CHI HA PAURA DELLE PROVE DELL'INVALSI
Data: Giovedì, 17 marzo 2005 ore 06:00:00 CET
Argomento: Opinioni


CHI HA PAURA DELLE PROVE DELL'INVALSI? Basta solo pronunciare il termine valutazione perché scatti il riflesso condizionato dell’opposizione furibonda senza-se-e-senza-ma, che rifiuta di sottoporsi alla fatica di discriminare il grano dal loglio, di evidenziare i punti deboli di una procedura valutativa, i punti addirittura negativi, ma anche quelli indispensabili a misurare la qualità del nostro sistema di istruzione, degli insegnamenti, degli apprendimenti e degli standard del servizio. Si invoca a gran voce l’autonomia delle istituzioni scolastiche, anche da parte di quelli che si sono ben guardati di “approfittare” nella quotidianità della funzione docente delle enormi potenzialità dell’innovazione più rivoluzionaria nella scuola italiana, ma del DPR 275/99 si vorrebbero utilizzare solo “brani scelti” e non l’intero complesso delle norme. Autonomia è esercizio di responsabilità non colpo d’ala per qualunque esperimento estemporaneo. Non è il Ministro Moratti ad avere inventato il sistema nazionale di valutazione e le rilevazioni periodiche degli apprendimenti. Il punto infatti è proprio questo: sottoporre a prove di verifica degli apprendimenti gli alunni rientra nelle funzioni proprie dell’Invalsi o è un’invasione di campo assoluta dell’autonomia organizzativa e didattica delle scuole? Noi riteniamo che in questo caso non vi sia uno sconfinamento pericoloso, ma solo alcune rigidità procedurali che l’intelligente azione degli insegnanti e dei dirigenti potranno/dovranno correggere. L’autonomia didattica ed organizzativa delle istituzioni scolastiche riguarda la definizione dei percorsi didattici, l’articolazione del monte ore riservato alle varie discipline, la scelta delle metodologie e degli strumenti didattici, le decisioni in merito all’utilizzo dei docenti (art. 4 e 5 del DPR 275/99), ma non vuol dire affatto sottrarsi a quello che prescrive lo stesso Regolamento sull’autonomia. E’ competenza del Ministero definire gli standard relativi alla qualità del servizio e gli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni (art.8). E ancora: “Per la verifica del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento e degli standard di qualità del servizio il Ministero della Pubblica Istruzione fissa metodi e scadenze per rilevazioni periodiche (…) Le rilevazioni sono finalizzate a sostenere le scuole per l'efficace raggiungimento degli obiettivi attraverso l'attivazione di iniziative nazionali e locali di perequazione, promozione, supporto e monitoraggio” (art.10). Qui le cose stanno in modo ben diverso dalla questione del tutor. Con l’introduzione della figura del tutor si verrebbe infatti a delineare una diversa “figura docente”, non prevista all’interno degli attuali accordi contrattuali sul personale docente, ma neppure nella stessa legge delega Moratti (L.53/2003) . Verrebbe modificata cioè radicalmente l’attuale organizzazione del lavoro e verrebbe introdotta una differenziazione nella categoria in assenza dei necessari presupposti e passaggi legislativi e contrattuali. In questo caso siamo di fronte invece ad un’operazione di “ordinaria amministrazione” che rientra pienamente nel campo d’azione e nelle funzioni dell’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione (il Servizio nazionale di valutazione è stato istituito nel 1999, al posto del preesistente Cede e riordinato con decreto legislativo del 28.10.2004, in applicazione della legge delega 53/2003). Possiamo comprendere lo sbigottimento e l’ansia di molti insegnanti che si sentono invasi dall’Invalsi per almeno 3 giorni, ma non è certo con accorate espressioni tardo-romantiche (“addio sogno di una scuola di base per la nascita del pensiero e del sapere che si distendono in un tempo e in uno spazio culturale costruito insieme con tutte/i; addio didattica libera di snodarsi in sincronia con i meandri della mente di bambine e bambini e con le loro azioni, le quali, a occhi inesperti, sembrano “sconclusionate” e “improduttive”, in quanto non possono stare “dentro” ad alcuna prova di verifica”…) che si può invalidare l’Invalsi. Varrebbe forse la pena di considerare che la decisione, da parte del Ministero, di introdurre prove oggettive di valutazione è in linea con coloro, noi tra questi, che ritengono doverosa la determinazione, per evitare le valutazioni “fai da te”, dei livelli essenziali delle prestazioni che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il Miur, in altri termini, entra in felice contraddizione con se stesso, perché avvalora la nostra preferenza per