Scuola e simboli: com’era verde la mia valle. La griffe della pubblicità
Data: Mercoledì, 15 settembre 2010 ore 11:19:23 CEST
Argomento: Opinioni


Una scuola nuova di zecca, verde come le verdi valli alpine, brillante, “griffata” nei minimi dettagli: roba da esposizione, anzi, roba da “Oscar”! Mica così, mica le scuole del sud, scrostate, luride, sgangherate, qui ci si pensa alla cultura, ai nostri figli, e mica solo ai nostri, a quelli di tutto il paese, perché tutti hanno diritto, ci mancherebbe! Il simbolo della Lega? E allora? Noi li abbiamo cacciati i soldi, e facciamo come ci pare. La legge? Ma lascia stare, è tutto legale, a noi non dà fastidio, e se a qualcuno lo dà tanto peggio per lui, si adegui, oppure porti i suoi figli da un’altra parte. La costituzione? E ancora... ma siamo liberi o no? Se vogliamo addobbare la scuola con un bel sole sarà pure affar nostro, non impedisce a questo e a quello di pensarla come vuole. E poi chi se ne frega, è bella, no? è bella, è nuova, confortevole, funzionante, il resto tutte sciocchezze. La scuola pubblica? Ma allora lo fate apposta, insistete, insistete, sempre a buttare fango, sempre i soliti. Se è pubblica sarà pure nostra o no? E allora? Da noi siamo padroni e l’abbiamo arredata a nostro gusto, diciamo così, a nostra immagine e somiglianza.
All’incirca potrebbero essere e purtroppo sono questi i discorsi di molti cittadini della ridente Adro, in quel di Brescia. La stessa cittadina, è stato ricordato, che non trovava i fondi per garantire la refezione ai bambini più disagiati. A giudicare dalla simbologia (sole “padano” e crocifisso) sembra una riedizione ostentata e oltranzista del vecchio Dio e Popolo, o Dio e Patria, dove quel Dio ricorda da vicino la religiosità bigotta, e quel Popolo o quella Patria ricordano da vicino il municipalismo consortile, tanto per usare un linguaggio ottocentesco senza scomodare quello del ventennio (ricordato soprattutto dal modo di applicarli quei simboli) inamovibile e totalitario (banchi, finestre, zerbini, posaceneri, cestini, ecc.). Pare evidente la mancanza, oltre che di gusto, di una cognizione anche basilare del concetto di democrazia. Altrettanto evidente la totale assenza non dico del concetto di Stato, volutamente negato ed espropriato, ma di quali siano la funzione della cultura e il confine tra pubblico e privato. Aggiungerei che pare evidente anche l’ignoranza dei loro pretesi princìpi liberali, poiché di fatto compiono in casa propria ciò che altrove condannano, e della loro stessa identità comunitaria, dato che la riconoscono in un partito, cioè in una parte.
Ora, il fatto in sé è un unicum gravissimo e non può, non deve, dopo una sùbita impennata di sdegno, essere messo nel dimenticatoio, perché allora sarebbe più stizza che sdegno, e perterrebbe all’ambito del comico non del serio. Tuttavia c’è anche da chiedersi: se questi cittadini e i loro amministratori non intendono la cultura come ciò che mette in comunicazione, che sviluppa ciò che è comune, non solo ciò che è locale; se intendono forse la democrazia come partecipazione, ma poi la esercitano come dominio arrogante e prevaricatore della maggioranza; se intendono il mandato politico come investitura pubblica che può legittimare un uso delle risorse e delle prerogative a fini privatistici, facendo delle istituzioni un mezzo di propaganda e una base per il consenso, il problema è solo loro, di Adro, o è piuttosto un problema che riguarda l’Italia intera? Altrimenti come si potrebbe laisser passer non solo una così palese illegalità, ma che un (indeterminativo!) ministro dell’istruzione ne risponda all’opinione pubblica con altrettante palesi menzogne, definendo simbolo del comune un simbolo di partito e argomentando (sic) con il vieto controcanto della sinistra, i cui simboli, nella scuola pubblica, nessuno mai si è sognato di mettere? L’arroganza e la pacchiana sfrontatezza della Lega che da sempre la contraddistinguono non deve impedirci di leggere il fenomeno come una manifestazione estremizzata di tendenze che attraversano il paese e trovano varchi e favore anche in altre parti, con forme più mediate e discrete.
Parlo da insegnante. La cognizione oscura e confusa, l’equivoco su queste parole vitali per ogni democrazia, su questo vocabolario basico della convivenza civile, è purtroppo della grande maggioranza della popolazione italiana, senza bisogno di rispolverare il fascismo che di certo è strisciante nelle coscienze, ma con una sorta di “innocenza”. Perché anche di esso, della pagina più tragica della nostra storia nazionale, si ha un concetto grossolano, forse conscio dei suoi aspetti ed effetti più vistosi, non certo dell’ideologia che lo sorregge, delle sue strategie politiche, delle condizioni che lo favorirono o delle sue dinamiche psicologiche. E poi, se di qualche forma di fascismo si deve parlare, è di quello denunciato da Pasolini, quello del capitale diceva lui, oggi diremmo del mercato (e della politica, con il quale si è ormai quasi del tutto confusa), il più terribile perché il più subdolo e invasivo. Prova ne sia che a molti, come a me, è subito venuta in mente l’idea della griffe, del marchio. E soprattutto che molti più ancora, tra cui parecchi cittadini di Adro, quell’invasività non l’avvertono nemmeno. A questo siamo. Non è comune, è fazione. Non è politica, è sopraffazione. Non è res publica, è pubblicità.


                                                                                                                                   Alfredo D’Orto





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