Riforma Gelmini, la bufera non tocca l'ora di religione
Data: Mercoledì, 01 settembre 2010 ore 11:20:39 CEST Argomento: Rassegna stampa
C’era una volta la laicità nel nostro Paese. E ora non c’è più. Notizia
recente: in un liceo paritario romano – il Seraphicum – i ragazzi sono
stati ammessi all’Esame di Stato con il contributo di 10 in religione.
Violazione all’art. 309 del Testo Unico delle leggi sulla scuola che
stabilisce modalità e criteri di valutazione di chi si avvale
dell’Insegnamento Religione cattolica: giudizi e non voti. Il Nuovo
Concordato e le successive intese applicative si uniformarono alla
normativa statale, che stigmatizza ogni forma di discriminazione
determinata dall’avvalersi o no di IRC, che – per ora – è ancora
facoltativo. Scuola e Costituzione ha diffidato l’Ufficio scolastico
del Lazio, che al momento non ha ancora risposto. Attendiamo fiduciosi.
Chi sale,chi scende
Nella mattanza di ore (e di posti di lavoro) prodotta in tutti gli
ordini di scuola dalla “riforma”, l’IRC è il solo a non subìre tagli,
arrivando così a una percentuale più ampia sul monte-ore: i nostri
studenti fanno meno Italiano ma più Religione! Il paradosso è che negli
anni del più grande licenziamento di massa della storia della scuola
italiana, gli insegnanti di Rc sono addirittura aumentati: 26.000 in
servizio, di cui 14.000 di ruolo. Docenti che hanno una singolare,
doppia matrice giuridica: nominati (o rimossi) dalla Curia, pagati
dalle tasse di tutti gli Italiani. ”L’ora di Religione non si tocca”,
aveva detto Gelmini all’inizio dello scorso anno scolastico. La
sollecitazione era venuta dalla “lettera cIRColare” della Congregazione
Vaticana per l’Educazione cattolica, che condannava il fatto che in
molti Paesi siano state introdotte “nuove regolamentazioni civili, che
tendono a sostituirlo (l’insegnamento della IRC, ndr) con un
insegnamento del fatto religioso di natura multiconfessionale o di
etica e cultura religiosa, anche in contrasto con le scelte e
l’indirizzo educativo che i genitori e la Chiesa intendono dare alla
formazione delle nuove generazioni”. “Si potrebbe anche creare
confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso se
l’insegnamento della religione fosse limitato ad un’esposizione delle
diverse religioni, in un modo comparativo e “neutro”. Perciò “(bisogna
che) l’insegnamento religioso scolastico appaia come disciplina
scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno
le altre discipline”. Infine la Congregazione “non smette di denunciare
l’ingiustizia che si compie quando gli alunni cattolici e le loro
famiglie vengono privati dei propri diritti educativi ed è ferita la
loro libertà religiosa”. Il mondo alla rovescia: incalzano i vertici.
Per il presidente della Cei, Bagnasco, l’ora di IRC “non si configura
come una catechesi confessionale, ma come una disciplina culturale nel
quadro delle finalità della scuola”. L’arcivescovo di Torino, Poletto,
sostiene che l’ora di IRC “non è solo cultura, ma non è nemmeno
catechismo”. Perché soprassedere su pressioni così insistite? Come non
interrogarsi sul senso di questo privilegio?
Le rassicurazioni della Gelmini
Intanto le scuole paritarie (la maggior parte di ispirazione cattolica)
lamentano la mancata erogazione dei fondi loro destinati per l’a.s.
2009/10. Le rassicura Gelmini in persona, assicurando che le risorse
sono state “rimesse nel capitolo di spesa e attendiamo il via libera
dalla Conferenza Stato-Regioni” e affermando: “Nella Finanziaria 2011 i
soldi per le paritarie non si toccano”. Cioè, il budget previsto per le
paritarie (534 milioni) sarà regolarmente erogato: tagli brutali alla
scuola pubblica, fondi inalterati per le private. Gelmini ha poi
aggiunto: “Non bisogna dimenticare che la scuola paritaria permette
allo Stato un risparmio di oltre 6 miliardi di euro”. Il calcolo
teorico della spesa a carico dello Stato se gli studenti delle
paritarie frequentassero la pubblica è ricorrente argomentazione
mercantile, a cui siamo avvezzi. Che però non considera che la scuola
della comunità pubblica – istituzione della Repubblica – esiste a
prescindere da quelle quote di studenti. Poiché è lo Stato a garantire
l’istruzione, lo spreco è la creazione di istituti privati che ricevono
fondi grazie alla legge di parità. Gelmini non apprezza (e non
stupisce) l’investimento della collettività in funzione dell’interesse
generale e del confronto dialettico, garantiti dalla scuola pubblica.
Sono concetti che non fanno parte della cultura grossolana di chi ci
governa. E che, temo, stanno scomparendo anche dalla coscienza di molti
di noi, nella rinuncia alla vigilanza intransigente su questo
arretramento lento ma inesorabile da diritti e principi inalienabili.
Marina Boscaino ( www.ilfattoquotidiano.it )
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