l’idea di curricolo, di programmazione, di prove oggettive rispetto alla scuola vagheggiata dalla riforma della personalizzazione dei percorsi e degli esiti e degli obiettivi commisurati alle inclinazioni delle famiglie. Occorre tra l’altro ridimensionare drasticamente la portata ed il significato di queste prove: esse non sono il “giudizio di dio” e nemmeno una valutazione della professionalità dei docenti (che pure resta un problema aperto), sono semplicemente una “prova” che dovrebbe servire a verificare se alcuni risultati sono stati raggiunti o meno. Il punto debole di questa operazione semmai è il fatto che il Miur non ha ancora provveduto a definire i livelli essenziali delle competenze, gli standard di apprendimento che gli alunni dovrebbero raggiungere alle varie fasce di età e di classe. Come pure il fatto, detto e ridetto, che le Indicazioni nazionali hanno valore provvisorio e che non sono programmi nazionali o curricoli disciplinari vincolanti. E’ lo stesso Ministero a precisare, a questo proposito, che “la somministrazione dei test dovrà derogare, in fase transitoria, dai tempi previsti dalle Indicazioni nazionali che assumeranno carattere obbligatorio a decorrere dall’a.s. 2005-2006” (Direttiva del 12.7.2004). E’ chiaro che manca, da questo punto di vista, un presupposto importante sul piano pedagogico e didattico per poter considerare queste prove rigorose e coerenti. D’altra pare è pur vero che la scuola italiana non è nata ieri, oltre alle Indicazioni vi sono i Programmi del 1985 e la stessa esperienza di programmazioni e verifiche di tantissime scuole, oltre ai Progetti Pilota 1-2-3 dello stesso Invalsi degli ultimi tre anni. Che sarà mai individuare prove che possano verificare alcune abilità, relative ad esempio alla comprensione della lettura, di bambini di una seconda o quarta classe? Una correzione intelligente, purché condotta con responsabilità e con misura, è possibile senza stravolgere il senso dell’iniziativa nazionale, ma utilizzando professionalmente, e senza furbizie italiche, le stesse opportunità di autonomia funzionale suggerite dal manuale Invalsi. Si può, secondo noi, responsabilmente estendere, nei limitatissimi casi in cui è strettamente necessario, l’area delle prove personalizzate oltre i confini dell’utenza disabile o di lingua madre diversa per adattare le prove al contesto e non il contesto alle prove. Ma il tutto deve avvenire senza stravolgere il rigore metodologico del percorso (rispetto dei tempi, delle date, delle procedure). E senza neanche strapparsi le vesti, con un ritorno ad un pargoleggiamento fuori misura, per la scelta di affidare ad un maestro di classe diversa l’effettuazione della rilevazione o per l’utilizzo del verbo somministrare, che è di uso comune nella pedagogia contemporanea. In ogni caso, eventuali e probabili limiti potranno essere rilevati dopo aver visto le prove stesse e dopo averle somministrate. Allora si potrà dire se sono attendibili o meno, se vi è uno scarto troppo ampio con la programmazione didattica delle classi, se le stesse modalità di attuazione sono corrette. Insomma solo da una sperimentazione allargata possono risultare elementi positivi, punti critici o possibili errori, indicazioni utili peraltro proprio per correggere eventualmente il tiro. Detto questo, messi in evidenza tutti i limiti di questa operazione, deve essere altrettanto chiaro che non ha senso un rifiuto aprioristico delle prove. Preoccupa infatti la tendenza - questa sì pericolosa - a confondere l’autonomia scolastica con l’anarchia o con il liberismo selvaggio, a perdere di vista il fatto che esiste un piano di legalità, un sistema di regole e di norme che nella scuola pubblica e in uno Stato di diritto va rispettato, pur avvalendosi contestualmente di un approccio psicopedagogico e sociologico all’interpretazione delle norme stesse. Non vorremmo che dietro alcune posizioni di rifiuto o di opposizione alle prove Invalsi si celasse in realtà una sorta di allergia, di rifiuto di ogni, benché minima, forma di valutazione. Non è questa la nostra posizione. Di fronte alle prove Invalsi avremo un atteggiamento laico, razionale e disincantato: ne prenderemo conoscenza, le “sperimenteremo” e rivendicheremo il diritto da parte del mondo della scuola di esprimere le proprie valutazioni di merito circa la loro consistenza e affidabilità. Valutare le stesse prove di valutazione quindi, ma nel rispetto, ripetiamo, di disposizioni ragionevoli che scaturiscono dallo stesso Regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche. Gianni Gandola, Federico Niccoli





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