«Apriamo le scuole e lasciamole vivere»: intervista al pedagogista Verdecchi
Data: Giovedì, 09 settembre 2010 ore 17:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Il professor Benedetto Vertecchi, autorità della pedagogia sperimentale, docente all'Università Roma Tre, rinchiuderebbe gli studenti a scuola e ce li lascerebbe fino a sera (insieme agli insegnanti), per farli studiare, suonare, cucinare, insomma vivere. Aprire le scuole, dice, non è l'unica soluzione ma a questo punto, il più basso per la cultura del paese, potrebbe servire a rovesciare una deriva pericolosa.
Intanto l'Ocse ha appena ridetto che l'Italia non spende per la scuola.
Come sempre. Ormai il sistema scolastico italiano è così lontano da quelli europei che non si riesce a capire quello che accade. Si dice che solo Israele ha più ore di scuola dell'Italia, e da ciò deriverebbe che gli italiani stanno tanto a scuola ma con scarsi risultati.
Ma questa comparazione non ha senso perché è fatta unicamente sulle ore di lezione, quando invece bisognerebbe certificare l'orario di apertura delle scuole. In Finlandia, il top dei sistemi educativi, si fanno poche ore di lezione ma questo tempo va considerato all'interno di un sistema che prevede l'apertura delle scuole fino a sera. Da noi l'orario assorbe tutto e i nostri ragazzi non hanno più tempo per fare esperienze, attività didattiche, anche coltivare l'orto, che fa molto bene.
Effettivamente, stare seduti al banco spesso è di una noia mortale.
Perché l'apprendimento non viene vivificato attraverso l'esperienza. E la contrazione degli orari voluta dal governo non fa che esasperare questo modo di stare a scuola, con gli insegnanti costretti a rincorrere il programma. Così la qualità scade.
L'Ocse ci dà pessimi voti anche sulla qualità dell'apprendimento, basi di lettura insufficienti, scarsi in matematica...
Bisogna leggere di più. Quanti libri si leggono a scuola? Le competenze matematiche si acquistano solo applicandole e la scienza si impara solo in laboratorio. Le vecchie scuole erano orgogliose dei loro laboratori, poi è iniziata la decadenza legata in parte alle innovazioni tecnologiche.
Sembra un discorso passatista.
Può darsi, ma siccome il mondo è più grande dell'Italia so che le scuole di livello elevato sono quelle dove i laboratori sono considerati una risorsa. Se utilizzata male la tecnologia diventa un sostituto dell'esperienza. Manca l'osservazione del reale.
Lei ha detto che le società autoritarie basano il consenso sul basso livello di conoscenza della lingua. Missione compiuta?
Direi di sì. Guardiamo la televisione. Segue una logica comunicativa che tende ad eliminare i messaggi più complessi sul piano lessicale. La comunicazione si basa su strilli verbali o iconici, una bella fanciulla per il pubblico è più attraente di un ragionamento. Tutto ciò porta a una riduzione della capacità di usare il linguaggio, è l'utopia negativa di Orwell realizzata, la neolingua del regime, poche centinaia di parole per tutti. Le ricerche internazionali dicono che i nostri ragazzi hanno difficoltà a capire un testo scritto, è un segnale pericoloso, e dicono anche che confondono la scienza con il magico, segnale pericolosissimo.
A proposito dei precari, ci sono troppi docenti come dice Gelmini?
Il punto è che non è mai stata affrontata l'organizzazione del lavoro. Continuiamo a ragionare in termini di ore invece di chiederci quanto deve essere consistente la fruizione dello spazio scolastico. Questo spazio lo abbiamo ridotto e ne paghiamo le conseguenze. Se ragionassimo su un tempo più lungo, allora direi proprio che non ci sono insegnanti in eccesso. Diciamo però, francamente, che dovrebbero essere differenziati profilo e competenze.
Merito e cultura della valutazione diventano pericolosa ideologia nelle mani della destra. E come si valutano i docenti?
Un esempio concreto. In Francia gli insegnanti sono divisi in tre categorie: di ingresso, intermedi e superiori. Hanno tre retribuzioni diverse e per passare di categoria devono dimostrare di avere un livello culturale adeguato. Cioé studiare. Un grande ministro, dopo la Comune di Parigi, disse che l'aristocrazia costruisce castelli, la borghesia palazzi e il popolo scuole.
Professore, siamo in Italia.
Noi non abbiamo questa tradizione, i nostri intellettuali hanno sempre guardato alla scuola dall'alto in basso, tranne che durante il positivismo.
Cosa dovrebbe fare il sindacato?
Accentuare l'importanza della cultura, gli insegnanti avevano un credito sociale e oggi non è più così. I modelli per la loro formazione suggeriscono l'idea di un livello standard che punta al ribasso, un trito misto dove c'è di tutto. Non funziona più.
E la sinistra?
Già nel 1974 scrissi un articolo dove attaccavo un certo atteggiamento di tolleranza che ha portato all'abbassamento della soglia critica. Intendevo dire che la scolarizzazione di massa non può essere al ribasso, e questa è stata una responsabilità anche della sinistra: allargare l'accesso alla scuola col rischio di trovarla vuota. Adesso è un obbligo morale sostenere la qualità della cultura offerta dalla scuola.
Se fosse ministro, cosa farebbe?
Chiederei agli enti locali e al mondo sociale di partecipare alla realizzazione dell'apertura completa delle scuole. In Finlandia venti anni fa erano disperati perché piena occupazione e redditi alti portavano i ragazzi a sottovalutare l'importanza della scuola, tanto uscivano sempre con i soldi in tasca... L'atteggiamento favoriva tassi elevati di alcolismo e suicidi. Sa cosa hanno fatto? Hanno insegnato a cucinare nelle scuole. Niente più mensa, bisognava prepararsi i piatti. Da allora possono fare quello che gli pare. Se lo spazio è qualificato, il comportamento cambia di qualità.
Professore, siamo in Italia.
Si può fare. Gli enti locali disperdono molte risorse, bisogna razionalizzarle per rovesciare questa deriva al ribasso. E lo deve fare il pubblico, non ho mai visto un privato che investe per la scuola, da noi i privati i soldi li prendono.
( Luca Fazio da Il Manifesto)

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