Il dibattito di apertura alla Camera sulla riforma Moratti dello stato giuridico della docenza universitaria
Data: Lunedì, 21 febbraio 2005 ore 21:33:22 CET
Argomento: Normativa Utile


Discussione del disegno di legge: Delega al Governo per il riordino dello stato giuridico dei professori universitari (4735) e delle abbinate proposte di legge: Angela Napoli; Angela Napoli; Angela Napoli; Gazzara; Migliori; Angela Napoli; Caminiti; Angela Napoli; Angela Napoli; Mario Pepe ed altri; Ranieli ed altri; Mario Pepe ed altri; Titti Simone e Russo Spena; Santulli; Dorina Bianchi ed altri; Grignaffini ed altri; Mario Pepe ed altri; Carrara; Gazzara; Gazzara; Lucchese ed altri; Capitelli; Losurdo; Martella ed altri; Ercole; Santulli; Santulli (743-772-778-980-1144-1280-1337-1363-1751-1979-2018-2087-2469-2612-2647-3022-3246-3277-3625-3626-3747-3762-3815-3899-4260-4545-4762) (ore 19,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Delega al Governo per il riordino dello stato giuridico dei professori universitari; e delle abbinate proposte di legge di iniziativa dei deputati: Angela Napoli; Angela Napoli; Angela Napoli; Gazzara; Migliori; Angela Napoli; Caminiti; Angela Napoli; Angela Napoli; Mario Pepe ed altri; Ranieli ed altri; Mario Pepe ed altri; Titti Simone e Russo Spena; Santulli; Dorina Bianchi ed altri; Grignaffini ed altri; Mario Pepe ed altri; Carrara; Gazzara; Gazzara; Lucchese ed altri; Capitelli; Losurdo; Martella ed altri; Ercole; Santulli; Santulli.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, nella riunione della Commissione cultura del 17 febbraio scorso si sono tirate le fila di un dibattito molto lungo sul testo in esame. In quell'occasione, tanto deputati dell'opposizione quanto deputati della maggioranza hanno sottolineato l'opportunità di un riesame approfondito del provvedimento e molti colleghi della maggioranza hanno proposto che il testo tornasse in Commissione a condizione che il successivo esame in aula fosse particolarmente breve. Questa fu la posizione espressa dagli onorevoli Emerenzio Barbieri e Garagnani nonché dal presidente Adornato, il quale decise di inviare una lettera al Presidente della Camera segnalando, in primo luogo, la necessità di un esame approfondito del testo e, in secondo luogo, che il provvedimento potrà tornare in Commissione a condizione che l'iter in aula fosse concluso in tempi molto rapidi.
Prendo la parola a nome dei colleghi della Federazione uniti nell'Ulivo in quanto riteniamo che l'università abbia bisogno di una svolta profonda e rapida e che dunque il testo in esame necessiti di profondi e radicali cambiamenti.
Tra l'altro, anche il ministro si è detta disponibile a valutare positivamente cambiamenti che riguardano la stessa di natura del testo, riducendo la parte relativa alla delega e aumentando la parte di legislazione diretta.
In questo quadro si può procedere in due modi. Il modo più tradizionale è quello secondo il quale si presentano gli emendamenti, che saranno esaminati dal Comitato dei nove per poi riprendere l'esame da parte dell'Assemblea. Tuttavia, mi permetto di sconsigliare questa strada, perché il testo, una volta all'esame dell'Assemblea, rischierà di essere affidato alle emozioni e ai sentimenti del momento senza che vi sia stato un esame approfondito in Commissione.
Invece, mi permetto di consigliare - e do la disponibilità dei gruppi della Federazione in tal senso - che gli interventi di oggi del relatore e del Governo siano volti a chiarirci quali possano essere i punti di correzione del testo. Dopodiché, se si deciderà di rinviare il testo in Commissione, la nostra disponibilità sarà massima affinché l'esame sia rapido, al fine di riprendere al più presto l'esame in aula. Volevo che ciò fosse chiaro ai colleghi della maggioranza, in quanto non vogliamo assolutamente che si perda ancora del tempo.
Tuttavia, riteniamo che una riforma abbandonata a maggioranze occasionali dell'Assemblea rischi di farci perdere tempo, anziché guadagnarlo. Chiedo pertanto all'onorevole relatore, ai colleghi, e, se lo riterrà, al ministro, che opinione abbiano di questo tragitto e di questo itinerario, fermo restando che il testo può tornare in Assemblea negli stessi tempi in cui ciò accadrebbe con l'esame da parte del Comitato dei nove. È importante che sia la Commissione nella sua integrità ad esaminare il provvedimento, in quanto ciò consentirebbe di risolvere alcuni problemi che altrimenti incontreremmo nel corso dell'esame da parte dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Presidente Violante, stando a quanto da lei riferito, vi è un dibattito in corso. Peraltro, il Presidente della Commissione cultura, in data 18 febbraio scorso, ha inviato una lettera al Presidente della Camera, nella quale riferisce la disponibilità del Governo - che il ministro potrà eventualmente confermare - a valutare, nel corso dell'esame da parte dell'Assemblea, proposte emendative, anche in relazione ad aspetti qualificanti del progetto, preannunciando la sua disponibilità ad un eventuale rinvio del testo in Commissione, venendo in tal modo incontro alle sue richieste...

LUCIANO VIOLANTE. Mi scusi, signor Presidente, intendevo soltanto richiamare l'attenzione del ministro e dei colleghi sulla nostra disponibilità ad esaminare il provvedimento in tempi rapidi: si tratta, infatti, della seconda condizione che è stata posta, e siamo disponibili al riguardo.

ELIO VITO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Signor Presidente, intervengo brevemente per raccogliere la disponibilità del Presidente Violante. Ritengo che potremmo procedere in questo modo: svolgere questa sera la discussione sulle linee generali, concordando sull'esigenza di fare in modo che essa sia già una sede in cui iniziare a sciogliere i primi nodi e a comprendere il merito dei nuovi emendamenti preannunciati dal Governo la settimana scorsa in Commissione; successivamente, trovare, anche nella sede della Conferenza dei presidenti di gruppo, prevista per la metà della settimana, il modo migliore per portare a compimento una riforma tanto attesa.
Preciso inoltre per correttezza, dal momento che è stato citato il presidente Adornato, che a me risulta che, proprio per venire incontro all'esigenza espressa da tutti i colleghi, sia della maggioranza sia dell'opposizione, di un compiuto esame degli emendamenti, il presidente Adornato abbia convocato, per l'esame degli emendamenti stessi, avvalendosi di una specifica previsione regolamentare, non già il Comitato dei nove, bensì l'intera Commissione. Potremmo dunque anche evitare di procedere - ma non intendo «mettere le mani avanti» - al rinvio in Commissione, concedendo un maggior tempo alla Commissione stessa per esaminare gli emendamenti. Infatti, se questo è lo spirito, ritengo possa essere sufficiente consentire all'intera Commissione di esaminare gli emendamenti, senza il rinvio. Tuttavia, è importante lo spirito con il quale si intende procedere, e credo dunque sia opportuno ascoltare il relatore, il ministro e gli altri colleghi che interverranno.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4735 ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.

