Dalla valutazione del no alla valutazione del sì
Data: Domenica, 18 luglio 2010 ore 18:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Dario Missaglia interviene molto puntualmente sul tema della valutazione (vedi su Education 2.0 l’estratto da un suo racconto contenuto in “Educo Ergo Sum”), senza chiamare in causa i grandi principi docimologici, ma semplicemente rifacendosi a quella che potremmo definire la “cultura degli insegnanti” in materia, o per lo meno della loro grande maggioranza. Così in un consiglio di classe il professor Pizzetti afferma che questi ragazzi non ne vogliono sapere di studiare e che non sanno neppure il verbo essere. E la professoressa Monica soggiunge che non hanno grandi motivazioni allo studio, non hanno voglia di studiare.

È lo spaccato di una realtà più che presente nelle nostre scuole dove la valutazione del no occupa sempre il primo posto e solo raramente emerge quella del sì! Quanti genitori hanno sentito il solito ritornello? Suo figlio non studia! Non si applica! Non mi segue! Non mi ascolta! Non si impegna! Non ha voglia! Se continua di questo passo, non ce la farà! E nei consigli di classe la solfa non cambia! Questi ragazzi non conoscono le nozioni più elementari! Non potranno mai farcela! Ma perché hanno continuato a promuoverli in queste condizioni?

Poi nel consiglio di classe del racconto di Missaglia si accende una piccola luce, quando i due insegnanti cercano di farsi una ragione di tale disastro: che cosa rimproveriamo a questi ragazzi? Di non aver avuto genitori colti? E di non aver incontrato maestri e professori capaci di incuriosirli? E infine il professor Boni, tecnico di laboratorio, sembra sentenziare: è vero, sono segnati dalla vita che hanno, che ci possiamo fare?

E la discussione potrebbe continuare! Tuttavia, tutti riconoscono che in laboratorio i ragazzi sembrano impegnarsi; lavorano al pezzo e leggi la soddisfazione sul loro volto quando il compito è riuscito. Quindi, gli insegnanti potrebbero percorrere una strada opposta a quella tradizionale: si potrebbe partire dalla esperienza concreta dei ragazzi e non dalla solita lezione ex cathedra! Qui il tema si farebbe interessante, ma si è fatto tardi e la preside chiude la riunione! Non rimane che pensare che c’è chi nasce per studiare e chi per lavorare!

Resta purtroppo un fatto: che la nostra scuola non è ancora in grado di attivare quella discriminazione positiva che permetterebbe di garantire a ciascuno il suo personale successo formativo: si tratta di un impegno che abbiamo assunto nel ’99 con l’avvio dell’autonomia delle istituzioni scolastiche! La nostra scuola continua a legittimare e a riprodurre quei condizionamenti socioculturali che certa sociologia ha analizzato fin dagli anni Settanta del secolo scorso. Insomma, nessuno nasce Gianni e nessuno nasce Pierino! Sono i condizionamenti sociali a produrli e una scuola incapace di assolvere al suo ruolo a legittimarli.

Finché la valutazione del no la farà da padrona, c’è poco da sperare! Proprio negli anni Settanta, quando nella scuola dell’obbligo abolimmo voti e pagelle, pensammo che la valutazione del sì cominciasse a farsi strada, anche se con fatica. Non è produttivo sapere – così pensavamo allora – che cosa non sa e non sa fare il nostro alunno, ma che cosa, invece, sa e sa fare: è dato per scontato che nessun essere umano è una tabula rasa (fatta esclusione per gli handicap perinatali) e che ciascuno di noi sa e sa fare sempre un qualcosa. È chiaro che, se un insegnante ha in testa i cinque voti negativi e i cinque positivi come timone iniziale della sua didattica, la sua azione è fallita in partenza! Insomma, è necessario scoprire dentro quel NON perentorio attribuito al Gianni di turno che cosa si nasconde, invece, di vitale, di positivo su cui cercare e insistere! Il fatto è che il Gianni di turno non sa parlare e non sa leggere secondo lo standard dell’insegnante! Ma che cosa concretamente dice, quando parla e quando scrive? È sui concreti “livelli di partenza” – così li chiamavamo allora – di ciascun alunno che occorre cominciare a lavorare, non sui “prerequisiti” impliciti che l’insegnante della tradizione ha costruito nella sua testa, senza sapere neanche perché! Se un insegnante di una prima media dopo il primo giorno di scuola dice a se stesso che non sa dove metterà le mani con una simile classe, è segno che ha già fallito! È il solito medico che vuole curare solo i raffreddori perché incapace di affrontare le vere malattie!

Sarà difficile rimontare tale situazione! E lo dice anche Missaglia nel suo racconto. “Se il ritorno al voto decimale ha prodotto una crescita delle bocciature, vuol dire che in questi anni si è radicata una nuova forma di darwinismo brutale, incolto ma potente, e che un patrimonio culturale, che aveva alimentato gli studi sul ruolo del condizionamento sociale sui processi di apprendimento e di selezione scolastica, è stato eroso. E, in questo deserto, è probabile che una parte degli insegnanti abbia visto nel ritorno al voto decimale una sorta di restituzione, finalmente, del potere dei docenti”.

Per concludere, dichiaro ciò che maggiormente mi preoccupa. Il ritorno al voto nella scuola media, punto debole del nostro sistema di istruzione obbligatoria, avvertito anche da Missaglia addirittura come un “buco nero” in un altro suo scritto, “La scuola e i giovani nel Rapporto ISTAT”, sempre su Education 2.0, coniugato con quel ritorno a un preteso rigore rappresentato dalla prova nazionale Invalsi dell’esame finale, non farà altro che incrementare con maggior vigore la “produzione” di tanti nuovi Gianni! E l’obbligo di istruzione decennale? E le competenze culturali e di cittadinanza che tutti i nostri sedicenni dovranno acquisire? Mah! E i due milioni di giovani che oggi non vanno a scuola né lavorano aumenteranno!







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