I TEST STANDARDIZZATI PRESI TRA DUE FUOCHI
Data: Sabato, 07 agosto 2010 ore 09:56:28 CEST Argomento: Rassegna stampa
Il ministro
dell'Istruzione annuncia il ricorso a test standardizzati per misurare
le competenze e i progressi degli studenti. E' una decisione largamente
condivisibile, nonostante le critiche degli insegnanti. Ma non certo
per le ragioni indicate dal ministro. I test sono un modo per capire e
tentare di risolvere i problemi del sistema scolastico sulla base di
evidenza empirica su cosa funziona e cosa non funziona. Non possono
invece svolgere altri compiti, come ad esempio migliorare la didattica.
Né tanto meno la loro adozione si trasforma automaticamente in crescita
dell'economia.
(Alberto Martini da http://www.lavoce.info/)
Con un comunicato del 15 luglio 2010 inneggiante alla meritocrazia, il
ministro dell’Istruzione annuncia una decisione largamente
condivisibile: istituzionalizzare l’uso di test standardizzati Invalsi
in ogni ordine di scuola, per misurare conoscenze e competenze degli
studenti due volte l’anno, all’inizio e alla fine, e osservare i
progressi compiuti.
Questa decisione saggia viene criticata a sinistra con una dose
stupefacente di retorica e superficialità e disinformazione, e
motivata dal Ministro con una dose altrettanto stupefacente di retorica
e superficialità e disinformazione.(1)
I commenti all’articolo sul comunicato del Ministro apparsi sul sito di
La Repubblica il 17 luglio sono in buona parte di docenti,
presumibilmente di sinistra. Ebbene, praticamente nessuno di
questi commenti rivela una visione matura del problema: quello che si
trova nei commenti è solo il malcostume di commentare le decisioni
insultando il decisore ed evitando accuratamente di entrare nel merito
delle questioni.
QUELLO CHE I TEST NON FANNO
Ma veniamo al merito della questione. Innanzitutto, non ha senso
definire i test Invalsi “oggettivi”. Non sono oggettivi, sono solo
standardizzati, cioè uguali per tutti. Questa è la loro forza. Possono
essere discutibili nei contenuti, limitati nello spettro di competenze
che coprono, possono contenere errori o inesattezze, ma sono utili
perché consentono confronti, nel tempo, tra scuole e aree geografiche,
tra gruppi sociali.
Non ha neanche senso affermare che i test permettono di “rilevare le
carenze di ogni singolo studente”. Èevidente che queste vengono
rilevate giorno dopo giorno dagli insegnanti: sarebbe molto grave se la
scuola aspettasse un test una volta o due all’anno per scoprirle.
Né ha senso parlare di “valutare oggettivamente i rendimenti delle
singole classi”. Quello che un test standardizzato può fare è rivelare
anomalie nei risultati ottenuti da una singola classe (e più
realisticamente da una singola scuola) quando è confrontata con le
altre classi (o scuole).
Ma occorre essere molto cauti nell’interpretare questi confronti. La
scuola A può dare nei test risultati peggiori della scuola B per
almeno tre ordini di motivi: a) perché ha studenti più scadenti in
partenza; b) perché ha docenti più scadenti; c) perché ha avuto
dirigenti più scadenti. Purtroppo tende ad esserci correlazione
positiva tra questi tre fattori, il che rende ancora più difficile
ricavare dal confronto una diagnosi precisa per il singolo caso,
tantomeno l’attribuzione di precise responsabilità.
Occorre un’accurata analisi statistica per isolare l’effetto
“studente” dall’effetto “docenti” e dall’effetto “dirigente”: è
un'operazione fondamentale per poter valutare la performance dei
diversi soggetti, ma per farla c’è bisogno di un robusto quadro
informativo, di cui i punteggi nei test sono solo un elemento. E per
quanto accurata e onesta, l'analisi darà indicazioni di massima, su cui
è possibile basare azioni di rinforzo e stimolo, non certo decisioni
impegnative e delicate quali la retribuzione del singolo docente o la
sua carriera.
SONO SOLO UNA DIAGNOSI, NON LA CURA
Ha ancora meno senso affidare interamente ai test l'obiettivo di
migliorare la qualità della didattica e per giunta attraverso
meccanismi di tipo premio-punizione. Il problema non è se una tale
visione della scuola sia è di “destra” o di “sinistra”, il problema è
che semplicemente non funziona, come dimostra l’abbondante esperienza
internazionale e la connessa letteratura scientifica.
A cosa servono dunque i test standardizzati? I test scolastici sono
come quelli clinici, servono a identificare patologie, debolezze,
carenze. Ancora di più assomigliano agli studi epidemiologici perché
identificano problemi a livello collettivo, e non a livello del singolo
paziente, pur richiedendo dati sui singoli pazienti.
Test clinici e scolastici condividono un’altra caratteristica: hanno
senso se c'è la volontà di curare il paziente una volta individuato un
problema, non di colpevolizzarlo o peggio di punirlo. (2)
“Lei ha la glicemia a 150”. Cento euro di multa! “Lei ha la
minima a 120”. Si vergogni!
Questo è il cuore del problema, che né il Ministro né i suoi detrattori
di sinistra sembrano capaci di riconoscere. I test nella scuola
sono un modo di capire e tentare di risolvere i problemi sulla
base di evidenza empirica su cosa funziona e cosa non funziona. E
non invece sulla base di interessi corporativi o esigenze di bilancio,
entrambi mascherati in modo più o meno maldestro con ideologismi vecchi
(“bisogna cambiare il “sistema”) o nuovi (“il merito è il motore
della crescita”).
(1) In realtà c’è già una legge, la 276 del 2007, che richiede la
misurazione dei progressi sottoponendo a test gli studenti di II e V
elementare, I e III media, II e V superiore. L’Invalsi già lavora su
questi test: ad esempio, il 17 giugno 2010 si è svolta la prova
standardizzata per la terza media. Il comunicato del ministro tace del
tutto su questo fatto.
(2) Un rischio del nuovo corso ministeriale è passare da nessun test a
troppi test. Già quelli individuati dalla legge 276 forse sono troppi.
A scopo diagnostico, ne basterebbero tre ben fatti: V elementare, III
media e V superiore, con l’aggiunta di una anagrafe degli studenti
funzionante. L’esempio della Polonia da questo punto di vista è da
imitare.
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