Per il secondo ciclo siamo prossimi ad una svolta? Chissà!
La posta in gioco è molto alta e la confusione – io la registro ovunque vada –
lo è ancora di più! Si affollano sul mio computer e nella mia testa file su file
relativi allo schema di decreto e ai documenti connessi! Il guaio è che è
impossibile comprendere quali siano i più attendibili! Forse lo stesso ministro
non sarebbe più in grado, ormai, di capirci qualcosa!
Ma un altro guaio discende dal primo: il fatto che riesce
molto difficile avanzare proposte concrete per correggere, aggiungere, togliere,
riscrivere! Dai documenti propositivi… ed anche oppositivi che ho letti evinco
che un po’ tutti sono caduti nella trappola del mare magnum che la
documentazione semiufficiosa ci ha teso! Così alle parole si aggiungono altre
parole, per cui, anche se si giungesse ad un tavolo aperto e largo per
ridiscutere il tutto – il punto e a capo sembra tanto caro al nostro ministro! –
sarebbe un po’ arduo ritrovare il bandolo, o i tanti bandoli, di questa
intricatissima matassa! Anche perché ottobre è molto vicino!
Forse occorrerebbe riprendere il tutto un po’ alla larga,
ma con chiari punti fermi, affrontare i problemi ancora aperti con un po’ di…
buon senso… che sto mai dicendo! Il buon senso delle intenzioni di qualche tempo
fa e della ricerca del consenso ad ogni costo, al di là di ogni ideologismo –
così si diceva - non ha avuto fortuna! Anzi, è stato un elemento di ulteriore
confusione! Io intendo un altro buon senso, quello del fare concreto, del
rimboccarsi le maniche, del ridefinire alcuni concetti chiave e poi… a partire
da questi e con assoluta determinazione, riprendere il cammino, ma ai livelli
operativi delle iniziative delle autonomie.
Quali potrebbero essere questi concetti chiave? Provo a
definirli.
Primo: non una riforma, ma una rifondazione – E’ necessario
finirla con il pensare al nuovo sistema di istruzione e formazione con l’ottica
di una “riforma della scuola”. Faremmo un pessimo servizio ad una reale
rifondazione del sistema pensando solo in termini di scuola! Ed è il grosso
errore in cui sono caduti gli anonimi “esperti” del Miur quando si sono
cimentati a scrivere con l’occhio rivolto al passato più che al futuro, con
l’ottica della “riforma”, appunto, quando, invece il problema era un altro! Del
resto, la stessa epigrafe della legge 53 lo esplicita (ed in questo senso il
punto e a capo sarebbe giustificato!): “delega al Governo per la definizione
delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni
in materia di istruzione e formazione professionale”. E’ un netto richiamo al
Titolo V della Costituzione! Si tratta di un assunto che va molto al di là di
una riforma.
Pertanto, si trattava di innovare l’intero sistema per
adeguarlo ad una Costituzione assolutamente nuova! Non bisognava riscrivere
altri programmi, anche se gli “esperti” li hanno chiamati con nomi nuovi,
Indicazioni, Osa, Lep, Pecup, Larsa, obiettivi formativi, ologrammi… ed altre
diavolerie del genere. Occorreva interpretare la svolta impressa dalla
Costituzione e scrivere le linee del processo del cambiamento con un proposito
ben diverso da quello che animava le commissioni ministeriali di un tempo,
quando c’era un Mpi, totalizzante ed autoreferenziale, che oggi non esiste più.
Il Miur non è il Mpi, è una struttura di servizio, non di
governo! Di governance, semmai, come piace ad alcuni, non di government! Ma
com’è bello l’inglese! E le linee guida per “scrivere” la nuova carta
dell’istruzione non sono soltanto nella nuova Costituzione, ma anche nelle
indicazioni che ci vengono dall’Unione europea, nelle trasformazioni profonde
che investono il mercato del lavoro e delle competenze in tutti i Paesi ad alto
sviluppo, e nella stessa legislazione sul lavoro che nel nostro Paese – con
tutte le luci e le ombre che è anche possibile leggervi – sta comunque
trasformando radicalmente livelli e forme della occupabilità e modi e tempi
degli stessi profili professionali!