Avverto altresì che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Mario Pepe, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARIO PEPE. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame si propone una profonda rivisitazione della disciplina concernente lo stato giuridico dei professori universitari e dei ricercatori, in tutti i suoi aspetti, a partire da quelli relativi al reclutamento e alle tipologie contrattuali attivabili dalle università, per giungere poi a quelli concernenti i diritti e i doveri, il trattamento economico e il pensionamento.
Il mondo accademico ha molto atteso questo provvedimento, che dovrebbe dare vitalità ad un corpo docente invecchiato e paralizzato da regole rigide. Per tale motivo, onorevole Violante, ritengo che il paese non possa più permettersi di ritardare l'approvazione del provvedimento stesso: il Parlamento ha ritmi lenti e solenni, in cui il culto del rituale prevale sull'efficienza legislativa. Temo pertanto che il rinvio in Commissione, con la necessità di acquisire nuovamente il parere delle Commissioni consultive, comporterebbe un allungamento dei tempi, che, come ho già sottolineato, il paese non può permettersi.
È un momento non facile per la nostra università, gravata da problemi antichi e nuovi. La carenza cronica di risorse da destinare alla ricerca, la mancanza di un ricambio generazionale durato un ventennio, la fuga dei ricercatori all'estero, che uno stipendio caritatevole di 1.300 euro e una carriera tutt'altro che facile non sono riusciti ad evitare, hanno determinato una perdita di competitività del sistema universitario italiano nel quale la prima università, quella di Roma, è solo al settantaduesimo posto dello score internazionale. Dopo le ultime riforme dei Governi di centrosinistra, che hanno visto una provincializzazione delle nostre università, un proliferare dei corsi di laurea, senza alcun rapporto con le opportunità di mercato, un eccessivo localismo nell'assunzione dei docenti, con la famigerata «idoneità a tre» dell'era Berlinguer, oggi l'università italiana si interroga su quale debba essere la sua missione, se cioè l'università debba avere come missione la ricerca e la formazione o solo la formazione.
Il problema dell'università è quello di veder ridefinito il suo ruolo e il sistema di funzionamento. L'autonomia stabilita dalla Costituzione è una risorsa preziosa, ma se non vi è competizione regolata fra le università diventa libertà di sprecare risorse, di istituire corsi di laurea inutili, di assumere docenti mediocri senza avere nessuna penalizzazione. Una scelta decisa e coerente verso un'università che sia sede primaria della ricerca e della trasmissione critica del sapere è quella che veda protagonista atenei in competizione tra loro all'interno di regole che premino la qualità e richiede che siano stabiliti dei requisiti di accreditamento decisamente più rigorosi rispetto a quelli attuali, norme di accreditamento che lascino alle università un margine di scelta, risorse adeguate agli standard internazionali ed un'apertura all'apporto dei privati allo sviluppo della ricerca. Occorre favorire con opportune norme di defiscalizzazione i rapporti fra università ed imprese, sia riguardo alla formazione sia ai progetti di ricerca svolti prevalentemente nelle università. Tutto ciò è contenuto nella mia proposta n. 1979, abbinata al disegno di legge governativo.
Gli atenei devono competere tra di loro non solo per ottenere finanziamenti da istituzioni pubbliche o private ma anche per attrarre gli studenti migliori. Qualcuno ha definito la nostra università come l'università degli assenti. Gli assenti sono prima di tutto gli studenti, che non frequentano le università, ma vi si recano solo per sostenere gli esami (esamifici dunque)! A questo punto ogni università è uguale all'altra perché rilascia titoli con lo stesso valore legale.
Ma gli assenti sono anche molti docenti, demotivati e mal pagati, che nessuno controlla e nessuno valuta nell'efficacia della loro attività docente e di ricerca. Questo, signori del Parlamento, non succederà più!
Assenteismo, diserzione, rendite di posizione, sono i mali che affliggono buona parte dei nostri docenti. Riformare l'università significa modificare i comportamenti dei docenti e degli studenti e creare motivazioni con gratificazioni ed incentivi. Non serve dunque fare riforme se non si interviene sulle motivazioni personali di chi la riforma dovrebbe attuarla o subirla.
E veniamo al problema cruciale che la riforma deve affrontare: i ricercatori universitari. Chi sono i ricercatori universitari? Tale figura nacque con il decreto legislativo n. 382 del 1980, come fascia di formazione alla docenza. L'intento del legislatore era quello di far transitare nella fascia i giovani per un rapido accesso alla docenza. I ricercatori dovevano essere, dunque, il vivaio della docenza. Già allora si discusse se il ruolo dovesse essere permanente o ad esaurimento. L'ultimo comma del decreto legislativo n. 382 del 1980 recita: «Dopo quattro anni dall'entrata in vigore della presente legge il Ministro della Pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale universitario, presenta al Parlamento un disegno di legge per definire il carattere permanente o ad esaurimento dei ricercatori».
Fascia di formazione vuol dire in effetti una fascia che ha un termine, dalla quale cioè ad un certo punto si deve uscire perché coloro che vi entrano e la attraversano o si immettono nel ruolo di professori oppure dimostrano di non avere le attitudini necessarie per questa immissione.
Una fascia un ruolo di formazione, per la sua intrinseca natura non può avere carattere permanente, pur se permanente è la sua funzione di formazione. Nel momento stesso che il ruolo divenne permanente cessò di essere un ruolo di formazione. Fu proprio in quella occasione che il legislatore sbagliò sbarrando la strada al passaggio dei ricercatori sulla passerella dei concorsi del ruolo dei professori associati.

La legge, infatti, ha sempre negato la loro ammissibilità ai giudizi d'idoneità per professore associato, che si sono celebrati successivamente al 1980, anche se leggine ad hoc hanno ammesso a tale giudizio categorie privilegiate, come i tecnici laureati, come gli incaricati che non avevano maturato i requisiti al 31 agosto 1980 al pari dei ricercatori.
Debbo far rilevare al signor ministro che, proprio mentre la legge n. 382 era in itinere, furono immessi nelle università migliaia di incaricati, transitati poi nel ruolo degli associati. Si comprende dunque l'angoscia dei ricercatori che hanno visto chiudersi l'orizzonte sulle legittime aspirazioni di carriera. Gli attuali ricercatori si sono sentiti prigionieri del ruolo, che per loro è diventato una gabbia.
Per ben diciotto anni non sono stati banditi nuovi concorsi. Da qui nasce l'angoscia da cui provengono tante tensioni che hanno turbato e turbano la vita interiore dei nostri atenei in questi ultimi tempi: non più ruolo di formazione, ma ruolo non docente con funzione docente.
L'articolo 12 della legge n. 341 del 1990 amplia i compiti dei ricercatori, riducendo il divario tra questi ed i professori, dispone la loro partecipazione a pieno titolo alle commissioni di esame per i corsi di diploma di laurea e di specializzazione, dispone che siano relatori di tesi, che assumano in carico corsi di insegnamento a titolo di supplenza o di affidamento.
Analogamente a quanto disposto per gli ordinari associati, anche i ricercatori vengono sottoposti ad una verifica triennale dell'attività scientifica e didattica. Il trattamento economico viene agganciato a quello dei professori associati: la legge n. 341 ha creato nei fatti la terza fascia docente.
Oggi i ricercatori coprono circa il 45 per cento dei corsi universitari, contribuendo non poco alla realizzazione della riforma dell'ordinamento didattico, il cosiddetto «3 più 2» . Ed allora, se sono docenti a tutti gli effetti nella sostanza, perché non lo possono essere anche nella forma?
Da qui è nato il mio emendamento, accolto dalla Commissione, volto ad attribuire loro almeno il titolo di professore e di riservare ai ricercatori più bravi alcuni posti nei giudizi di idoneità a professore associato.
Io credo che questo sia l'unico modo possibile per sanare un lungo contenzioso fra il ricercatori e lo Stato e per ridurre la sperequazione fra opportunità e merito, che si è creata negli ultimi venti anni.
Il testo su cui la Commissione ha incentrato il proprio esame è quello del disegno di legge di iniziativa governativa, presentato alle Camere nel febbraio 2004ed esaminato dalla Commissione a partire dal successivo mese di marzo. La Commissione, peraltro, aveva già da due anni avviato la discussione sull'argomento, esaminando le numerose proposte di legge presentate da tutti i gruppi parlamentari, di riordino generale della materia - come la proposta di legge n. 1979, di cui io stesso sono primo firmatario - e recanti interventi puntuali su questioni più specifiche - tra cui merita, in particolare, ricordare le numerose proposte volte all'istituzione della terza fascia dei docenti universitari.
Il testo proposto dal Governo è stato, quindi, esaminato dalla Commissione, avendo ben presenti le esigenze rappresentate dalle diverse forze politiche, ed è stato in più punti modificato nel corso dell'esame. Un percorso di modifica che, peraltro, non si può considerare ancora concluso, come si dirà meglio più avanti, stante la disponibilità del Governo e la volontà della maggioranza di intervenire ancora in modo significativo su alcuni degli aspetti qualificanti del testo fin qui elaborato, che costituisce quindi un momento di passaggio verso un punto di equilibrio più avanzato e, auspicabilmente, più condiviso dalle varie forze politiche.
Passando ad illustrare i contenuti del testo licenziato dalla Commissione, va segnalato che l'articolo 1 definisce i princìpi generali del sistema universitario, anche ai fini dell'esercizio dell'autonomia universitaria. Si ribadisce il collegamento tra le attività didattiche e quelle di ricerca, che sono assoggettate ad un sistema di valutazione nazionale, secondo criteri che tengono conto della qualità e diffusione della produzione scientifica e della qualità e intensità dell'attività di insegnamento.
Per lo sviluppo ed il miglioramento della qualità del sistema universitario è anche previsto un piano programmatico di investimenti.

