Musica: un universo da intonare. Ma in Italia manca la formazione
Data: Sabato, 21 agosto 2010 ore 18:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
L’universo
musicale in Italia presenta un quadro quanto mai variopinto e poco
edificante per una delle patrie d’eccellenza della storia della musica,
nell’intero panorama internazionale. Dal termine degli anni ‘80 non si
bandiscono concorsi pubblici, a livello nazionale, per insegnanti di
musica. Inoltre, ad oggi, il sistema di istruzione italiano non
assicura un intero ciclo di studi (dalla scuola media inferiore
all’istruzione superiore) in campo musicale. I bandi che si erogano
all’occorrenza sono emessi dai singoli conservatori in assoluta
autonomia, la cui commissione è interna all’istituto e non viene
valutata da un organo superiore. In particolare, in questa sede faremo
riferimento a una materia, che dovrebbe rappresentare una disciplina
base sotto-rappresentata nel panorama formativo musicale: teoria e
analisi della musica. Ne parliamo con Claudia Scroccaro,
vincitrice di una borsa di studio per un dottorato presso la McGill
University di Montreal, Canada. Un caso specifico con cui confrontarsi
ed occasione per discutere della condizione formativa in campo musicale.
Perché teoria della musica all’estero?
Nel mio caso specifico “sto scappando” dall’Italia perché, per quanto
riguarda il mio settore, (ossia teoria della musica) non esiste una
vera e propria figura professionale. Mi spiego meglio: il tipo di
ricerca e di settore che ho scelto offre pochissimi sbocchi
professionali in Italia, primo fra tutti la difficilissima “carriera”
universitaria. Purtroppo i tagli relativi alla formazione, anche in
relazione ai docenti a contratto, figure specializzate in una data
materia, non ha contribuito a facilitarequesto tipo di percorso. Le
specializzazioni in ambito musicale sono ridotte.
Non è una materia dunque di studio frequente?
Purtroppo in Italia l’analisi e la teoria della musica è una disciplina
scientifica che occupa un ruolo marginale; ha una forte tradizione
nell’area germanica (esportata poi negli Stati uniti con l’ondata di
emigrazione durante la seconda guerra mondiale). In Italia c’è una
sorta di diffidenza da parte dei musicisti stessi nei confronti della
materia per cui non viene presa molto seriamente La teoria della musica
sembra essere relegata a pochi, una sorta di élite di musicisti-teorici
che vi si avvicinano solo per caso…magari compositori, direttori
d’orchestra e così via.
In realtà questo è dovuto ad un problema di fondo: la separazione della
teoria dalla pratica! Una vecchia storia a cui ora si cerca di ovviare,
presentando nuovi ambiti di ricerca che possano essere d’aiuto non solo
a persone appartenenti al settore, ma anche a musicisti veri e propri.
Quali sono secondo te, i motivi principali di questo “vuoto” didattico?
Se consideriamo che il conservatorio è un’istituzione separata
dall’Università, si possiedono già degli elementi di riflessione. In
conservatorio le discipline teoriche sono affrontate con esami annuali
omnicomprensivi, per esempio: l’esame di storia della musica in
conservatorio abbraccia un periodo che va dalle origini della musica a
Wagner, risultato: uno studio “a bignami”!
Nell’università la storia della musica è divisa tra antica, moderna,
contemporanea e addirittura anche a repertorio (drammaturgia musicale è
un esame a sé). Di contro, all’università non vi sono corsi pratici.
Spesso capita che, in alcuni corsi di teoria o di analisi della musica,
molti studenti non sappiano neanche leggere uno spartito. Le due
metodologie di insegnamento dovrebbero essere complementari sia nella
didattica che nella formazione dei docenti. Le conoscenze di un
insegnante di musica dovrebbero essere sia di carattere “strumentale”
(pratico) che teoriche.
Separazione tra teorica e pratica, metodologia nostrana o risentiamo di
determinati influssi esteri?
In linea ancora più astratta la divisione tra pratica e teoria è
qualcosa che abbiamo importato dalla Germania. Un approccio molto
filosofico ed astratto che purtroppo mal si applica alla nostra
tradizione culturale musicale. In Italia la musica è sempre stata
tramandata tramite l’insegnamento orale, ossia una tradizione solida
con una linea di continuità secolare che ha garantito sempre una
formazione eccellente, e difficilmente permeabile a teorizzazioni.
Permettimi dei riferimenti storici: la frattura creata dal pensiero
della Seconda Scuola Viennese (e qui mi riferisco a Schönberg, creatore
della musica dodecafonica), ha comportato un’iper- concettualizzazione
della musica, provocando un’astrazione assoluta della musica e, con il
tempo, quasi per la legge del contrappasso, una forte diffidenza verso
la teoria musicale. In realtà ripeto, si tratta di studi complementari.
