e autonome (centri provinciali per l’istruzione
degli adulti), esiga la formazione di insegnanti con competenze
specialistiche. (Da ScuolaOggi)
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