Merita segnalare che tale articolo - che fa da cornice all'intera riforma - è stato introdotto con un emendamento del Governo, che andava incontro a sollecitazioni espresse dai diversi parlamentari di maggioranza e di opposizione.
L'articolo 2, che costituisce il cuore del provvedimento, delega il Governo a «procedere alla riforma dello stato giuridico dei professori universitari garantendo una selezione adeguata alla qualità delle funzioni da svolgere unitamente a forme di flessibilità del rapporto di lavoro». La delega dovrà essere attuata entro 12 mesi. Quanto ai principi e criteri direttivi della delega, è prevista innanzitutto l'introduzione di procedure finalizzate al conseguimento dell'idoneità scientifica nazionale - di durata non superiore a cinque anni - bandite annualmente dal ministero, per le fasce degli ordinari e degli associati e per settori scientifico-disciplinari. Si torna quindi ai concorsi nazionali, considerata l'inadeguatezza dell'attuale sistema di selezione a livello locale. Alle università é rimessa la disciplina delle procedure di copertura dei posti nonché l'attribuzione degli incarichi, rinnovabili per un periodo complessivo non superiore a sei anni, durante il quale le medesime possono nominare in ruolo i docenti titolari di incarico. Sono poi previste modalità alternative di reclutamento: nomina in ruolo di studiosi di chiara fama (fino al 6 per cento dei posti); contratti a tempo determinato con soggetti in possesso di elevata qualificazione scientifica e/o con studiosi di fama internazionale impegnati all'estero da almeno un triennio (entro il limite del 50 per cento dei docenti in ruolo); istituzione temporanea - per un periodo di tre anni, rinnovabili - di posti di professore ordinario nell'ambito di specifici programmi di ricerca sulla base di convenzioni con soggetti pubblici o privati. Il provvedimento introduce inoltre forme di convenzionamento per la realizzazione di programmi di ricerca affidati a professori universitari.
L'obiettivo immediato e prioritario, che sarà oggetto di un mio emendamento, è la sistemazione degli idonei, almeno di quelli che, essendo già strutturati presso un'università, hanno vinto l'idoneità in altra sede. Su questo il ministro, come dirò in seguito, ha dato ampia disponibilità. Ad ogni modo, in conformità a quanto stabilito dall'articolo 1, si possono fin d'ora invitare gli atenei ad attivarsi per ottenere da soggetti pubblici e privati una parte del finanziamento necessario per la copertura dei costi differenziati.
Per quanto riguarda i ricercatori, su cui tornerò più avanti, il testo della Commissione prevede l'introduzione di un nuovo sistema di reclutamento attraverso contratti a tempo determinato. La durata di tali contratti, inizialmente definita in cinque anni, nel corso dell'esame è stata ridotta a quattro anni, rinnovabili fino ad un massimo di otto, compreso il dottorato di ricerca.
L'ampio dibattito svolto sulla questione dei ricercatori ha già condotto all'approvazione di un emendamento (lettera q)) che attribuisce il titolo di professore aggregato ai ricercatori, agli assistenti di ruolo ad esaurimento, ai tecnici laureati che hanno svolto attività di docenza e ai professori incaricati stabilizzati, previa valutazione dell'attività didattica e scientifica svolta. Ad essi sono affidati incarichi di insegnamento nei corsi di laurea triennale e compiti di tutoraggio e didattica integrativa. Su questo punto ci saranno non pochi problemi in Assemblea, e ciò non lo nascondo, dal momento che molti esponenti della maggioranza, raccogliendo la protesta della categoria dei ricercatori, mi hanno manifestato l'intenzione di presentare emendamenti per l'istituzione della terza fascia docente.
Per quanto attiene agli aspetti più direttamente attinenti allo stato giuridico, si segnalano le nuove disposizioni in materia di incompatibilità, che ampliano le possibilità di svolgimento di attività professionali, di consulenza e di esercizio di incarichi retribuiti. Le disposizioni in materia sono state meglio specificate nel corso dell'esame in Commissione, con l'approvazione di diversi emendamenti. Il collocamento a riposo è stabilito al termine dell'anno accademico nel quale si è compiuto il settantesimo anno di età, e viene abolito il collocamento fuori ruolo per limiti di età.
Con riferimento al trattamento economico...

PRESIDENTE. Onorevole Mario Pepe, concluda.

MARIO PEPE, Relatore. Presidente, le chiedo ancora qualche minuto, anche perché io in quest'aula ho osservato un lungo ramadan della parola. Non sono uno che parla molto.

PRESIDENTE. Onorevole Mario Pepe, per quanto mi riguarda non ho nessun Corano tale da averle imposto questo lungo ramadan. Questo digiuno volontario è dipeso da lei.

MARIO PEPE, Relatore. Chiedo allora alla Presidenza, oltre all'autorizzazione alla pubblicazione del testo integrale della mia relazione in calce al resoconto della seduta odierna, che mi sia concesso almeno di concludere il mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Concluda, onorevole Mario Pepe.

MARIO PEPE, Relatore. Mancherei ad un preciso dovere se non aggiungessi che il ministro ha dato la sua disponibilità a valutare positivamente eventuali emendamenti di modifica dell'articolo 2 nei seguenti punti: ricorso alla legge delega solo per la disciplina del reclutamento, disciplinando lo stato giuridico con legge ordinaria; conservazione della distinzione fra tempo pieno e tempo definito; assunzione subito dei professori ordinari associati ed eliminazione dello straordinariato; introduzione di una figura permanente dedicata alla ricerca a tempo indeterminato per i nuovi ricercatori che non superino l'idoneità a professore associato.
Il ministro, inoltre, ha dato piena disponibilità a valutare la possibilità di prevedere nelle norme transitorie il passaggio al ruolo di ricercatore del personale medico ad elevate professionalità assunto a tempo indeterminato dai policlinici universitari e dei funzionari tecnici, previa verifica dell'attività svolta nella loro funzione.

In conclusione, data la disponibilità del ministro ad accogliere ulteriori suggerimenti, sia della maggioranza sia dell'opposizione, auspico che si possa migliorare il testo e che il provvedimento trovi un ampio consenso in questa Assemblea, come si conviene ad una riforma da cui dipende l'avvenire del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LETIZIA MORATTI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Signor Presidente, vorrei ringraziare il relatore e gli intervenuti per l'attenzione prestata - e in questa sede riconfermata - su una problematica che deve trovare una soluzione, perché le università possano essere valorizzate come centro di formazione avanzata di ricerca e come il luogo nel quale si forma il capitale umano e sociale del nostro paese che ne costituisce la ricchezza.
A mio avviso, il dibattito in Commissione è stato molto approfondito. L'onorevole Mario Pepe ha ricordato che tale dibattito è iniziato prima della presentazione del disegno di legge del Governo, con l'esame di diverse proposte di legge che, per circa due anni, sono state oggetto di attenzione da parte della Commissione. La discussione sul disegno di legge di iniziativa governativa è durato circa un anno, dalla presentazione del provvedimento nel febbraio 2004.
Come è già stato ricordato dal relatore, il confronto positivo tra la maggioranza e l'opposizione ha migliorato il testo originario del provvedimento in esame. Credo che questo, di per sé, abbia un grande valore.
A seguito delle audizioni svolte in Commissione, sono stati evidenziati alcuni punti che potranno essere oggetto di modifiche; si tratta degli stessi punti ricordati dal relatore, onorevole Mario Pepe. Riconfermo la disponibilità da parte del Governo a lavorare su tali aspetti per trovare una soluzione che sia il più possibile condivisa.
Vorrei concludere, rilevando che concordo con le proposte formulate dal presidente Elio Vito e dal relatore riguardanti le modalità e le procedure con cui si intende proseguire l'esame del provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Grignaffini. Ne ha facoltà.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, sono davvero dispiaciuto per la solitudine che il ministro sta vivendo in aula questa sera...