Ebbene, una simile ampiezza di vedute è completamente
assente da tutte le sudate carte dei nostri “esperti”. Si sono affaticati ad
affastellare Osa, discipline e quadri orario senza minimamente pensare che il
loro lavoro doveva essere un altro! Indicare – appunto! – finalità, standard, i
“livelli essenziali delle prestazioni” che Stato e Regioni devono garantire,
piste di percorsi curricolari: il tutto a livello di quella “progettazione
formativa” – ma le teorie del curricolo sono ormai ferri vecchi! – che è compito
del decisore politico, e che è altra cosa dalla “programmazione didattica”, che
è compito di chi opera sul campo. La stessa fatica del ’97, la ricerca sui nuovi
saperi e sui nuclei fondanti delle discipline, sembra essere stata solo tempo
perso, roba del governo di centro sinistra, quindi tutta da cestinare! Si parla
tanto di Stato leggero – e di ministeri leggeri! – ma gli “esperti” hanno voluto
scrivere tutto, da bravi scolaretti! E dalle loro attenzioni non solo è stata
lontanissima la Costituzione, ma anche la stessa autonomia delle istituzioni
scolastiche e formative! Insomma, hanno scritto per il Principe, non per una
Repubblica delle autonomie, delle istituzioni scolastiche, delle comunità, delle
Regioni!
Secondo: attuare il Titolo V! – Occorre avere la
consapevolezza che – anche con i tempi lunghi che occorreranno – le Regioni
assumeranno l'amministrazione (organizzazione e gestione) delle istituzioni
scolastiche, fatta salva la loro autonomia in termini di curricoli formativi, di
conduzione dei percorsi, personalizzati quanto si voglia, ma pur sempre verso
obiettivi comuni e condivisi, razionalmente fondati e fondanti. In tale scenario
le stesse maglie organizzative delle istituzioni scolastiche sul territorio
dovranno ristrutturarsi, in reti o in consorzi – del resto lo prevede e lo
auspica l’articolo 7 del dpr 275/99 – o in altre forme purché possano meglio
coordinare le loro offerte formative, anche per il confronto con quella
“programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione
professionale”, che è di competenza delle Regioni, e con le altre competenze
degli Enti locali. Sono numerose le attribuzioni trasferite dallo Stato ai
poteri locali in forza degli articoli 138 e 139 del dlgs 112/98 in materia di
istruzione, attribuzioni che precedono la stessa riforma del Titolo V e che da
questo sono inglobale e legittimate ad un rango costituzionale.
Terzo: rafforzare la prospettiva regionalista – E’
veramente fuori del tempo e fuori dalla norma continuare a pensare in termini di
istruzione pubblica erogata tout court dallo Stato, in quanto – se mi è concesso
– sono essenzialmente le Regioni la nuova forma di Stato sul territorio.
Ovviamente, si incontreranno numerose difficoltà sulla strada di questa
riconfigurazione della nostra Res Publica, ma si tratta pur sempre di un cammino
verso una più compiuta democrazia e verso l’erogazione di un servizio più
efficiente ed efficace.
La struttura regionale ce la siamo data fin dalla
Costituzione del ’47 e nello stesso articolo 115 avevamo scritto che “le Regioni
sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni”. E’ davvero
inconcepibile quell’atteggiamento purtroppo assai diffuso per il quale, mentre
da un lato ci si lamenta della invadenza dello Stato, dall’altro si teme di
perdere la sua funzione di grande mamma, severa sì, ma… che dà sempre tanta
tanta sicurezza! Ormai lo abbiamo deciso! Alle Regioni compete l’intera
amministrazione degli “affari scolastici” – e la stessa Corte costituzionale lo
ha confermato più volte! – come a loro compete la legislazione esclusiva in
materia di istruzione e formazione professionale.
Quarto: superare la dicotomia tra licei e non licei –
Purtroppo, se il progetto costituzionale è chiaro, assolutamente meno chiaro è
il processo che si è avviato con la legislazione ordinaria. Nella legge delega
53/03 gli “esperti” dell’amministrazione hanno scritto l’articolato con l’ottica
del vecchio Mpi! Così, mentre da un lato nella legge si afferma che l’istruzione
e formazione professionale è di competenza legislativa esclusiva regionale,
dall’altro gli esperti, quando hanno descritto il sistema dei licei, ne hanno
elencato ben otto, e tre addirittura con indirizzi. Gli “esperti” non hanno
fatto altro che trascrivere nell’articolato il sistema statale esistente, con
l’ottica miope e spudorata dell’amministrativo che non sa leggere un nuovo
disposto costituzionale. Così, gli otto licei non sono altro che una riscrittura
– se non una copiatura – di quelli di sempre! E con qualche invenzione in più! I
nostri non si sono minimamente sforzati di pensare che, nella nuova stagione
formativa inaugurata dal nuovo Titolo V, occorreva rileggere e riscrivere
l’intero sistema formativo, in modo da dare veramente a dio e a cesare ciò che a
ciascuno spetta!
