Federalismo scolastico: cos'è mai?
Data: Lunedì, 30 agosto 2010 ore 12:00:00 CEST Argomento: Istituzioni
Dal sito Pavone
risorse una interessante analisi sul federalismo scolastico scritto da
Stefano Stefanel
http://www.pavonerisorse.it/federalismo/tutti_federalisti.htm
Siamo tutti federalisti?
di Stefano
Stefanel
redazione@aetnanet.org
I primi effetti del federalismo si stanno facendo sentire in
Italia e qualche preoccupazione sta montando nell’opinione pubblica,
soprattutto dopo aver assistito all’emanazione del provvedimento sul
federalismo demaniale e aver visti pubblicati i valori catastali di
alcune montagne della nostra storia come le Tofane (240.000 euro,
nemmeno un appartamento). Il titolo V è stato riscritto in maniera
veramente discutibile dal centrosinistra nel 2001 e quella parte della
Costituzione è certamente una delle meno esaltanti e difendibili. Per
questo esiste una forte apprensione nel Paese per un salto nel buio dai
contorni indefiniti, che deve armonizzare le idee politiche e
amministrative di un partito che ha nella sua ideologia costitutiva la
secessione del nord dal sud Italia. Quello che invece è molto chiaro è
che una certa idea federalista è penetrata nel nostro vivere civile e
difficilmente ci abbandonerà. Questa idea ha ormai preso piede
soprattutto in quelle che sono considerate le “regioni rosse” e che
fanno riferimento a forze politiche che si richiamano all’unità
nazionale. Per misurare questa evenienza federale è sufficiente
analizzare alcune reazioni in relazione ai tagli nella scuola pubblica
e all’emergere dei dati oggettivi sulla gestione della sanità. Le
“regioni rosse” sono regioni virtuose, ben amministrate e con alti
standard di servizi e per questo il loro attacco al Governo e alle
manovre finanziarie di taglio delle spese sono state prese molto sul
serio. Tra l’altro, quelle regioni (accanto ad altre molto virtuose del
nord quali il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto
Adige) e la Lombardia hanno fatto sapere che ci sarà un forte
intervento regionale per contrastare l’effetto dei tagli governativi
sul tempo pieno e sui piccoli ospedali, ad esempio. Da nessuno e da
nessun Governo regionale è venuta la proposta di utilizzare parte della
“virtù” delle regioni migliori per soccorrere quelle del sud in
difficoltà. L’Emilia Romagna ha lanciato da anni una battaglia per
salvaguardare la sua scuola pubblica e il suo tempo pieno (unico in
Italia che ancora si base sul doppio organico perfetto a cui vanno
aggiunte religione e inglese), ma non ha proposto alcun sostegno
all’istruzione della Basilicata o della Campania. Questo federalismo di
fatto è la base ideologica portante su cui si fondano i futuri decreti
attuativi del federalismo fiscale.
Se si dovranno
stabilire i costi standard delle prestazioni che determinano i livelli
essenziali delle prestazioni al fine del trasferimento dei fondi
statali, sarà importantissimo comprendere qual sia il valore medio di
ogni prestazione, se cioè verrà definito tenendo conto della spesa
nelle regioni virtuose o in quelle spendaccione. Pensare, invece, che
questo valore standard segua le aspettative dell’opinione pubblica
significa non comprendere che il federalismo non cerca per sua natura
di ampliare la spesa pubblica, ma di contrarla, anche se poi spesso nei
fatti non ci riesce.[1] Ci sarà insomma una corsa al ribasso
trasformando i livelli essenziali delle prestazioni in livelli minimi
di erogazione del servizio o ce ne sarà uno alto, che permetterà
comunque di finanziare alcuni sprechi del sud senza ingenerare
ulteriore emergenza sociale? Il passaggio è ovviamente storico e come
tale non è facile dipanarlo dalla cronaca.
SCUOLA FEDERALE?
La sentenza n°
13 della Corte costituzionale del 2004 ha già sancito che la competenza
degli organici è delle Regioni e non dello Stato, stabilendo
teoricamente che il federalismo nella scuola è già pronto ad entrare
con un provvedimento dirompente, qual è certamente lo “sapcchettamento”
del personale del Miur da un unico contratto ad almeno venti contratti.
La regionalizzazione degli organici porterebbe subito vantaggi ai
docenti, sia in termini di stipendio, che di reclutamento e formazione.
Inoltre eviterebbe la micidiale spirale delle graduatorie a pettine,
permanenti o ad esaurimento, cioè la difesa sindacale della paralisi
scolastica in cui i diritti dei lavoratori prevalgono sempre su quelli
dell’utenza. Con una scuola “regionalizzata” sarebbe impossibile avere
in graduatoria supplenti residenti dall’altra parte dell’Italia, mentre
ci potrebbero essere norme regionali a favore della montagna o dei
piccoli centri. Non credo si debba dimenticare che la Provincia di
Trento non ha recepito la legge 169/2008 nella parte in cui ripristina
i voti numerici e che la Provincia di Bolzano prevede una forte
indennità per l’insegnamento nei paesi di lingua ladina.