PRESIDENTE. Non è sola, c'è il presidente del gruppo di Forza Italia.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. È una solitudine testimoniata dall'assenza degli esponenti della sua maggioranza; peraltro, nessun membro della Commissione appartenente alla maggioranza è iscritto a parlare. Non c'è neanche il presidente della Commissione... Mi si faceva notare giustamente che è presente il presidente Elio Vito, che credo sia venuto a darle una prova d'affetto e di solidarietà.
Signor ministro, la invito ad esaminare la relazione del collega Mario Pepe, che, per metà, ha parlato del suo provvedimento e, per l'altra, ha illustrato, in modo burocratico, quello del Governo, preannunciando emendamenti da parte sua e della maggioranza.
Perché siamo arrivati a questo punto, addirittura con una proposta di cambiamento del testo, su cui poi voglio tornare? Credo che questa materia, per la sua delicatezza, avrebbe richiesto da parte sua un altro atteggiamento, un'altra delicatezza, un'altra capacità di ascolto; di ascolto e di confronto vero, non di quell'ascolto che fa trascorrere il tempo in Commissione.
C'è stata la mobilitazione di tutte le università, ci sono stati i rettori che hanno minacciato le dimissioni; poi, è vero, si è costruito un tavolo tecnico con la conferenza dei rettori, da cui lei ha tratto importanti indicazioni. C'è il movimento dei ricercatori, dei dottori di ricerca; tutto
il corpo docente ha manifestato contro questo provvedimento; c'era un iter difficile, ancora molto aperto, in Commissione, e lei invece ha chiuso il dibattito e il confronto, presentandosi in primo luogo con una legge delega e - al di là delle acquisizioni su alcuni principi - con la «intrasformabilità» dei punti che costituiscono la vera e propria ossatura di questo disegno di legge.
Ci voleva più delicatezza, perché la materia di cui stiamo trattando è di rilievo costituzionale, atteso che, quando si parla dei diritti e dei doveri dei professori universitari, si parla di valori costituzionalmente tutelati: la libertà della scienza e il suo insegnamento; l'autonomia della istituzione universitaria. Ci voleva delicatezza, ascolto, capacità di confronto, perché, quando si parla di università, si parla del luogo della comunità vivente, della trasmissione e della formazione del sapere, del luogo di formazione delle classi dirigenti, ma anche della capacità di una comunità, di una società, di immaginare il futuro, di radicarsi nel suo passato, di procedere verso scoperte scientifiche, tecnologie, e così via, verso il proprio futuro e il proprio progresso. Ed oggi sappiamo - lo sappiamo non solo dopo Lisbona - che il sapere e la capacità di avere più sapere incorporato nelle tecnologie, incorporato nei processi di formazione e di apprendimento, incorporato nella vita quotidiana, incorporato nella professionalità, è la grande sfida, è la grande capacità di avere quella che viene definita la società della conoscenza, la società più capace di competere negli scenari futuri.
C'era l'idea di un paese, c'era la sua identità, c'era il rilievo costituzionale, c'era l'idea di futuro, c'erano i diritti e i doveri, c'era l'autonomia: ci sarebbe stato bisogno di altro. Lei invece ha scelto lo strumento della delega; una scelta sbagliata! Come opposizione, l'abbiamo criticata fin da subito e abbiamo chiesto con forza in Commissione il ritiro della delega, in quanto strumento improprio per rispondere all'articolazione di tutte queste problematiche.
Oggi - tre giorni fa in Commissione, ma oggi ancora di più - veniamo a sapere che forse la delega, quanto meno per le parti che vanno a coprire lo stato giuridico, sarà ritirata o almeno sarà trasformata in un disegno di legge ordinario. Noi ci rallegriamo di questa decisione, ma, signor ministro, perché non ci ha ascoltato un anno fa? Perché non ha ascoltato tutta l'università che le diceva questa cosa elementare? Prima è stato detto che abbiamo perso un anno: mi viene da dire che l'abbiamo perso a causa sua, visto che tutti eravamo concordi sul fatto che la delega fosse uno strumento improprio...!
Adesso nella memoria che lei ci ha presentato in Commissione la settimana scorsa troviamo scritto che il provvedimento verrà per grande parte coperto da un disegno di legge ordinario e solo per la parte relativa ai concorsi si continuerà ad usare lo strumento della delega.
Noi non sappiamo se sarà così - faccio fede sulla memoria che ci ha consegnato -, ma se è così, per quella parte ce ne rallegriamo.
Credo che sia una vittoria dell'opposizione e dei movimenti sviluppatisi in ambito universitario; sicuramente, però, abbiamo perso un anno.
La riforma, certo, era urgente e necessaria; tutti lo abbiamo riconosciuto. Il nostro sistema universitario, però, non è riconducibile allo scenario apocalittico descrittoci dal relatore, onorevole Mario Pepe; non so in quale nazione pensi di vivere e di quale università ritenga di averci dato un resoconto con le sue dichiarazioni. Infatti, il nostro è un sistema che ancora, quanto alla capacità di ricerca, al raggiungimento della laurea da parte di un numero sempre maggiore di studenti ed alla abbreviazione dei tempi connessi al detto conseguimento, nonché alla capacità di tenere insieme ricerca e didattica - ma di tanti altri elementi si potrebbe discutere -, mantiene, nonostante tutte le difficoltà, un livello sufficiente di competitività rispetto agli altri paesi europei. Presenta, però, molti profili critici, sicché talune situazioni vanno modificate. Ad alcune di queste, ovviamente, ha cercato di ovviare il disegno di legge alla nostra attenzione; infatti, nelle nostre università, circa 20 mila ricercatori sono senza stato giuridico, il che rappresenta un grave problema, in quanto si tratta di persone che da anni garantiscono il funzionamento delle nostre università svolgendo insieme ricerca e didattica. Si tratta di lavoratori che non hanno alcuno status, pur svolgendo importanti compiti dal punto di vista della didattica, specie con i nuovi carichi di lavori derivati, per l'appunto, dall'attuazione della riforma. Qualsiasi osservazione si voglia fare al riguardo, in base ai dati della CRUI - la conferenza dei rettori delle università italiane - il rapporto tra docenti e studenti, nel nostro paese, si attesta in una forbice che va da 1 su 24 ad 1 su 32 (a seconda che vengano o meno considerati gli studenti fuori corso); ciò, rispetto a tutti gli altri paesi europei - che invece si attestano tra 1 su 11 ed 1 su 17 - costituisce uno degli elementi che, per così dire, mettono alquanto fuori competizione il nostro sistema.
Dunque, abbiamo bisogno di più docenti e di più ricercatori: non vi è una sovrabbondanza di questi ultimi nella funzione didattica; è esattamente il contrario. Invece, lei, ministro, anche con altre misure adottate, ha lasciato l'impressione di volere varare provvedimenti per eliminare una pletora di insegnanti e di ricercatori, quasi fossero un costo, e non una risorsa. Rappresentavano, non un patrimonio ma un elemento di cui, per così dire, sbarazzarsi al fine di rendere più efficiente il sistema.
Sicuramente, considerate le politiche di finanziamento che il suo Governo ha attuato tra il 2001 ed il 2003, con i tagli alla ricerca, il blocco delle assunzioni, i tagli al finanziamento del fondo ordinario, tale misura era qualcosa di più di un'idea; era praticamente la sua concreta politica.
Registro positivamente, però, come, nell'ultima finanziaria, sul piano dei finanziamenti, si sia registrata una inversione di rotta. Anche ciò costituisce un segnale che valuto positivamente; dovrà semmai spiegarci come si sia verificato questo suo parziale ravvedimento. Infatti, dal punto di vista sia finanziario che delle proposte presentate la settimana scorsa, sembra che la sua posizione nei confronti dell'università sia una riflessione in cammino e che rispetto ad una certa rigidità maturata per tre anni - che ha portato allo stand by di oggi - vi sia invece la convinzione che qualcosa si possa rivedere.
Si pone dunque un problema per 20 mila ricercatori; su ciò, la nostra proposta, come Democratici di sinistra - analogamente ad altre forze dell'opposizione - è stata fin da subito l'istituzione di una terza fascia ovvero un pieno riconoscimento del ruolo docente dei ricercatori.
Va in questa direzione il Governo? È questo che ci vuol dire, quando afferma che il modo con cui è stato risolto, nel precedente disegno di legge, il problema dei ricercatori, è la messa ad esaurimento del loro ruolo? Se è così, registriamo positivamente il fatto che il Governo ha cambiato idea ed ha accolto indicazioni che provenivano dall'opposizione, da alcuni colleghi della maggioranza, dal coordinamento nazionale dei ricercatori, dei dottori di ricerca e dei docenti universitari, che si sono espressi contro la soluzione della messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori, previsto nel disegno di legge ordinaria. Se si va in tale direzione, discutiamone. Vorremmo capire, tuttavia, sulla base di quale testo, sulla base di quale indicazione avviene ciò, perché è ambigua la formulazione che ci viene sottoposta.
La nostra università sicuramente ha un problema di invecchiamento del corpo docente e, quindi, vi è l'urgenza di una massiccia immissione in ruolo di giovani studiosi. Ciò è possibile attraverso lo snellimento delle procedure concorsuali, ma anche - ed è una nostra proposta - attraverso la subitanea immissione in ruolo di circa 5-6 mila giovani ricercatori, studiosi e docenti, che rappresentino una reale risposta al problema che ha costituito un vero e proprio «tappo» nella formazione e nella funzione del sistema universitario italiano, per cui un'intera generazione attualmente si trova fuori dal sistema universitario stesso. L'università italiana perde il sapere, l'esperienza, la passione, la conoscenza di un'intera generazione. C'è bisogno di giovani. Ciò rispetto anche alla questione della «fuga di cervelli», che sarebbe troppo ampio riprendere in questa sede.
Allora, se tutti riconosciamo che l'invecchiamento del corpo docente e del corpo ricercatore delle nostre università è un problema, attiviamoci per un piano straordinario che consenta alle giovani generazioni di entrare all'interno dell'università.
Anche il modo in cui è stata risolta la questione dei concorsi, per noi non è soddisfacente, dal momento che si tratta di una modalità che ripristina, anzitutto, il vecchio criterio del centralismo ministeriale nella definizione e decisione circa i posti da mettere a concorso, e che, inoltre, riporta un elemento di dirigismo centralista, fortemente lesivo del principio dell'autonomia. Allo stesso tempo, riconosciamo che, così com'è stata gestita e si è strutturata, negli ultimi anni, la riforma delle procedure concorsuali ha generato anche quelle forme di localismo che rappresentano uno tra i problemi della nostra università. La domanda è: a quel localismo, che ha avuto comunque un effetto benefico e positivo, consentendo di mettere a concorso una moltitudine di posti, dopo che - tra gli anni Ottanta ed il 1996 - si era assistito all'immobilismo più totale, con tre concorsi banditi in 16 anni, come si risponde?
Siamo pertanto disposti a discutere delle storture e del localismo, ma riacquisendo l'idea che, attraverso l'autonomia e i concorsi decentrati, si mantiene quella capacità di risposta territoriale e di efficacia, con maggior controllo da parte della comunità scientifica nazionale, con l'immissione di docenti europei di chiara fama nelle commissioni e con l'eventuale possibilità di eliminare la doppia idoneità, che ha rappresentato uno tra gli elementi di gestione localistica del sistema.
Stiamo ragionando su questo? Sono temi che noi abbiamo portato e riportato - e riporteremo - all'attenzione della Commissione e del Governo.
Se c'è questa disponibilità - e concludo, signor Presidente - si tratta di capire quali sono le forme migliori per arrivare ad un risultato utile, innanzitutto, per l'università italiana. Ritengo che la forma migliore sia un rinvio in Commissione.
Signor Presidente, i temi (non li ho elencati tutti, perché non ne avevo il tempo) che saranno oggetto di revisione emendativa, riguardano praticamente l'intero articolato. Allora, allo stato attuale, non sappiamo di quale testo stiamo discutendo. In Commissione abbiamo licenziato un testo su cui, però, il ministro ha già detto che vuole intervenire: la cosa migliore sarebbe ritornare in Commissione, anche in tempi limitati. Si tratta, peraltro, di una sede trasparente, mentre il Comitato dei nove è una commissione tecnica di lavoro, che predispone i testi per l'Assemblea. È la Commissione nei suoi pieni poteri il luogo della rappresentanza, del confronto e del dibattito. A nostro giudizio, pertanto, sarebbe importante rinviare il provvedimento in Commissione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bimbi. Ne ha facoltà.