Sei stata supportata in questa “scelta”, al termine del tuo percorso
formativo?
Due anni fa, il mio professore di cui ho estrema fiducia mi disse: ti
mando oltre oceano, perché qui non ti posso aiutare. Di lì a poco ho
seguito dei seminari di teoria ed analisi musicale tenuti da professori
di spicco degli Stati Uniti che mi hanno proposto di fare domanda
presso le loro università. Mi sono rivolta a diverse strutture del Nord
America ed è così che sono stata accettata dalla McGill in Canada, e
non degli Stati Uniti dove ho già la cittadinanza.
Non nascondo che il processo di selezione è complesso e richiede
un’accurata preparazione e pertanto, felici coincidenze a parte, un
pizzico di merito me lo prendo! I miei studi non si sono limitati solo
ed esclusivamente a quelli universitari, (Pianoforte e Direzione
d’Orchestra) ed è stata proprio la curiosità ed ecletticità degli
stessi, che mi ha garantita una formazione completa e consapevole.
Quale è la situazione attuale dei dottorati in campo musicale nel Bel
Paese?
I dottorati in Italia vengono pagati 14,000 euro l’anno ed è uno
stipendio garantito ai primi due studenti che vincono il concorso ogni
anno (per tre anni!), poi ci sono i beneficiari del dottorato, senza
borsa di studio pertanto, senza finanziamenti. Inoltre, come accennavo
prima, l’offerta formativa è limitata e, ci si può trovare “ad
assecondare” quello che si trova, a prescindere dai propri interessi
scientifici. Mi spiego meglio. nell’università in cui andrò ci saranno
almeno 4 professori diversi solo per teoria della musica, ognuno dei
quali ha una sua specializzazione nel campo, e da cui potrò cogliere
aspetti sempre nuovi e diversi.
Risvolti positivi dell’istruzione italica?
Per quanto mi riguarda l’esperienza positiva che ho vissuto qui in
Italia è dovuta all’iniziativa personale dei professori con cui ho
studiato. Docenti che si fanno letteralmente in quattro per aiutare gli
studenti. Da noi, (Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Roma
Tor Vergata, Dipartimento di Musica) il corpo docenti è costituito da
quattro professori, ognuno dei quali tenta, per quanto possibile, di
inserire i ragazzi meritevoli in contesti professionali,
“proteggendoli” da eventuali proposte di lavoro “illusorio” presso
accademie ed istituzioni, che non offrono retribuzioni o contratti.
Permettimi di ricordare, il Professor Giorgio Sanguinetti, e insieme a
lui, Giorgio Adamo (Presidente del corso di laurea), Agostino Ziino
(fondatore del dipartimento) e la Professoressa Claudia Colombati (in
realtà oltre a loro ci sono molti altri Professori che insegnano “per
beneficenza”) per la loro instancabile cura e dedizione
all’insegnamento nel suo valore più ampio. E in generale, la facoltà di
lettere ha dei professori eccezionali che si mobilitano e prodigano per
noi.
Quale è l’iter per presentare la domanda di dottorato presso
un’università nordamericana?
Per quanto esista un’uniformità di base nelle richieste da parte dei
programmi di dottorato in teoria e analisi della musica (laurea
specialistica, media alta, certificati per la lingua inglese: TOEFL e
GRE, lettera motivazionale e lettere di raccomandazione), ogni istituto
richiede materiale scientifico diverso. Io ho preparato tre ricerche di
cui due, dimostravano delle competenze di base molto solide, e un’altra
presentava una metodologia sperimentale ed innovativa (una sorta di
proposta di ricerca che ora sto sviluppando per la tesi finale).così da
fornire un programma di ricerca articolato.
Quello che mi ha stupita maggiormente è l’efficienza della loro
“macchina” burocratica e amministrativa: non solo è possibile gestire
un proprio profilo on-line dal quale scaricare tutti i documenti
necessari (addirittura sapere le previsioni del tempo!), caricare le
proprie schede e così via, ma si è costantemente in contatto conil
personale dell’ufficio ammissioni.
Garanzie economiche della borsa di studio canadese?
Sulla base della mia domanda, mi hanno offerto una borsa di studio
esclusivamente per il primo anno, cosa comprensibile: per gli anni
successivi dovrò mantenere un livello alto di preparazione e dimostrare
di meritarmi altre sovvenzioni. A livello quantitativo si tratta di una
borsa che copre interamente la rata del primo anno, più uno stipendio
di 9,000 CAD $ (circa) che posso utilizzare a mio piacimento
(ovviamente li userò per pagarmi l’affitto!).
