La scuola vista da una “maturata”
Data: Lunedì, 19 luglio 2010 ore 11:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
di Chiara Cudini
Ebbene, è “ormai” passata più di una settimana dalla conclusione del
mio percorso scolastico. Posso iniziare a vedere con lucidità e senza
rancori (qualche nervoso per un determinato professore, per un voto
ecc. penso lo si ricordi comunque per lungo tempo) la scuola, la sua
organizzazione e la preparazione che essa offre.
Innanzitutto, mi sono diplomata in un liceo scientifico con risultati
soddisfacenti, per sottolineare il fatto che alcune critiche che
solleverò non sono dettate dall’insoddisfazione personale, anche perché
non mi limiterò ad analizzare solo il mio percorso ma anche di miei
conoscenti, di quello che so riguardo ad altre scuole, ad alcuni casi
di professori, perciò la mia è una visione generale.
Guardandomi indietro, non posso che sentirmi un po’ preoccupata. Mi
spiego. Non posso dire di essere contenta riguardo a quello che la
scuola offre oggi (ripeto, non necessariamente a livello personale),
per due motivi in particolare: l’impreparazione di alcuni insegnanti,
non a livello di conoscenze (questo è un altro punto) ma soprattutto a
livello pedagogico, in quanto trovo abbiano alcune difficoltà a
trasmettere il loro sapere; le difficoltà crescenti delle scuole
per la mancanza di fondi.
Ammetto che fare l’insegnante dev’essere difficile quasi quanto fare il
genitore, se pensiamo al ruolo di educatore che dovrebbe avere, e per
questo motivo penso che per fare un mestiere del genere si debba
possedere una certa passione, una certa dose di pazienza e una
preparazione su come affrontare i bambini, gli adolescenti, i
“nascenti” adulti. Ho notato, invece, che fare questo mestiere è
diventato oggi un ripiego per chi, laureato, non trova lavoro. E non ho
nulla da rimproverare a queste persone, se non trovano lavoro un motivo
c’è, ma pretenderei comunque da loro un impegno adeguato, che
permettesse agli studenti di apprendere ciò che loro sanno, senza
imporre loro la loro frustrazione, la loro ideologia. Quest’ultima, in
particolare, mi preoccupa. Infatti, esistono ancora casi un cui lo
studente, che la pensa diversamente dal professore, deve pagarne le
conseguenze e subire una sua valutazione ingiustamente negativa (si sa,
gli insegnanti hanno il coltello dalla parte del manico). E non lo
trovo affatto giusto per un semplice motivo: la scuola, appunto, ha un
ruolo educativo, per il fatto che lo studente, studiando il passato, le
ideologie di grandi pensatori, le proposte per il progresso futuro,
deve, negli anni in cui inizia a pensare con la sua testa, essere in
grado di formare un SUO pensiero, un SUO credo, una SUA ideologia. Se
essa si rivelerà sbagliata nel tempo non è un problema, ogni
convinzione può cambiare nel corso degli anni. Ma cosa succede se lo
studente, evidentemente più maturo, ha già una propria personalità e
ideologia? Che non segue semplicemente la massa o non è influenzato da
chi lo circonda? Ad alcuni insegnanti non sta bene, perché la pensano
diversamente, perché sentono una competizione, perché preferisono avere
a che fare con una moltitudine uguale, piatta, più facilmente
gestibile, piuttosto che con persone, individui diversi che si stanno
formando e che rappresentano il loro futuro.
Inoltre, se alcuni professori si trovano a fare questo mestiere non per
passione ma per necessità, lo studente sente un certo rifiuto per
questa materia. Si sa, se una cosa non la si fa con passione, si
rischia di farla male. Il loro compito dovrebbe essere, invece, quello
di coinvolgere direttamente gli studenti, trasmettere l’interesse,
puntare sulla curiosità, e, soprattutto, farli entrare nell’ottica
dell’epoca, nella testa di quel filosofo piuttosto che di quello
scrittore, farli riflettere e pensare.
Ho esposto le critiche agli insegnanti, ma bisogna ovviamente tenere in
considerazione la buona fetta di responsabilità degli studenti, i loro
atteggiamenti, il loro comportamento, la loro crescente svogliatezza e
il loro disimpegno, sarà che ormai gli stimoli sono pochi?
Un altro problema è, appunto, la mancanza di fondi. In tempo di crisi,
si sa, bisogna fare delle rinunce, dei tagli ecc., ma non trovo che
tagliare sull’istruzione sia di giovamento, proprio perché in futuro,
sarà determinante la preparazione e la formazione di quelli che adesso
sono “solo” giovani studenti. Insomma, si sta parlando di tagli sul
progresso della nazione. A questo proposito mi ha colpito la decisione,
in Germania, di fornire uno stipendio mensile di 300 euro agli studenti
più meritevoli, sulla base dei voti e non del reddito dei genitori,
andando a colpire l’8% della popolazione universitaria per una spesa di
300 milioni di euro all’anno. Infatti, Angelo Bolaffi (direttore
dell’Istituto italiano di cultura a Berlino) dichiara che “il ministero
dell’Istruzione è l’unico a non aver subito tagli, anzi ad aver
beneficiato di aumenti […] tutta l’azione del governo si basa sul
presupposto che scuola e ricerca non si toccano, sono settori
strategici per chiunque voglia competere nella globalità”. Mi pare un
discorso sensato, se si pensa che in Italia c’è la più bassa
percentuale di borse di studio (0,12% del Pil contro lo 0,25% della
media Ocse) e che quando da noi si assegnano 100.000 borse, in Francia
se ne garantiscono 400.000 (dati forniti da Claudio Gentili ne Il
corriere della sera). La decisione tedesca ha ovviamente suscitato un
dibattito su cosa, fra egualitarismo e meritocrazia, debba prevalere.
Ad esempio Roger Abravanel (autore di “Meritocrazia”) appoggia la
ministra dell’Istruzione tedesca Annette Schavan, sostenendo che “al
centro dell’interesse non c’è più un gruppo sociale (chi ha un basso
reddito) ma il singolo individuo col suo valore, sganciato dal proprio
contesto economico di origine”, mentre si oppone ad esempio Giovanni
Floris (autore di “Mal di merito”) che pensa che “l’aiuto ai meno
ricchi serve per sfondare le troppe porte chiuse”.
Al di là del dibattito, fa riflettere come in altri Paesi si punti (con
vari mezzi) sull’Istruzione. Quando da noi, si fa sempre più fatica a
trovare i fondi per i corsi di recupero, per attivare altre attività o
semplicemente per il materiale necessario in una scuola. Queste
difficoltà vengono espresse bene da una lettera aperta al ministro
Gelmini da parte del dirigente scolastico Antonio Panazzione del liceo
scientifico statale di Roma, che solleva il problema di un possibile 6
politico a tutti o di una bocciatura di massa, data l’impossibilità di
attivare corsi integrativi. Ed è una difficoltà che riscontra la
maggior parte della scuole italiane.
Insomma, non chiedo di avere come insegante un John Keating,
protagonista de “L’attimo fuggente” interpretato da Robin Williams,
sarebbe pretendere troppo, ma richiederei l’attenzione sull’importanza
di avere un insegante valido e umano, soprattutto, con il quale si
possa avere un rapporto di stima e rispetto (chi non ha nel cuore un
insegante speciale che ricorderà con piacere tutta la vita?). E chiedo
attenzione sul delicato problema che il mondo dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca sta affrontando, quello della mancanza
di soldi, per giungere alla consapevolezza che il progresso e il
risollevamento di una nazione parte prorio da qui.
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