FRANCA BIMBI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, signor ministro, ci piacerebbe sapere di quale provvedimento stiamo discutendo, poiché non siamo sicuri di saperlo. Soprattutto, cominciamo ad essere amareggiati per non aver svolto un dibattito che poteva essere costruttivo su un tema importante.
Vedendo il fallimento del Governo e della maggioranza che si delinea su questo provvedimento, che non ha niente di moderno, che non va nella direzione dell'Europa e neanche del resto del mondo sviluppato, credo che sull'università l'opposizione debba parlare di più al paese. Condivido pienamente gli interventi svolti finora dal presidente Violante e dalla presidente del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo in Commissione e, quindi, non ripeterò quelle argomentazioni.
Il tema della riforma dello stato giuridico dei professori universitari riguarda il reclutamento dei docenti, la progressione in carriera, la loro valutazione. Tutto ciò deve essere riferito al quadro europeo internazionale dello sviluppo dell'istruzione superiore e della ricerca scientifica e alla competizione per l'innovazione tecnologica che sostiene la competitività economica nei diversi paesi e sistemi socio-politici.
Il provvedimento sui diritti e doveri dei docenti e sulle regole per il loro reclutamento dovrebbe inserirsi in una prospettiva di obiettivi strategici per il sistema universitario, volti ad affrontare tre fenomenologie evidenti da almeno un decennio: la rilevanza dell'intensità e della velocità dell'innovazione tecnologica per la competitività economica, la crescita della domanda d'istruzione in tutti i ceti sociali, la crescita dei consumi di beni ad alta intensità tecnologica in tutte le classi di età per motivi professionali, culturali, di tempo libero, di salvaguardia della salute, di qualità della vita quotidiana.
Inoltre, in Italia, comparativamente ad altri paesi europei (si vedano il Regno Unito, la Svezia, la Germania), la mobilità di carriera, intesa come passaggio da una posizione sociale ad un'altra via occupazione, è minore, sia a causa del peso dell'origine sociale sulla scelta della facoltà e sugli avanzamenti nella professione, sia per la scarsa selezione meritocratica negli impieghi.
Questa rigidità demeritocratica riguarda anche una parte della classe dirigente formata nelle università italiane. Dunque, i cambiamenti in atto corrispondono ad altrettante sfide per le università e per il paese. Se le nostre risposte non saranno all'altezza delle sfide, il rischio del declino da molti temuto diventa reale.
Occorre un corpo docente di qualità, altamente motivato, in una comunità scientifica consapevole delle sue funzioni sociali e capace di interpretare le diverse tipologie di domande e di formazione superiore.
Questo è l'elemento centrale per la realizzazione degli obiettivi di cui abbiamo parlato e della continuità nel tempo dei programmi di sviluppo scientifico e di trasferimento tecnologico, che devono chiaramente essere identificati a livello politico - cosa che non avviene - secondo differenti responsabilità, in maniera condivisa con le università e le altre istituzioni della ricerca, nonché con gli attori economici e sociali del territorio.
Questa prospettiva tiene conto anche di una forte differenziazione già in atto nel sistema universitario italiano. La differenziazione è dovuta ad aspetti positivi, come le diversità legate alle differenti vocazioni scientifiche consolidate negli atenei, all'investimento nella produzione di nuovi profili professionali - da cui la nascita di molti nuovi corsi di laurea - o nella produzione di ricerca scientifica di punta di base applicata, all'individuazione di rapporti preferenziali con la ricerca privata e con il sistema delle imprese nel territorio, allo sviluppo di master di primo e di secondo livello particolarmente efficaci sul piano dell'occupabilità, alla presenza di scuole di dottorato ad alta integrazione internazionale e allo sviluppo di esperienze di eccellenza.
I processi di differenziazione, tuttavia, hanno anche dei lati negativi, tra i quali soprattutto l'espansione di offerte formative inefficaci sia rispetto alla qualità scientifica e di profili professionali, sia dell'occupabilità. Ciò avviene in parte, ma non solo, a causa della nascita di iniziative, che non sono state selezionate in tempo, contraddistinte dalle più varie contingenze esogene o endogene, dai corsi di laurea agli atenei che nascono privi di requisiti o con requisiti scientifici e didattici piuttosto incerti.
È indubbio che il sistema nel suo complesso manchi di elementi coerenti di regolazione. Quest'ultimo elemento può indurre alcuni ad essere pessimisti e a propendere per l'azzeramento di tutte le tipicità del sistema, come sembra fare il provvedimento in esame. Altri, invece, cercano di mantenere lo status quo, anche se mascherato da trasformazioni gattopardesche.
La nostra prospettiva è totalmente diversa: essa potrebbe riassumersi nell'espressione «talenti, tecnologia e tolleranza», cui molti oggi si richiamano, con l'avvertenza che per noi coltivare talenti significa sottrarre prima di tutto i bambini e le bambine a destini predeterminati dallo scarso capitale sociale della famiglia di origine; che puntare sulla tecnologia implica anche che essa abbia una declinazione redistributiva (le tecnologie per migliorare la vita quotidiana di tutti) e una destinazione di cittadinanza (le tecnologie per cittadini capaci di giudizio nei dilemmi etici sottesi agli usi tecnologici); che la tolleranza richiede un ambiente amichevole rispetto alle differenze culturali e un'apertura senza preconcetti verso la ricerca scientifica.
In questo quadro, intendiamo scommettere sulla possibilità di governare la differenziazione del sistema universitario italiano, puntando all'integrazione tra processi di inclusione sociale e alla selezione meritocratica dei talenti, alla complementarietà tra ricerca e trasmissione del sapere, all'integrazione tra la competizione per l'eccellenza nell'avanzamento della conoscenza gratuita e l'ottenimento della migliore performance in ricerca e sviluppo. Per questo, riconosciamo anche i processi di differenziazione del sistema universitario italiano dal punto di vista delle criticità viste rispetto alla convergenza europea e all'internazionalizzazione della ricerca.
L'ampliamento dell'offerta didattica nei tre livelli della laurea, della laurea specialistica e del dottorato, riconosciuti dall'incontro di Berlino, dei master di primo e di secondo livello, ha prodotto un aumento delle iscrizioni, dell'occupabilità dei laureati e degli specializzati post lauream - come ci dicono i dati pubblicati annualmente da AlmaLaurea - e del legame con le domande del territorio.
Tuttavia, il rapporto tra iscritti e coorti d'età giovane è ancora troppo basso. Vi è un implicito ma efficace scoraggiamento dei meritevoli privi di mezzi, vi sono troppi iscritti a facoltà professionalmente ridondanti e troppo pochi iscritti alle facoltà scientifiche delle scienze di base. Inoltre, sono troppo pochi i laureati in tempo legale, anche se la riforma della didattica comincia a dare alcuni risultati, e pochissimi dottori di ricerca. Tali strozzature, inoltre, sono differenziate per genere: le ragazze hanno un miglior rendimento scolastico, ma soffrono di segregazione formativa ed occupazionale. La loro eccessiva presenza nelle facoltà più deboli dal punto di vista dell'occupabilità è una, anche se non la sola, ragione del livello così basso dell'occupazione femminile in Italia, a sua volta aspetto non secondario del livello dei tassi di disoccupazione della popolazione.
Il quadro delineato solleva la necessità di affrontare, in un modello coerente di riforma, il tema dello stato giuridico, del reclutamento e della progressione in carriera dei professori universitari. Occorre occuparsi della formazione scientifica nella scuola superiore, mentre oggi fuggono gli iscritti dagli istituti tecnici, come ci ricorda Il Sole 24 Ore proprio nella giornata odierna. Occorre occuparsi dell'organizzazione dell'offerta didattica della docenza, della governance degli atenei e del loro finanziamento, della vocazione e della dislocazione dei medesimi. Occorre tenere insieme la crescita dell'alta formazione e delle scuole di dottorato con quella della scolarizzazione universitaria di base e specialistica, considerando la seconda un presupposto non solo quantitativo della prima.