Se i nuovi padri costituzionali hanno affidato alle Regioni
istruzione e formazione professionale, hanno operato nella consapevolezza che un
tale percorso deve essere più vicino al mondo produttivo il quale peraltro ha
assunto dimensioni assolutamente più ampie ed impegnative di quanto non fosse ai
tempi della prima Costituzione. In altri termini, se negli anni Quaranta il
costituzionalista poteva anche supporre e definire “l’istruzione artigiana e
professionale” come un percorso destinato ai più, subalterno rispetto a quello
più nobile, gestito dallo Stato e destinato a una platea ristretta, ai capaci e
ai meritevoli, il costituzionalista del 2001 opera in una realtà ben diversa, in
cui non ci sono i più e i meno, ma ci sono i tutti che hanno il diritto e il
dovere di istruirsi, perché il mondo del lavoro è radicalmente cambiato rispetto
agli anni Quaranta. Il nuovo padre costituzionale prende atto di questa nuova
realtà e dà indicazioni di linea, di natura costituzionale, appunto. E’ il
legislatore ordinario che non ha saputo leggere la nuova Costituzione.
Allora, come si può parlare di pari dignità, quando tutta
l’istruzione del secondo ciclo viene fagocitata dal sistema dei licei? E’ dal
marzo di due anni fa che grossi interrogativi pesano sugli istituti tecnici e
professionali! Sono due anni che docenti e studenti di questi istituti vivono in
grande difficoltà! Ma è quella scelta sciagurata degli 8 licei tutti statali che
l’ha creata! Se il Miur fa l’assopigliatutto, che cosa rimane alle Regioni?
Ovviamente i vecchi percorsi residuali di serie B e C fino alla Z che sono stati
loro assegnati dalla Costituzione del ’47! E la Costituzione del 2001 che fine
ha fatto? Se le Regioni volessero avviare percorsi di pari dignità, dovrebbero
istituire dei doppioni dei licei, con questi concorrenziali! Si rendono conto i
nostri “esperti” del pasticcio che hanno innescato?
E’ mancato il coraggio di liberarsi dei gioielli del
vecchio Mpi! Ed è anche mancata la prospettiva di insieme! In sede di legge
delega ci si doveva limitare, da un lato, ad individuare un percorso liceale
forte, finalizzato agli studi terziari, e, dall’altro, ad indicare chiaramente,
nel pieno rispetto del disposto del Titolo V, che la definizione dei percorsi di
istruzione e formazione professionale erano demandati alla competenza ed alla
iniziativa delle Regioni. E queste ultime, nelle loro istanze di coordinamento
unitario avrebbero legiferato nel merito. Ed in sede di Conferenza unificata si
sarebbe dato corpo alla delega per quanto riguarda i dettagli dei percorsi e dei
curricoli dell’uno e dell’altro sistema. Così non è stato! Per non dire poi che
i licei durano 5 anni e i corsi regionali 4! Ricordo che nella prima versione
della legge tutti i corsi erano quadriennali per permettere l’uscita dei giovani
al compimento di 18 anni di età! Per allinearci alla maggioranza degli Stati
europei. E poi c’è stato il can can dei licealisti! Hanno gridato: che ne sarà
della nostra cultura se il liceo perde un anno di studi? E l’amministrazione si
è ricreduta. E siccome i professionalisti – se si può dir così – non hanno
battuto ciglio, l’istruzione e formazione professionale è rimasta di 4 anni!
Altro egregio esempio di leggerezza legislativa! Così andarono le cose ed oggi
sembra davvero impossibile emendare quel disposto di cui al punto g del comma 1
dell’articolo 2 della legge 53. Ed allora che fare?
