Professionali sempre più in crisi
Data: Martedì, 07 settembre 2010 ore 11:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Non studiano, non
lavorano. E quando scelgono la scuola superiore disertano gli istituti
tecnici e soprattutto i professionali. Eppure le imprese ricercano i
giovani, soprattutto se in possesso di una formazione
tecnico-professionale. Colpa della politica, spiegano i presidi, che
non ha rilanciato questo settore dell'istruzione superiore.
Ci prova, sostengono le aziende, la riforma Gelmini. Intanto, i
professionali rischiano di affossarsi e i centri di formazione
regionale di ridursi in ghetti per ragazzi a rischio esclusione
sociale. Sono poco più di 2 milioni i giovani che secondo l'ultimo
rapporto annuale dell'Istat, non frequentano nessun corso di studi e
non lavorano, il 21,1% dei 15-29enni. Aumentati in un anno per la crisi
di 126mila, colpendo soprattutto il Nord (+85mila) e il Centro
(+27mila), anche se la stragrande maggioranza, oltre un milione, è
residente al Sud. Non solo
Il 15,6% dei ragazzi iscritti al primo anno delle superiori abbandona
gli studi nei primi due anni, il 18% nel Mezzogiorno. Tanto che i
18-24enni dispersi senza aver conseguito il diploma sono il 19,2%,
oltre 4 punti percentuali in più della media europea.. «A pesare è la
differente distribuzione degli studenti per indirizzo di studio», dice
Istat; infatti il 93% dei 14-18enni è iscritto alla scuola superiore.
Anche nel 2010-11 istituti tecnici e professionali non arrestano il
calo di domande alla prima classe, da dove quest'anno prende avvio la
riforma Gelmini. Nonostante le novità della diminuzione delle materie e
dell'aumento dello ore di laboratorio. Oltre oltre il 2% in meno di
iscritti per i tecnici e oltre l'1% per i professionali. Studenti e
famiglie scelgono i licei. «Si manifesta l'esistenza di un meccanismo
di autoselezione che», dichiarano i ricercatori, «orienta le iscrizioni
dei meno brillanti verso indirizzi tecnici professionali e quelle dei
più capaci verso i licei». Due le conferme. La netta forbice tra
livelli di competenze con incrementi di punteggi bassi nell'area
tecnica e professionale, dove oltre la metà degli studenti dei
professionali e più di 1/4 dei tecnici, per l'Ocse, è a rischio
analfabetismo.
E quel sufficiente alla licenza media per oltre il 55% dei giovani dei
professionali. A penalizzare le iscrizioni all'istruzione professionale
statale la legge 40/2007 che ha omologato il settore all'istruzione
tecnica, togliendogli la possibilità di impartire autonomamente le
qualifiche professionali triennali passate alle regioni. «Possiamo
organizzare solo corsi quinquennali», afferma Ettore D'Ercole,
vicepreside dell'Ipsia Galilei di Torino, «siamo schiacciati tra
l'istruzione tecnica e la formazione professionale regionale. Sta al
singolo istituto inventarsi corsi di approfondimento per competere con
queste». Se, come in Lombardia, l'offerta dei centri di formazione
professionale è ricca, c'è un progressivo abbandono degli istituti
professionali statali. In Trentino ormai del tutto chiusi. «Eppure
l'istruzione professionale», ricorda il preside del Bernini di Napoli,
Carmine Notaro, «permette il maggiore inserimento dei giovani nel mondo
del lavoro». La formazione tecnica rispetto ai licei, aggiunge la
preside dell'Itis Corni di Modena, «dà un vantaggio nelle facoltà
universitarie tecnico-scientifiche per la mentalità tecnologica già
acquisita nei laboratori scolastici». «Occorre rafforzare l'alternanza
scuola-lavoro», insiste Giuseppe Sammartino, dirigente del Settembrini
di Milano, «gli stage motivano e responsabilizzano gli studenti con
rendimento basso. È importante poi la didattica laboratoriale».
(ItaliaOggi- di Emanuela Micucci)
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