Il federalismo nella
scuola produrrebbe vantaggi immediati per docenti e famiglie,
imporrebbe agli enti locali un forte aumento della spesa per
l’istruzione e un capillare controllo su quanto avviene a scuola.
Questo però configgerebbe con due questioni considerate fondamentali da
gran parte dei docenti italiani: l’uniformità del sistema scolastico
nazionale e la creazione di scuole di diversi livelli e per diverse
possibilità. Probabilmente ben gestite e capaci di dare grandi
risultati al Nord e fatiscenti e dequalificate al sud. Le rilevazioni
Invalsi e Ocse-Pisa hanno descritto lo stato della scuola italiana e la
sua forte propensione alla non competitività, ma hanno anche
convinto l’opinione pubblica che al sud “taroccano” i voti, aiutano gli
alunni durante le prove, cercano disperatamente di fornire uno spaccato
della propria scuola non aderente alla realtà pensando così di
migliorare la propria situazione, mentre al Nord brutalmente si fanno
misurare e vada come vada. Sta prevalendo nell’opinione pubblica
nazionale che nella scuola come in altri settori della vita sociale il
nord è dedito per lo più al lavoro, il sud all’imbroglio. E questo è un
sentimento pericoloso e disgregante, che di certo non si combatte con
un nuovo centralismo o aiutando i propri alunni nelle prove Invalsi.
I due atteggiamenti
(nessuna solidarietà tra le regioni e diffidenza verso il Sud) stanno
nello stesso alveo federale e contribuiscono a creare un clima di
sfiducia verso una ridefinizione omogenea del sistema scolastico
nazionale. L’opinione pubblica ha capito che comunque il riallineamento
di scuola e sanità su nuovi standard sarà al ribasso e che i tempi
della spesa aggiuntiva sono finiti. Per questo esiste la percezione che
qualunque cosa voglia dire il federalismo lo dirà in modo che ognuno
finanzi se stesso. Dire se questo porterà vantaggi o svantaggi è
impossibile, dire che modificherà l’Italia in modo irreversibile è una
profezia facile. Chi vuole ostacolare il federalismo non può però farlo
richiamando il bel tempo andato, che non era affatto bello se ha
portato alla situazione attuale. Esiste in Italia un milione di persone
che non vogliono cambiare e lo fanno sapere sempre a chiare lettere:
sono i dipendenti del Miur, cioè siamo noi, desiderosi solo di
affermare noi stessi, ma incapaci di difendere il sistema dalle sue
abnormità. E così il disagio di avere a che fare un riti burocratici e
graduatorie permanenti porterà alle eliminazione di entrambi, con buona
pace di chi ritiene che la scuola italiana vada bene e che sbaglino
l’Invalsi e l’Ocse-Pisa.
FEDERALISMO MINIMO
C’è poi il
federalismo minimo che viene praticato e percepito da tutti, ma che
nessuno vuol rendere sistematico. Chi fa di mestiere il dirigente sa
bene che ci sono docenti che tutti vogliono per i loro figli e altri
docenti che nessuno vuole, sa che ci sono persone eccezionali e che
lavorano sodo e dipendenti che, se il lavoro fosse un volatile,
avrebbero la tessera numero uno di federcaccia. Ebbene quello che non è
più possibile sostenere è che questa graduatoria di fatto e nei fatti
rimanga implicita e non possa essere presa come base premiante o di
carriera. Non si tratta di assumere o licenziare senza vincoli, si
tratta di mettere nero su bianco che quel docente è stato richiesto da
150 genitori, mentre altri 80 genitori hanno chiesto che quell’altro
docente non venga messo a insegnare ai propri figli. Dato che il Miur e
le categorie professionali della scuola (dirigenti, ata, assistenti
tecnici, docenti) non fanno nulla sull’argomento, non hanno nulla da
dire, non vogliono premi o punizioni sonanti ci penserà il federalismo
ad introdurre le differenziazioni e i meccanismi premianti o punitivi.
Nessun federalismo può sottrarsi al rapporto con il territorio di
riferimento e il nostro lo farà o per appartenenza (i leghisti verranno
favoriti), per adesione sociale (avrà più consenso e più carriera chi
meglio interagirà col suo territorio) o per risultato (comunque il più
bravo me lo tengo). Credo sarebbe importante prepararsi a questo,
qualunque federalismo venga avanti e qualunque scuola si pensi di
attuare. Quello che ritengo molto difficile fare è stare fermi, cercare
aiuti dal Tar o da qualche tribunale, dedicarsi ad impugnare circolari
e decreti come se si difendesse la democrazia non tenendo in minimo
conto di cosa pensa la maggioranza della gente. L’Italia non è un Paese
federale e non ha vocazione federale, ma la “talpa” federale ha ormai
scavato in profondità: provate a chiedere ad un cittadino emiliano se
difende il tempo pieno di casa sua o della Basilicata. Provate a
chiedere ad un friulano se giudica normale che per avere un supplente
per tre giorni in una scuola primaria bisogna chiamare il cellulare di
una persona che vive a Siracusa. Provate a chiedere ad un cittadino del
Trentino se preferisce il sistema scolastico attuale completamente
regionalizzato e che permette il pieno impiego o quello statale di
qualche tempo fa che poneva la provincia di Trento in posizione sempre
subalterna a quella di Bolzano.
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