Ciò implica anche un'organizzazione dell'insegnamento centrato su un buon tutorato e sull'entrata di giovani docenti piuttosto che sulle attuali gerarchie accademiche, uno sviluppo dell'offerta didattica part time per gli studenti lavoratori ed una diffusione della formazione a distanza di qualità.
Ricordiamo, soprattutto, che è quasi impossibile essere un buon docente senza fare ricerca. Quindi, la valutazione della ricerca dei singoli studiosi, non solo delle
strutture degli atenei, va considerata il presupposto per la responsabilizzazione di tutti anche rispetto alla scelta del personale per la ricerca e per la didattica, dunque anche rispetto alla configurazione delle selezioni e dei concorsi universitari.
Affrontando direttamente il tema della selezione della docenza, non ci pare proponibile un ritorno a procedure nazionali di valutazione, innanzitutto perché basta guardarsi intorno nell'Europa e negli Stati Uniti: la valutazione viene fatta vicino alle strutture di ricerca, non travalicando le decisioni delle strutture stesse. Quindi, il ritorno all'idoneità nazionale contravviene al livello ormai consolidato dell'autonomia degli atenei. Se si imposta la governance del sistema, la sua valutazione ed il suo finanziamento in base ai risultati della valutazione non si possono che lasciare le scelte di reclutamento e di progressione in carriera alle responsabilità locali. Se le scelte locali ricadranno su un personale scadente, le strutture e, conseguentemente, gli atenei devono poter essere penalizzati nelle risorse economiche di personale. Allo stesso modo, dovrebbe essere penalizzata la progressione del docente nella carriera e nelle retribuzioni.
Riteniamo che tale impostazione richieda il rafforzamento meritocratico dei criteri di selezione; una definizione chiara per linee generali - da demandare poi ai regolamenti di ateneo - dei diritti e dei doveri dei professori, a partire dalla libertà e dall'obbligo di progredire nella ricerca, di confrontarsi con standard internazionali; uno stato giuridico unico per tutte le fasce dei professori; un maggior peso da dare alla valutazione dei risultati della ricerca dei singoli, cosa che non si riesce a fare neanche attraverso il nuovo sistema del comitato nazionale per la valutazione della ricerca; la separazione chiara del reclutamento dalla progressione di carriera; un modello di garanzia e di sicurezza sociale per i contratti post-doc.
Riteniamo indispensabile riconoscere realmente la necessità del titolo di dottore di ricerca, per l'accesso alla carriera universitaria, pur ammettendo che esso possa essere conseguito anche attraverso percorsi differenti da quelli attuali. Ciò significa che i contratti a tempo determinato stipulati dalle università debbono distinguere chiaramente tra gli esperti ingaggiati a vario titolo, e normalmente non indirizzati alla carriera accademica, e i dottori di ricerca, che dovranno essere prioritariamente considerati per le valutazioni di accesso alla docenza, come del resto avviene in tutto il mondo.
Nelle università italiane oggi circa 50 per cento della docenza è già coperta da forme di contratto a tempo determinato non valutate, riguardanti esperti a vario titolo e i pochi dottori di ricerca che produciamo. Da noi, da un punto di vista giuridico, anche se de facto la situazione sta cambiando, il dottorato di ricerca non costituisce un prerequisito necessario per l'accesso alla docenza. Questa distorsione, unita allo scarsissimo riconoscimento economico dei periodi post-doc e all'insicurezza della possibilità di entrare e progredire in tempi ragionevoli nella carriera, costituisce la differenza più eclatante del sistema di reclutamento dei professori universitari italiani, di cui il disegno di legge in oggetto non si occupa. Il reclutamento è strozzato dal localismo nel momento dell'accesso al dottorato, mentre l'enfasi sulla differenziazione gerarchica per età, e talvolta non per merito, è accentuata dal fatto che è la permanenza nell'insegnamento alla fine in una stessa università, piuttosto che la qualità valutata della produzione scientifica, a costituire un titolo per l'avanzamento di carriera.
Queste riflessioni sostanziano una proposta che vorremmo discutere nel Parlamento e nel paese: la proposta di un ruolo unico per i professori, al quale si dovrebbe accedere con un sistema di tenure track alla fine del post dottorato, cioè con la previsione di un budget di bilancio dopo la valutazione del post dottorato, in un tempo massimo di quattro o cinque anni - perché questo è il tempo massimo in cui si è valutati per avere una tenure ad Harvard -, ed in cui la distinzione per fasce e la progressione della carriera siano legate alla produzione scientifica valutata e per la quale gli incentivi differenziali dipendano dalla qualità della ricerca e ricadono anche sulla valutazione delle strutture. Questo dovrebbe poter essere messo sul tappeto, superando anche le sterili sacche del dibattito sui concorsi nazionali o locali e sui loro risultati. Dappertutto, le fasce di professori sono almeno tre e certo noi, anche per la nostra configurazione costituzionale, dovremmo mantenere quella di professore ordinario come fascia apicale.
Per fare una riforma efficace occorre considerare realisticamente i tre fattori, dei quali parlava la collega Grignaffini, che pesano attualmente sulla struttura e sulla composizione del corpo docente: l'età del personale del ruolo; la distorsione data dal non riconoscimento delle funzioni di professore alla gran parte dei ricercatori che svolge regolarmente corsi e moduli didattici; la mancanza drammatica di posti a tempo indeterminato destinati a giovani studiosi con titolo di dottore di ricerca. L'azione del Governo dovrebbe affrontare il tema del reclutamento delle carriere dei professori in questo quadro. Invece, essa sembra decisamente orientata a favorire il declino del sistema universitario, soprattutto delle università statali, con interventi frammentari quanto a punti di applicazione, ma conseguenti quanto a direzioni.
Il soffocamento dell'autonomia universitaria (richiamando le decisioni relative all'organizzazione dell'offerta didattica, le spese per il personale, le procedure di selezione dei docenti), con la previsione di università sotto casa o ad personam, prive di caratterizzazione sul piano scientifico, ridondanti sul piano dell'offerta formativa (che vanno ad incidere sugli scarsi mezzi da ridistribuire, con corpo docente spesso occasionale o, comunque, ridottissimo), incongruenti anche rispetto alle necessità dello sviluppo del territorio, o di università telematiche, quasi prive di corpo docente, senza alcun riferimento alla ricerca, rientra in una politica che ha coagulato la protesta molto forte attorno a questa proposta del Governo che dovrebbe essere centrale nelle sue scelte.
Oltre alla protesta dei ricercatori, degli idonei senza presa di servizio, dei titolari di contratti, assegni e borse a vario titolo, impegnati in ricerca e didattica, anche i documenti approvati dalla conferenza dei rettori, dal CUN e dalla conferenza dei presidi si sono espressi chiaramente contro la messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori e per il riconoscimento ad essi del ruolo di professore di fatto ricoperto in base alle funzioni, per il mantenimento della differenza tra tempo pieno e tempo definito, per una riforma dei concorsi che preveda la netta distinzione tra reclutamento ed avanzamento in carriera, riconoscendo che il provvedimento del Governo, invece, mortifica l'università pubblica, rinnega l'autonomia universitaria, precarizza la docenza e disconosce il ruolo dei ricercatori.
Non si può - così hanno sostenuto i rettori - riformare l'università, procedendo per frammenti, invece di rifarsi ad un progetto organico e ciò assieme al CUN e al coordinamento delle conferenze dei presidi di tutte le facoltà italiane.
Vorrei ricordare anche un'altra urgenza che rimane sullo sfondo. Siamo arrivati circa al 7 per cento dell'incremento del fondo di finanziamento ordinario, ma senza una programmazione della priorità degli interventi e mancando gli incrementi annuali del fondo di finanziamento ordinario stesso, che non dovrebbero essere inferiori al 10 per cento per allineare il sistema universitario italiano a quello internazionale ed europeo in particolare.
Questo è il quadro su cui si inserisce l'intervento del Governo e della maggioranza e queste sono, invece, le linee di riforma su cui proponiamo di discutere nel Parlamento, nelle università e nel paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Martella. Ne ha facoltà.

