La scuola non è uguale per tutti
Data: Venerdì, 06 agosto 2010 ore 15:07:30 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Segnaliamo un importante articolo del quotidiano "Il Riformaista" di oggi che serve a chiarire le cause di tante disfunzioni della nostra scuola. Il suo pregio è pure quello di basarsi su dati scientifici e studi liberi da qualsiasi preconcetto. Lo riportiamo.
"Da decenni ci crogioliamo nel mito di un paese che offre, almeno a scuola, le stesse opportunità a tutti. Ma l'egualitarismo nella selezione degli insegnanti sta creando invece da anni delle abissali ingiustizie a danno degli studenti. Il criterio di anzianità che domina le carriere dei docenti e che dovrebbe scongiurare arbitrarietà, è fonte di diseguaglianze".
Uno studio di Gianna Barbieri (ministero della Pubblica Istruzione), Claudio Rossetti (università Luiss) e Paolo Sestito (Banca d'Italia) sulla mobilità degli insegnanti italiani che si trova tra i “temi di discussione” che la Banca d'Italia pubblica occasionalmente sul suo sito, svela un vero universo di incongruenze nel sistema scolastico italiano. Egualitario solo formalmente, nella sostanza ingiusto nei confronti degli studenti soprattutto per colpa di un metodo di reclutamento e di spostamento dei docenti che ha sempre rifiutato qualsiasi criterio anche solo lontanamente assimilabile al merito. Il risultato è che gli studenti delle scuole più “difficili”, inserite in un contesto socio-economico svantaggiato o con una presenza maggiore di disabili o di immigrati, sono condannati ad avere gli insegnanti più giovani, inesperti e meno motivati. Per dirla con gli studiosi, sono condannati a «una significativa persistenza della minore qualità».
I docenti italiani sono notoriamente distribuiti per scuole in base a un sistema centralizzato che si affida all'anzianità. Ciò esclude qualsiasi possibilità di scelta da parte dei singoli istituti, in base a un principio di eguaglianza che vuole scongiurare «decisioni arbitrarie prese dai manager scolastici». Gli svantaggi sono evidenti.

Siccome l'anzianità non determina solamente l'affidamento iniziale degli insegnanti a una scuola o a un'altra, ma anche la loro possibilità di essere assunti a ruolo, il loro (basso) livello di stipendio e la loro possibilità di scegliersi un'altra sede, quest'ultima diventa una sorta di compensazione. Molti di loro, afferma lo studio, non vedono l'ora di acquisire l'anzianità sufficiente per spostarsi altrove. Il risultato è un'elevata mobilità tra i docenti italiani: non solo per l'alta presenza di precari, ma anche perché ogni anno oltre 100mila domande di trasferimento vengono presentate da docenti di ruolo. D'altro canto, siccome gli istituti stessi non hanno alcun ruolo nella scelta del corpo docente, «le scuole non hanno alcun interesse a tagliare i costi o a migliorare la qualità del personale».

I motivi principali che spingono gli insegnanti a fare domanda di trasferimento sono due: la lontananza dalla propria città di provenienza e la caratteristica delle scuole o degli studenti che le frequentano.

Siccome la gavetta è di norma molto lunga (si diventa di ruolo attorno ai 40 anni), i docenti accettano all'inizio qualsiasi sede gli venga offerta. Appena ne hanno dunque l'opportunità, chiedono di tornare nella città o nella provincia di provenienza. Il risultato è che a 25 anni distano in media 300 chilometri dalla città natale, mentre tra i 40 e i 65 anni la lontananza da casa di riduce drasticamente a più o meno 100 chilometri.

Ma il risultato più allarmante dello studio di Barbieri, Rossetti e Sestito è indubbiamente la propensione degli insegnanti a chiedere lo spostamento in un'altra scuola quanto ci sono molti studenti disabili o stranieri. E c'è anche una chiara relazione tra la probabilità che i docenti chiedano di essere trasferiti e il contesto socio-economico che caratterizza le classi.

«In particolare - si legge nel saggio - c'è un rapporto estremamente forte tra la probabilità di chiedere un trasferimento e il tasso di analfabetismo, la quota di occupati in agricoltura e la numerosità delle famiglie». Un altro criterio che influisce è «il basso tasso di occupazione». Gli insegnanti sono quindi «più propensi ad abbandonare le scuole più difficili». Il che è grave, ne deducono gli autori, perché in questi istituti restano in cattedra «i meno esperti e i meno motivati».

Forse sarebbe più saggio, soprattutto per non condannare gli studenti più svantaggiati al circolo vizioso ben descritto nel paper, da cui escono più deboli e meno “uguali” dei loro coetanei, abbandonare il vetusto criterio dell'egualitarismo, anche piuttosto ipocrita, riformando il sistema attuale, basato solo sull'anzianità. È ormai evidente che il rifiuto del merito crea solo grandi ingiustizie.
(di Tonia Mastrobuoni da: http://www.ilriformista.it/)








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