Quinto: la risorsa dei campus – Come realizzare, ora,
quella pari dignità che, al di là di qualsiasi norma, deve comunque garantire
qualunque percorso formativo? A mio giudizio, se è vero com’è vero che sono
garantiti i passaggi dall’uno all’altro sistema, e che la stessa alternanza li
investe ed incrementa ambedue, la via da seguire è quella di por mano ad una
intelligente e fattiva integrazione. Ci sono le esperienze, ci sono le premesse
normative. Alludo ad una serie di dispositivi: l’’Accordo quadro Stato-Regioni
del 19/06/03 per l’avvio di corsi triennali di istruzione/formazione; l’ Accordo
Stato–Regioni del 15/01/04 per la prima definizione di standard formativi dei
percorsi triennali; la circolare del Mlps n. 40 del 14/10/04 relativo al nuovo
contratto delle tre forme di apprendistato (per l’espletamento del
diritto/dovere di istruzione; l’apprendistato professionalizzante; per
l’acquisizione di un diploma o percorsi di alta formazione); l’Accordo
Stato-Regioni del 28/10/04 per la certificazione finale e intermedia e
riconoscimento dei crediti formativi; il decreto del Miur n. 86 del 3/12/04 sui
modelli di certificazione dei crediti per i passaggi dall’Istruzione e
Formazione Professionale e dall’apprendistato all’istruzione statale;
l’ordinanza del Miur n. 87 del 3/12/04 sui passaggi dei giovani dall’IFP
all’istruzione statale.
Si tratta di percorsi che nei fatti permettono di superare
la dicotomia delle “due gambe” e di avviare curricoli in cui di volta in volta
si commisurano e si integrano conoscenze teoriche e competenze in ordine a
precisi obiettivi formativi. E’ la logica dell’insegnare/apprendere che una
volta disegnai con la metafora del millepiedi, alludendo al fatto che è sempre
vano cercare di distinguere ciò che è della teoria e ciò che è della pratica, in
quanto la loro connessione dialettica dà luogo a mille gambe, altro che a due!.
Ed è una logica curricolare, sistemica e modulare, che è anche conforme con
quella prospettiva, sulla quale tutti ormai concordiamo, che la nostra società
richiede sempre più lavoratori della mano e della mente insieme, della
informazione e della conoscenza, della tecnologia e della ricerca.
Accennavo al Punto secondo che l’attuazione sul territorio
di reti e consorzi di istituzioni che erogano istruzione ed anche formazione
consente di elaborare in modo più organico e mirato l’offerta formativa in
concomitanza con le competenze degli Enti locali. Una logica analoga è quella
che governa i campus per quanto attiene l’offerta formativa di istruzione e
formazione e livello di secondo ciclo.
In qualche parte ho letto – e riscrivo a memoria – che il
campus implica la riorganizzazione delle istituzioni formative esistenti in un
territorio (licei, istituti tecnici, istituti professionali, Cfp e
apprendistato) in un sistema educativo unitario, articolato nei due sottosistemi
dei licei e dell’istruzione e formazione professionale. In tal modo si
introducono forti elementi di flessibilità e continuità. In effetti, il campus è
in grado di aggregare tutte le possibili offerte formative presenti sul
territorio e può anche sollecitarne altre. Pertanto, il giovane che accede al
secondo ciclo, sostenuto da attività di tutoring, orientamento e riorientamento,
può effettuare un percorso formativo nell’uno e nell’altro dei due sistemi
mediante passaggi intermedi che gli consentono di accrescere le competenze
preprofessionali e/o professionalizzanti secondo le sue attese ed attitudini.
Indubbiamente è un modo diverso di fare scuola! Ma questa è la sfida che attende
noi e tutte le scuole dei Paesi ad alto sviluppo.
E per finire... è necessario guardare sempre ad orizzonti
più ampi: ad un mercato delle conoscenze e del lavoro sempre più globalizzato ed
esigente; agli impegni che abbiamo assunto a Lisbona, a Copenaghen, ed a
Maastricht lo scorso dicembre; alle lezioni che dobbiamo trarre dal Pisa 2003 e
alle scadenze del Pisa 2006. E considerare anche che la long life learning ci
obbliga a guardare agli sviluppi che occorre imprimere ai corsi IFTS, alla
“fatiche” che si fanno in sede universitaria per rinnovare percorsi in cui
l’istanza professionalizzante e quelle della ricerca siano il più possibile
congruenti anche se distinte.
E’ uno scenario in movimento complesso e veloce, a fronte
del quale le miserie e i limiti della legge 53 sono solo pagliuzze di cui i
tempi lunghi faranno giustizia!
Sempre che si abbia una chiarezza di fondo! Agli equivoci
del buon senso delle intenzioni e delle norme è bene che succeda il buon senso
del fare, però il fare delle autonomie delle Istituzioni Scolastiche e Formative
e delle Regioni, ma… illico et immediate!
Maurizio Tiriticco