ANDREA MARTELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, stiamo svolgendo questa discussione sulle linee generali del disegno di legge per il riordino dello stato giuridico dei professori universitari in una situazione davvero paradossale. In aula, come è stato detto poco fa, ci siamo solamente noi. Non ci sono i colleghi della maggioranza di centrodestra; solo noi stiamo partecipando alla discussione, mentre le aule delle università, i rettorati, proprio in queste ore, sono occupati dalle proteste, dalla mobilitazione che sta interessando tutte le componenti universitarie.
Ciò è paradossale, perché ad oggi non sappiamo quale sia il testo che dobbiamo discutere; non conosciamo il testo degli emendamenti del relatore, cui prima si è fatto riferimento, e quelli del Governo.
Manca il parere della Commissione bilancio della Camera dei deputati che ha steso un primo testo, con molte osservazioni e critiche puntuali. Certo, conosciamo l'articolato approvato dalla Commissione. Alla suddetta abbiamo dato un nostro motivato parere contrario, chiedendogli di ritirare il testo per riesaminarlo in maniera approfondita. Alla fine poi il testo è stato emendato; abbiamo presentato alcune nostre proposte che sono state puntualmente respinte ed oggi, in qualche modo, ci vengono ripresentate come intenzioni e non ancora come norme, dal momento che non conosciamo il testo di eventuali emendamenti.
Vale la pena di ricordare che non sono due anni che si discute di questo testo, in quanto è vero che la discussione è iniziata il 25 giugno 2003, ma poi è stata interrotta su iniziativa del Governo nonostante la richiesta del nostro gruppo di scorporare e accelerare l'iter delle proposte riguardanti l'istituzione della terza fascia dei professori universitari quale condizione irrinunciabile per un eventuale progetto di riordino più complessivo. L'esame è ripreso il 16 marzo ed è proseguito con una serie di audizioni, fino alle sedute del 31 luglio e del 30 settembre con il rinvio della votazione del mandato al relatore per mancanza del parere della Commissione bilancio; ci siamo poi ritrovati il 17 febbraio, quando si è votato il mandato al relatore (votazione alla quale non abbiamo partecipato).
Nel frattempo vi è stata una grande mobilitazione in quasi tutti gli atenei contro questo disegno di legge che la comunità universitaria, in tutte le sue componenti, ritiene sbagliato ed inefficace, persino dannoso se dovesse essere approvato.
Si tratta di una critica molto forte, con manifestazioni in moltissimi atenei, che condurrà ad uno sciopero il prossimo 2 marzo e a diversi incontri - anche la Federazione Uniti nell'Ulivo ne avrà uno domani - con una delegazione delle varie componenti universitarie.
Lei, signor ministro, intanto ha dichiarato alla stampa e in più sedi anche istituzionali, come la CRUI e il CUN, di voler modificare il contenuto del disegno di legge. Dunque, dopo nostre pressanti richieste, si è presentata in Commissione fuori tempo massimo, lo scorso 17 febbraio, affermando che alcuni problemi relativi al blocco delle assunzioni e ai finanziamenti necessari sono stati superati con la finanziaria per il 2005, dichiarandosi disponibile a modificare il testo in cinque direzioni, che tuttavia restano delle mere intenzioni dal momento che non disponiamo di testi sui quali poter ragionare. Insomma, lei è venuta a dirci che aveva cambiato opinione, che i provvedimenti diventeranno due, uno di legge delega e uno di legge ordinaria, e che esiste un nuovo testo della riforma dello stato giuridico che però solo lei conosce e che nessuno ha ancora visto. Così, muta anche la natura costituzionale e l'oggetto stesso del provvedimento istruito dalla Commissione, mentre l'Assemblea non sa ancora su cosa dovrà deliberare. Signor ministro, si tratta di un comportamento davvero poco corretto e lesivo delle prerogative e delle procedure del Parlamento.
Riteniamo dunque opportuno riaprire l'iter in Commissione, vedere finalmente gli emendamenti formalizzati dal relatore e dal Governo per poterli subemendare. E, anche per quanto riguarda le soluzioni che lei, signor ministro, ha affermato di aver trovato con la finanziaria per il 2005, vorrei ricordarle che in realtà le università nel triennio 2002-2004 hanno ricevuto complessivamente solo 109 milioni di euro in più rispetto al finanziamento del 2001 e che l'aumento di 338 milioni di euro del fondo di finanziamento ordinario, disposto con la legge finanziaria per il 2005, non compensa i tagli del precedente triennio a spese della scuola e della ricerca. In ogni caso, non è vero che i problemi sono esauriti, dal momento che la Commissione bilancio non ha ancora espresso il parere di sua competenza.
Allo stesso modo, per quanto riguarda le assunzioni, vi è un nuovo blocco dei concorsi per tutto il personale universitario. Ad appena un mese dallo sbandierato sblocco delle assunzioni lei, signor ministro, prima con motivazioni pretestuose, ha rinviato di oltre sei mesi le elezioni per le commissioni di nuovi concorsi, poi con una semplice nota, ha sospeso di fatto sine die tutti i concorsi nelle università, tanto per il personale docente quanto per il personale tecnico-amministrativo, per i rapporti sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato.
Il provvedimento è a nostro avviso illegittimo e rischia di compromettere il più elementare funzionamento delle università. Eppure, riteniamo che la riforma dello stato giuridico dei professori universitari sia urgente e non più procrastinabile; è assolutamente necessario completare l'architettura della riforma universitaria.
Questa riforma finora ha investito gli atenei, ponendo al centro di essi l'autonomia, che si è dispiegata dapprima sul terreno organizzativo e finanziario, poi su quello degli ordinamenti, attraverso l'autonomia didattica, e che oggi deve necessariamente completarsi con la piena attuazione del processo di valutazione e l'aggancio ad essa dei meccanismi di finanziamento. Il quadro dell'autonomia, dunque, deve necessariamente concludersi con la realizzazione di un nuovo ed adeguato stato giuridico dei docenti. Esiste, infatti, una stretta relazione tra tali riforme e lo stato giuridico dei docenti, e quest'ultimo non può essere considerato una variabile indipendente sulla quale intervenire trascurando ogni raccordo con l'autonomia del sistema nei suoi diversi aspetti.
Questa riforma è necessaria, perché l'attuale ordinamento risale al 1980: sono trascorsi 25 anni, durante i quali sono intervenuti numerosi cambiamenti. Vi è stata l'esplosione della domanda di istruzione superiore (oggi oltre il 50 per cento dei diciannovenni si iscrive all'università); è in atto un processo di innovazione e riorganizzazione complessiva dei saperi; è intervenuta l'autonomia degli atenei; è intervenuta la riforma del reclutamento; è intervenuta la riforma degli ordinamenti didattici.
Si tratta, dunque, di una riforma urgente e necessaria per superare gravi e annose anomalie del nostro sistema universitario, alle quali ha fatto riferimento l'onorevole Grignaffini e su cui non intendo ritornare. Cito l'esistenza di 20 mila ricercatori senza stato giuridico; l'invecchiamento del corpo docente (nelle nostre università è presente uno dei corpi docenti più vecchi d'Europa); la mancata ridefinizione della materia dei diritti e dei doveri dei professori nell'università dell'autonomia; l'assenza di un adeguato sistema di valutazione. Lo stato giuridico vigente è dunque superato e sono necessarie tali innovazioni.
In un appello firmato da oltre 1.500 docenti universitari, intitolato «Diamo voce alle università», si sostiene che occorre stabilire doveri e diritti di ciascun docente in un sistema di università autonome, recuperare il senso di una carriera basata sul merito, premiare l'impegno di chi sceglie di dedicarsi esclusivamente all'attività universitaria, attrarre ed inserire nella carriera accademica i giovani migliori, tenendo sempre presente che la ricerca e la didattica sono le funzioni primarie di ogni ateneo e che la loro copresenza costante caratterizza l'università. Guardando ad altri paesi, è facile accorgersi che la contrattualizzazione selvaggia e senza prospettive proposta dal Governo non corrisponde affatto a modelli stranieri di successo e, soprattutto, non garantisce di vedere migliorare il funzionamento
dell'università italiana né sul piano scientifico, né su quello didattico. Si tratta di un appello firmato da migliaia di docenti che non è stato preso, purtroppo, in alcuna considerazione.
Il disegno di legge, dunque, è necessario ed urgente, ma il Governo ha scelto, sia nel metodo sia nel merito, una strada sbagliata. Quanto al metodo, abbiamo avanzato critiche formali e procedurali sull'adozione dello strumento della delega. Tali critiche sono state formulate anche da tutte le rappresentanze del mondo universitario, dalle organizzazioni sindacali al CUN, con particolare nettezza dalla CRUI, che ha dichiarato di ritenere indispensabile l'adozione dello strumento della legge ordinaria anziché della legge delega, nell'assemblea svoltasi il 4 febbraio scorso. Si tratta di uno strumento istituzionalmente improprio per la materia, stante la rilevanza costituzionale dello stato giuridico della docenza universitaria. Esso rende impossibile, per il fatto stesso di non indicare le specifiche soluzioni e le effettive implicazioni della riforma, un confronto parlamentare ed allunga i tempi di attuazione, rinviando la normativa di dettaglio e l'entrata in vigore della riforma ai successivi decreti delegati, il cui iter è particolarmente lungo e complesso.
L'efficacia di una riforma si valuta con riferimento alla sua capacità di affrontare e risolvere i problemi del settore. La riforma proposta dal Governo, invece, non risolve e non affronta alcuno dei problemi dell'università italiana: non definisce lo stato giuridico di 20 mila ricercatori, ma ne abolisce la stessa figura, inserendoli in un ruolo ad esaurimento con il titolo poco gratificante di «professore aggiunto», assimilandoli ai tecnici laureati (gli antichi assistenti), disconoscendo la pienezza della funzione docente ed imponendogli, senza aumenti stipendiali, incarichi di insegnamento nei soli corsi di laurea di primo livello.
Non rende più stringente la disciplina del tempo pieno, del tempo definito, ma la abolisce, così premiando, di fatto, i docenti meno impegnati nell'università italiana. La nostra università rimarrà quindi l'unica al mondo a non prevedere, come invece sarebbe normale, la figura del professore interamente dedicato all'università.
Questo provvedimento non amplia né accelera il reclutamento dei giovani ma lo ritarda, dilatando ulteriormente l'area del precariato col sicuro esito di intensificare la fuga dei cervelli e prevedendo al tempo stesso il ritorno alle antiche e rovinose pratiche dei concorsi riservati. Non ridefinisce i diritti e i doveri dei professori nel contesto di una università profondamente mutata, né configura - ed è questo un passaggio fondamentale - alcuna carriera professionale della docenza fondata sulla valutazione periodica della produttività scientifica e didattica. Eppure lei, signor ministro, parla spesso di valutazione dei docenti e del sistema, ma della valutazione non v'è traccia in questo provvedimento.
Questo provvedimento non responsabilizza gli atenei nella selezione e nel reclutamento dei migliori docenti. Non prevede finanziamenti per una politica incentivante della didattica, della ricerca e dei servizi per gli studenti. E non c'è traccia di copertura finanziaria del provvedimento. Può essere mai credibile, mi domando e le domando, signor ministro, una riforma dello stato giuridico dei professori a costo zero?
Chiediamo davvero, ed è un appello che rivolgiamo seriamente al Presidente della Camera, di poter riprendere seriamente la discussione in Commissione e di poterlo fare in maniera aperta, con il tempo necessario, anche se vorremmo poter svolgere questo lavoro nel tempo più rapido possibile pur cogliendo i risultati che devono essere colti.
Presenteremo una serie di emendamenti - oltre a quelli già presentati ne predisporremo degli altri, se sarà il caso - quando avremo conosciuto il testo dei vostri emendamenti. Proporremo di istituire la terza fascia docente e l'inquadramento in essa degli attuali ricercatori. E se ciò avverrà, dovremmo ribadire con forza che è un risultato che giunge per il lavoro parlamentare e per la mobilitazione che è in atto da molte settimane e da mesi nelle università italiane. Proporremo un programma
straordinario per l'assunzione di almeno diecimila giovani studiosi nei prossimi anni. Proporremo l'istituzione di un'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario, con natura giuridica e poteri di authority, per la valutazione periodica dei docenti, per la loro produttività didattica e scientifica e per la valutazione degli atenei. Perché è solo questo il modo per poter garantire equità, efficienza ed anche competitività del sistema universitario. Proporremo una disciplina precisa dei compiti e delle responsabilità dei professori. Proporremo una ridefinizione della disciplina del tempo pieno, del tempo definito, con previsione della figura del professore interamente dedicato al lavoro universitario.
Faremo ciò come sempre con molta serietà, con la consapevolezza che queste modifiche devono essere introdotte perché vi sono richieste dal mondo dell'università e perché rappresentano assolute necessità sulle quali bisogna intervenire, tenendo conto dei problemi dell'università nel nostro paese. Ci auguriamo che la maggioranza di centrodestra (che, per la verità, nell'ultima occasione in Commissione si è resa conto di come fosse improvvisata questa discussione in aula e ne ha chiesto il rinvio), il Governo ed il ministro comprendano che la strada scelta è sbagliata, nel metodo e nel merito, e da essa bisogna tornare indietro, prima che sia troppo tardi. Purtroppo l'azione del Governo di centrodestra si è caratterizzata in questi anni per la totale assenza di un disegno strategico nel quadro di quegli obiettivi che, da Lisbona in poi, dovrebbero essere raggiunti.
Il nostro paese è indietro, sta colmando il suo divario con l'Europa e si è caratterizzato per una serie di provvedimenti estemporanei e di emergenza che determinano la progressiva destrutturazione del sistema universitario, la ripresa di una linea burocratica e centralistica e lo svuotamento dell'autonomia garantita agli atenei.
Quindi fermatevi, almeno rispetto a questo provvedimento; ascoltate la voce di chi lavora, studia e vive nelle università; ascoltate la voce dei gruppi parlamentari che, su questa materia, hanno svolto un lavoro approfondito e oggi vi stanno proponendo degli emendamenti che, se accolti, vi permetteranno di realizzare una riforma efficace ed incisiva, e non sbagliata e perfino dannosa come quella che vi accingete a varare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.

LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, sono un deputato di opposizione, ma il mio intervento sarà probabilmente un po' diverso da quello dei colleghi che mi hanno preceduto. Vede, signor ministro, non volevo quasi intervenire perché, a furia di sentir parlare di invecchiamento dell'università, sulla base dei quarant'anni di cattedra che mi ritrovo, mi era quasi venuta vergogna a prendere la parola in questa sede. Ma è tanto l'affetto che nutro per l'università, che ritengo di dovere intervenire, sia pure molto brevemente attesa l'ora tarda, anzi, come disse un importante magistrato, «attesa un'ora pericolosamente tarda».
Quindi, dirò qualcosa, riservandomi di intervenire in seguito durante l'esame degli emendamenti, un po' per vezzo; pur essendo ormai da diciotto anni in Parlamento, non ho mai voluto far parte della Commissione cultura, proprio perché, probabilmente, avrei sentito troppo il gioco dell'appartenenza ad una categoria, ma questa volta ho ritenuto che fosse mio dovere.
Prima di richiamare alcune considerazioni non spiacevoli ma sulle quali inviterò a riflettere, vorrei sottolineare, come ho già detto all'amico relatore, onorevole Mario Pepe, una cosa della quale mi rallegro, e cioè che tra i princìpi generali sia stato previsto che l'università possa esser finanziata con i fondi pubblici e privati.
Troppe volte abbiamo, infatti, lamentato una separazione tra la società civile, come si dice oggi, e l'università: e ciò qualche volta è accaduto per colpa nostra (odi profanum vulgus et arceo, ovvero il vecchio accademico che non voleva essere disturbato) ed anche per la mancata sensibilità di imprese alle quali, viceversa, a mio modesto avviso, bisognerebbe rivolgersi di più per avere maggiori contributi. Tutti chiediamo soldi, li chiediamo di continuo, sapendo però quali siano le finanze pubbliche, anche se mi auguro che quest'anno il fondo ordinario possa essere di molto superiore rispetto a quello degli anni precedenti.
Questo, quindi, a mio avviso, è un lato nettamente positivo, non solo per la previsione dell'afflusso di denaro non pubblico, ma perché si tratta di un incentivo a collegare università e mondo del lavoro, dell'impresa e dell'imprenditorìa, specialmente in un momento di globalizzazione.
Detto questo, vengo al problema di fondo, che è quello del reclutamento. Onorevole ministro, lei pensa, e probabilmente ritengo abbia buone ragioni per pensarlo, che una riforma del sistema dei concorsi possa migliorare la forma di reclutamento? Debbo confessarle che ci credo poco!
Ho fatto parte di commissioni di concorso all'epoca in cui erano coinvolti i professori di tutte le discipline afferenti ad una facoltà; ho fatto parte di commissioni elette con sorteggio... Ironia della sorte, si fece il sorteggio, perché colui che allora veniva considerato un «barone» dell'università, e che ha onorato i banchi di questa Assemblea per molti anni, il professor Tesauro, si diceva che fosse talmente potente per cui tutti i concorsi di diritto costituzionale e pubblico fossero dominati dalla figura di questo autorevole collega. Dunque, venne effettuato il sorteggio: il primo nome estratto, come lettera di diritto costituzionale, fu quello del professor Alfonso Tesauro: tale sistema ha dato i peggiori risultati, perché chi veniva sorteggiato non era assistito dalla stima della comunità scientifica, bensì da quella della sorte ed ha cercato, quindi, a tutti i costi, di sistemare i propri allievi.
Ho fatto parte, poi, di commissioni miste, di quelle costituite in parte a sorteggio e in parte per elezioni; non ho fatto parte, per ragioni di incompatibilità, di quelle cosiddette localistiche né di quelle a tre o a due, ma seguo abbastanza la materia. Su questo punto vorrei dire che l'università italiana è di gran lunga migliore (mi riferisco alle discipline giuridiche di cui mi onoro di far parte) rispetto a quello che si dice. Ho contatti frequenti con tanti colleghi, specialmente con quelli dell'America latina, ma direi che se qualcuno di voi andasse oggi nell'America del Sud scoprirebbe che quasi tutti gli studenti, specialmente quelli dell'Argentina e del Brasile, studiano su testi in lingua spagnola che riportano i nostri lavori.
Da questo angolo visuale la nostra università non merita il discredito attribuitagli in questi ultimi tempi. Anche il nuovo sistema dipenderà molto dalla qualità dei commissari, ed esso non può che avere un sistema di cooptazione.
Il problema vero, e, quindi, la critica da rivolgere al sistema attuale dei concorsi, é quello che essi sono stati banditi per più posti quando il finanziamento era sufficiente per un solo posto; in questo modo si è creata una forma di precariato universitario che in qualche modo deve essere sistemato. Quello degli idonei non chiamati è un problema grave, così come lo è quello dei ricercatori, anzi di più.
Da vecchio professore universitario, mi sono fatto un regalo: non sono voluto andare in pensione proprio per consentirmi di andare tutti i lunedì all'università a fare lezione. Ministro Moratti, i colleghi hanno giustamente parlato della ricerca, ma, a mio parere, il vero problema è quello della didattica. Molto spesso sono stati banditi concorsi per materie, per discipline e per corsi di laurea con pochissimi studenti. Vi sono università dove, specialmente per le materie del primo anno, se un professore si ammala si chiude l'università. Di questo nella distribuzione dei fondi occorrerà tenere conto; in particolare, bisognerà tenere in considerazione i cosiddetti punti di eccellenza della ricerca scientifica, ma anche la didattica che é, a mio avviso, fondamentale. Occorre, quindi, un numero adeguato di professori che consentano di svolgere la didattica in maniera ottimale. Da questo punto di vista, da vecchio professore universitario,
sono molto favorevole allo svecchiamento e all'impiego dei giovani nelle università. Signor ministro, questa è la prima cosa che le chiedo; in questo modo coloro che hanno vinto il concorso conseguendo l'idoneità saranno man mano sistemati, ovviamente dove le facoltà lo richiedano perché ciò non deve comportare una lesione dell'autonomia universitaria.
Nel nostro gergo si dice che «chi vince da fuori, forse è un po' più bravo di quello per il quale è stato richiesto il concorso». Di bravi in cattedra ne conosco molti, e di somari in cattedra, parlo per primo, ne conosco altrettanti! Non è che tutti i professori universitari siamo dei geni.

PRESIDENTE. Onorevole Acquarone, si avvii a concludere.

LORENZO ACQUARONE. Concludo Presidente. Chiederei al ministro Moratti, avendo anche ascoltato il collega relatore, onorevole Mario Pepe, che ha rappresentato una certa disponibilità del rappresentante del Governo, di eliminare il precariato che si è creato, ripeto, attraverso il numero di idonei non chiamati, che non hanno preso servizio.
Mi auguro che con il fondo ordinario di quest'anno si possa giungere a questo, e che si tenga conto nella distribuzione dei fondi non soltanto dell'eccellenza didattica ma anche delle necessità didattiche perché vi sono materie che, ove non insegnate, possono condurre alla chiusura degli atenei.
Onorevole ministro, mi riservo di intervenire in sede di esame delle proposte emendative, ma non lo farò con spirito di parte, perché il mio affetto per l'università è tale per cui non mi sentirò mai uomo di parte.
Ricordo un vecchio verso di D'Annunzio che mi pare reciti in questo modo: «fuor d'ogni parte il buon giureconsulto». Lui lo diceva per uno che era morto; io mi auguro di dirlo da vivo (Applausi).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Titti De Simone, iscritta a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.







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