Tempo pieno senza lieto fine
Data: Lunedì, 12 luglio 2010 ore 08:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Esami
di Stato alle battute
finali: alla spicciolata notizie di docenti che, nonostante carriera ed
età,
vengono dichiarati soprannumerari; frutto amaro della politica di
“semplificazione” (dicitura beffarda, significa falcidia di posti di
lavoro) inaugurata quasi 2 anni fa dal governo.
Semplificazione, rassicurante eufemismo che nasconde un'unica realtà:
interrompere percorsi, precarizzare
esistenze, smantellare un sistema certamente complesso, quello
scolastico, che nella complessità ha trovato – in
anni passati – la propria forza.
Così la superiore, tradizionalmente inerte rispetto al proprio destino,
viene risvegliata
a forza dal torpore e dalla svogliata e incomprensibile indifferenza
alla “riforma” Tremonti-Gelmini-Brunetta.
La primaria, come di consueto, invece, non dorme, forte
della propria cultura collegiale e della condivisione.
La
scure di Tremonti si è abbattuta quest'anno sulle prime,
che determineranno gli andamenti futuri:
senza tempo
pieno migliaia di famiglie,
3mila a Milano, 4mila a Roma.
Pronta la risposta di insegnanti e genitori, che continuano a
protestare. Il taglio degli organici – anche là dove formal-
mente sono state mantenute
le 40 ore – non garantisce
l'impatto culturale e politico
che ha fatto la storia del TP,
dalla l. 820/71 alla l. 148/90:
emancipazione femminile, risposte a domanda sociale.
Ma
non solo. Si è passati dall'assistenza scolastica al diritto allo
studio, con una scelta precisa di costruzione di consapevolezza e
cittadinanza.
La
scuola del TP è stata scuola
della comunità, ambiente pedagogico a tutto campo, modello
organizzativo compatto
e coerente, con un'attenzione imprescindibile per la qualità di
strutture, laboratori, biblioteche.
Accoglienza delle
diversità, valorizzazione delle
identità, in una proiezione
non individualistica, ma da integrare con la forza della conoscenza,
dell'istruzione
emancipante.
Il TP si basa su
un concetto o idea-chiave, sul
quale si articola la didattica di
un intero anno, in tempi distesi e con la collaborazione
di voci e strutture differenti:
una risposta culturalmente
più efficace alla controproducente moltiplicazione dei
progetti che prolifera altrove.
I “saperi confusi” con cui i
bambini arrivano quotidianamente in classe devono essere –oggi più che
mai - raffreddati, stemperati, selezionati:
il senso del TP è stato quello
di aiutarli a trasformare questo enorme materiale in esperienza,
mediante sollecitazioni operative, impatto con differenti saperi e
linguaggi, in
un avvicinamento graduale all'organizzazione delle conoscenze per
materia.
Il team di
insegnanti (ritenuto superfluo e “semplificato”, appunto) ha insistito
– con indubbi
vantaggi didattici e formativi
– su condivisione di responsabilità, senso di appartenenza a quel
nucleo di elaborazione comune e di laboratorio sperimentale che la
scuola, nelle migliori esperienze,
è diventata.
Il tempo disteso
ha assecondato ritmi di apprendimento e prodotto conoscenza attraverso
esperienza, riflessione, metabolizzazione, recupero, potenziamento: no,
tutto ciò non può
interessare chi ha l’obiettivo
di “semplificare”.
La scuola democratica si dedica da 40 anni a concretizzare un progetto
che l'Europa
ammira e che ha gettato le basi – fra l'altro – di ricche integrazioni
tra scuola e territorio, con partecipazione degli Enti Locali (quando
non
erano, anch'essi, “semplificati”) a forme di progettazione
condivisa: concessione di servizi di supporto, ma anche attivazione di
risorse educative; non può quindi assistere
inerte allo smantellamento di
una simile proposta, che ha
dato frutti significativi in termini di cittadinanza e di successo
formativo.
L'orario-spezzatino (un tempo
scuola prolungato, ma non inserito in una vera cornice pedagogica) è
una surroga formale e affatto inadeguata a
questo potente progetto culturale.
L'ambiguità tra servizio a domanda individuale e
diritto per tutte e per tutti è la
conseguenza più evidente
del taglio. Ci racconta Piemontese che il direttore dell'USP di Milano,
Pupazzoni,
sostiene che la proposta di TP
impedisce la scelta di chi preferisce il tempo modulare.
E
conclude: “Chi rinuncia al
tempo pieno avrà la certezza
di poter inserire il proprio figlio in una classe "white" senza
"scassati", tanto quelli hanno bisogno di cure e vanno a
finire tutti nelle classi a TP.
In
questo modo il TP non è destinato a scomparire, ma a diventare un
recinto per il controllo sociale, una riserva dove rinchiudere chi non
è "normale" e rappresenta una minaccia per la comunità.
Chi
salirà allora sull'aereo del
tempo pieno? Solo Franti e la
sua cricca”.
Paradossale rovesciamento di prospettiva in
un Paese incapace di valorizzare le proprie risorse e rinunciare alla
omologante logica buoni-cattivi.
Insomma,
una potenziale nuova frontiera del ghetto.
Marina Boscaino
Il fatto quotidiano del 11 luglio 2010
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