La sinistra non c’entra, i precari sono aumentati con Craxi e la Dc
Data: Mercoledì, 08 settembre 2010 ore 09:23:41 CEST Argomento: Rassegna stampa
Gelmini
contando sulla scarsa memoria di politici e commentatori lancia slogan
che non hanno alcun fondamento storico e anche politico. L’ultimo è il
seguente: l’abnorme numero di precari è colpa della sinistra. Proviamo
a spiegare quanto questa affermazione faccia a botte con la realtà
delle cose. I precari della scuola hanno seguito lo stesso percorso del
debito pubblico. Il rigonfiamento senza ritorno si ebbe nel decennio
1980-1990 che mai vide alla guida del governo un uomo di sinistra.
Erano gli anni del pentapartito di Craxi, degli sfondamenti, dell’onda
lunga, della magnifica epoca in cui si dilapidava il patrimonio
pubblico e si fece raddoppiare il debito con pratiche che l’inchiesta
Tangentopoli svelò nelle più trite degenerazioni. E a fare i ministri
della Pubblica Istruzione si succedettero nell’ordine Valitutti (Pli),
Bodrato-Falcucci- Galloni-Mattarella-Bianco-Misasi (tutti Dc). Erano
anche gli anni in cui si bandivano concorsi (quello alle Poste divenne
leggendario) per cinquemila posti che, per motivi elettorali, vista la
breve durata di alcuni esecutivi, venivano artatamente elevati a
quindici-ventimila, anche se non servivano. Nella scuola, che ancora
viveva della fase ascendente della generazione del boom della natalità
(quelli degli anni sessanta) per le stesse ragioni, fu inventata,
complice i sindacati, la doppia graduatoria per l’accesso alla
professione insegnante. Nei primi anni ottanta bastava laurearsi in
Lettere o in Matematica e si iniziava in pochi mesi a fare supplenze: i
ragazzi erano molti, con tutto che la numerosità delle classi era
elevata, ma l’altrettanto alto numero di aspiranti insegnanti aveva la
possibilità di trovare una collocazione, precaria, ma con una garanzia
di continuità negli anni. Nello stesso tempo l’accesso al ruolo
avveniva solo per concorso: in quel decennio se ne fecero due, uno
nell’85 e l’altro nel ‘90. Fare i concorsi costa. Il numero di
professori che serviva per mandare avanti la scuola era enorme:
lavoravano, ma senza abilitazione. Si decise, allora, invece di fare i
concorsi ogni biennio, o ogni anno, di creare una graduatoria per
anzianità: si chiese a chi aveva fatto anni di supplenza di portare
certificati di servizio che lo attestassero e si creò una graduatoria,
nota ormai da trent’anni come doppio canale, da cui nelle varie materie
di insegnamento si iniziò ad attingere per le immissioni in ruolo.
Così, il 50% di prof iniziò ad entrare nella scuola per concorso e
l’altro 50% attraverso il doppio canale: quest’ultimi hanno ottenuto
l’abilitazione «riservata» all’insegnamento, qualcuno anche mai. La
presenza di prof di oltre cinquant’anni ancora precari deriva da questa
sanatoria-stortura. Trent’anni fa il numero di precari era molto
minore. Ma con la fine degli anni ottanta le curve insegnanti- alunni
iniziarono a divergere: i primi rimasero costanti, i secondi divennero
sempre di meno. Sicché il numero dei precari aumentò paurosamente e per
coloro che avevano superato il concorso gli anni d’attesa per
l’immissione in ruolo divennero quasi biblici: quando si fece l’ultimo,
quello del ‘99, le graduatorie di nove anni prima non erano affatto
esaurite. E non lo sono oggi quelle di undici anni fa, tant’è che
continuano ad arrivare telegrammi per contratti a tempo indeterminato a
chi nel frattempo ha cambiato vita. La politica, per peggiorare la
situazione di persone che comunque ogni anno si sono messe a
disposizione dello Stato, ci ha messo del suo. Usare il dato meramente
matematico del numero di insegnanti per studenti come fa Gelmini, ma
comenegli anni precedenti hanno fatto Luigi Berlinguer o Padoa
Schioppa, non ha alcun senso. Basta girare l’Italia, le migliaia di
comuni con mille o duemila abitanti per rendersi conto cosa bisogna
fare per garantire a tutti il diritto all’istruzione. Non solo.
L’assenza di uno screening puntuale sulle reali necessità territoriali
di prof, questa sì una urgenza federalista, ha fatto sì che a fronte di
un numero scarso di laureati al Nord, anche per insegnare, ce ne
continuasse ad essere uno sovrabbondante al Sud. Ed ecco che si
spiegano le storie di persone che, da precarie, hanno girato l’Italia,
da Sud a Nord e che adesso lo Stato vuole lasciare a casa. A dare
l’ultimo colpo ci ha pensato la legge 133 Gelmini-Tremonti.Macosì si
uccide la scuola e continua lo scaricabarile sui precari. (di Fabio
Luppino da L'Unità)
redazione@aetnanet.org
|
|