Imparare dal sistema americano?
Certamente! Negli Stati Uniti e Canada tutti coloro che studiano
musica, sono obbligati a seguire i corsi di teoria e analisi…
ovviamente come spesso accade questa può essere un’arma a doppio
taglio: da una parte può aiutare a rendere più consapevole uno
studente, dall’altra può corrompere l’istinto. A mio avviso va trovata
una formula più snella e dinamica (cosa che negli USA non è possibile)
in modo che ogni studente di conservatorio possegga dei rudimenti di
base che gli consentano di sviluppare una personalità musicale
individuale. Negli USA sembra invece ormai troppo standardizzata.
Quando dici che gli studi musicali negli USA sono troppo
standardizzati, intendi dire che condizionano la personalità artistica
dello studente, inibendone lo spirito creativo?
Non credo che lo spirito creativo venga eccessivamente indebolito. Per
esperienza personale, è qualcosa che difficilmente si può arginare.
Piuttosto, oserei dire, che gli studenti americani possiedono una
formazione base, troppo uniforme: tutti gli studenti di un determinato
ambito (che sia strumento, composizione, teoria e così via) seguono più
o meno sempre le stesse materie, a prescindere dall’università nella
quale sono iscritti. Non esiste un margine di scelta (cosa che per
esempio in Italia è ancora fattibile). Inoltre tendono ad etichettare e
razionalizzare tutto lo “scibile”, per cui ogni studente sembra avere
un repertorio standard, tuttavia uno spirito creativo sfugge alla
stereotipizzazione.
Come spiegheresti l’importanza dello studio della teoria della musica a
un neofita?
Ecco, bella domanda! E soprattutto distinguerei tre possibili risposte:
una per i musicisti curiosi; una per i musicisti diffidenti; ed una
terza per i non-musicisti. Procedendo a ritroso, ad un non-musicista,
direi che la teoria e l’analisi della musica contribuiscono a
comprendere cosa accade durante un brano, e a rendere l’ascoltatore più
partecipe degli eventi musicali nella fase di ascolto. Ovviamente nel
caso di un non-musicista leggere la musica o meno non ha molta
importanza, per loro è sufficiente riuscire a trovare un modo per
associare la musica a qualcosa che li appartiene direttamente: un
racconto, una sensazione, un’altro brano, una poesia e così via, ma
hanno bisogno di qualcuno che li sappia guidare in questo. Ad un
musicista curioso direi semplicemente che si tratta di uno strumento
necessario ed utilissimo a fornire maggior consapevolezza
nell’esecuzione e nella scelta interpretativa. Ad un musicista
diffidente direi che la teoria e l’analisi della musica sono delle
discipline che mediano la parte istintiva con quella razionale
dell’esecuzione.
Nessuno quando suona un brano pensa che la propria esecuzione sia la
più vicina alla volontà del compositore, ma sente che il suo modo di
interpretare il brano è convincente. Perché preferire l’interpretazione
di Abbado a quella di Bernstein? Qui subentra il gusto…sono entrambe
valide! La stessa cosa avviene con l’analisi: la teoria e l’analisi
della musica forniscono delle coordinate di riferimento (un po’ come
gli assi cartesiani) che consentono di inquadrare e capire la
successione temporale degli eventi musicali. E’ vero, a volte l’istinto
viene corrotto dalla razionalità, ma in un buon musicista, entrambe le
manifestazioni, sanno darsi spazio nel modo e nei tempi giusti.; solo
una adeguata combinazione porta a risultati musicali convincenti
In merito all’approssimarsi dell’inizio del tuo dottorato, partire è un
po’ morire….
In tutta sincerità mi dispiace lasciare l’Italia, dove ho lavorato e
studiato con molte persone di fiducia e di cui ho molta stima, abbiamo
i professori e i ricercatori migliori al mondo (e non è un’affermazione
retorica!).Il problema è che una volta esaurita la formazione (ossia il
dottorato) non avrei molti sbocchi e soprattutto durante il dottorato
non avrei molte opportunità di insegnare (quindi costruirmi un
curriculum), questo sempre in base all’ambito disciplinare di ricerca
che ho scelto. Le possibilità pubblicistiche in realtà sono più alte in
Italia di quanto non lo siano negli Stati Uniti, ma credo fermamente
che l’esperienza dell’insegnamento sia molto più utile, anzi,
indispensabile.
Buona fortuna Claudia e buona fortuna a tutti gli uomini di buona
volontà, desiderosi di apprendere oltre i confini mentali, spirituali e
territoriali.
Amanda Coccetti
(da http://www.corriereuniv.it/)
redazione@aetnanet.org
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