Mila Spicola: Un passo alla volta per resistere e provare a cambiare
Data: Mercoledì, 01 settembre 2010 ore 02:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Basta un piccolo
passo alla volta per cambiare», diceva qualcuno che di cambiamenti se
ne intendeva, Gandhi. Lo ripeto ai miei ragazzi quando mi dicono,
pigramente, «non sono capace» e bloccano a mezz’aria matite e colori.
Basta un piccolo passo alla volta per fargli buttare giù con forza
matite e colori per disegnare il loro presente e il loro futuro. Sono
tempi lunghi quelli di un professore. Sono i tempi del silenzio, delle
parole, della pazienza, dello sforzo. Domani torno a scuola per il
collegio dei docenti di inizio anno. Saranno abbracci e sorrisi e fatti
e decisioni di «ordinaria amministrazione » in un mondo che è sempre
meno ordinario. È come se a ciascuno di noi, nelle scuole, avessero
tolto il sangue poco alla volta: non te ne accorgi ma sei sempre più
debole per sforzi sempre più grandi. Più alunni, meno ore, meno tempo,
meno soldi,meno aule, meno bidelli. Meno colleghi. I precari che non
sono precari: sono colleghi con i quali dividere i primi consigli di
classe, con i quali programmare decisioni e lavori, ai quali raccontare
di Luigi, di Antonio, di Martina. Uno ha il padre in galera, l’altro è
quello «bravo», lui invece ha delle difficoltà relazionali. E spesso è
un eufemismo. Quel collega vivrà con me un anno intero. Caffè e
registri, progetti. E adesso lo ritrovo in via Praga,un budello di
pochi metri dove si trova l’ufficio scolastico provinciale di Palermo,
a tentare di capire se «ci sarà» o meno. Una di questi è Cleide.
Docente di sostegno, la mia Cleide, l’unico sostegno, un’ora appena,
che io ho avuto lo scorso anno, sulle 18 che insegno, nelle mie 9
classi, e tra i miei 240 alunni circa. Cleide è brava. Si occupava di
M., uno dei miei alunni «h», in genere i nostri più amati e sono quelli
più bistrattati dalle leggi. La Gelmini, o chi attraverso di lei, ha
tolto loro ore di sostegno. Eppure con la mia Cleide, ed M. ne abbiamo
compiute di meraviglie. Cleide è incinta. Sarà di nuovo mamma. È
precaria, esclusa. Eppure è di una bravura... come tanti colleghi
precari. Come Caterina, con la quale abbiamo veramente condiviso
battaglie su battaglie in questi tre anni e in queste ore è aRoma a
fare lo sciopero della fame. Come Gandhi? Sì: gesti eclatanti per
permetterci di compiere i nostri piccoli passi lenti in modo sano,
dentro le classi. Per permetterci di tornare a fare con dovizia di
attenzioni e di mezzi il nostro mestiere e allontanare da noi l’ombra
dell’accusa di essere «agitatori sociali» o, peggio, mangiapane a
tradimento. Per permetterci persino, a chi fa politica attiva, di
schivare la accuse di protagonismo. Ché poi tanto ti arrivano lo
stesso: se stai zitto perché stai zitto, e se parli perché ci sarà
sicuramente un retro motivo a giustificarlo, il tuo dire. Mai e poi mai
viene da dire la verità: amiamo questo mestiere come un adolescente la
propria ragazza. Eppure, posso dirlo? In beni quantificabili ci dà
sempre meno. (da Unità)
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