Nord-est, i giovani ormai prigionieri del «pensiero corto»
Data: Lunedì, 09 agosto 2010 ore 09:55:48 CEST Argomento: Rassegna stampa
Stiamo tornando
indietro, c'è da allarmarsi: i ragazzi ormai non sanno usare altri
tempi se non l'indicativo, è come se avessero chiuso il cervello in una
prigione, solo pensieri corti e concetti strizzati dalla formula degli
sms; ed è questo, temo, il futuro”: se ne lamenta Maria Giuliana
Bigardi, direttore di un ufficio scolastico provinciale tutt'altro che
periferico in questa Italia che sta spostando il linguaggio verso
spiagge inquietanti. Siamo a Treviso,
piccolo cuore di una realtà economicamente evoluta, socialmente
rattrappita, culturalmente in ritirata. È qui che le panchine vengono
nella pratica impedite a chi ha la pelle scura, è il regno di
Gentilini, il leghista felice di sentirsi chiamare sceriffo, dove i gay
sono ancora “culattoni”, così come recentemente li ha definiti con
spavalderia il figlio di Bossi, perché “dire le cose come stanno
significa dare il pane al pane” spogliandole dai tatticismi di un
linguaggio “progressista” che evidentemente si ritiene infingardo e
manipolatore. La parola d'ordine, in questa realtà politica e
soprattutto di potere, è “semplificare”, perché in questa
semplificazione abiterebbe la verità. E secondo questa visione delle
cose, la “verità” troverebbe nel dialetto il suo tappeto volante; per
questo motivo, qui nel Veneto, la Lega sta premendo per introdurre il
dialetto nelle scuole primarie e secondarie come vera e propria materia
di studio. Quando chiesero a Mauro Marin, il vincitore dell'ultima
edizione del Grande Fratello, cosa pensasse della vita e del mondo, lui
rispose con un colpo di lama abbagliante: “So solo di essere nato a
Castelfranco – disse – e che questo è il mio territorio”. Marin è un
laureato, non un analfabeta. “Semplificando, riducendo la complessità
del linguaggio – spiega la dottoressa Bigardi – i ragazzi faranno
fatica a capire ciò che li circonda e anche e soprattutto gli altri,
non riusciranno più a lavorare di empatia, l''altro' sarà un muro
insormontabile”. Un giornale locale si è attivato ed è andato a filmare
una sorta di sondaggio tra i giovani, under 18, nel centro di Treviso.
Hanno chiesto loro di coniugare al passato remoto il verbo cuocere e
altre amenità;non è andata malissimo, ma la notizia è che solo le
ragazze hanno accettato di parlare davanti alle telecamere: i
maschietti hanno sempre rifiutato. Timidezza oppure consapevolezza di
una insufficienza non mimetizzabile? Comunque, un rifiuto decisamente
“di genere”, una difficoltà “di genere”. “Vede – aggiunge la signora
Bigardi – sottraendo complessità al linguaggio gli si scippa anche il
ruolo di mediatore “politico” nelle relazioni sociali e lo si avvia
verso un ruolo improprio, in cui la prima funzione è pericolosamente
contundente, sulla base di un automatismo elementare”. Benissimo: ecco
impostate le radici di una nuova e più ampia violenza nelle relazioni.
Colpa di chi? “Anche della scuola – risponde Bigardi – è una questione
di formazione e non penso solo agli studenti ma anche agli insegnanti.
Il dialetto è una buona cosa, tutto dipende da come si intende
adottarlo in ambiente scolastico, vedremo che strada si intenderà
seguire”. Intanto a Nord Est, dove governa una Lega molto ipocrita.
Eccone un aneddoto. L'assessore provinciale di Padova, Enrico
Pavanetto, esponente del Pdl, ha infilato nel suo sito on line una
serie di foto in cui lo si vede fare il saluto romano, poi accanto al
calciatore Di Canio, quello che fece il saluto fascista allo stadio. È
scoppiato un putiferio, l'opposizione ha chiesto le sue dimissioni ma
la Lega non saputo fare altro che obiettare “leggerezza” nell'uso di
Facebook al collega di Giunta. Un consigliere comunale padovano del
Pdl, Vittorio Aliprandi, ha inviato a Pavanetto un messaggio di
solidarietà: “Non ho dubbi se devo scegliere tra un fascista e un
frocio”. Rieccoci (da L'Unità)
Redazione
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