PERCHÈ LA MORATTI NON SEMBRI LA BERLINGUER
Data: Giovedì, 17 febbraio 2005 ore 21:46:49 CET
Argomento: Opinioni


Occorre invece fare chiarezza. Il 17 gennaio è stata resa nota una bozza del decreto che dovrà disegnare la fisionomia della nuova scuola secondaria. È stata accolta da una bordata di fischi, anche da parte delle forze che hanno sempre appoggiato l’opera di riforma dell’attuale ministro. Ultime in ordine di tempo: l’8 febbraio il dipartimento scuola di Forza Italia, il 9 il coordinamento degli assessori regionali all’istruzione capitanato dalla Lombardia, il 10 il responsabile della scuola di Confindustria su Il sole 24 ore. Unanimi le critiche: contro l’eccessiva licealizzazione, la fine degli istituti tecnici, la rigidità dell’impianto degli stessi licei. Di fronte a tanta ostilità il ministro ha fatto marcia indietro, e ha dato ordine ai suoi tecnici di riscrivere il documento. Noi abbiamo sempre sostenuto, e lo ribadiamo, che il sistema educativo unico e articolato in due filoni , vera novità della riforma, debba essere mantenuto come premessa fondamentale che rende la “Moratti” diversa dalla tentata e non attuata riforma “Berlinguer”. Il passaggio di tutta l’istruzione ai licei, che qualcuno continua a vagheggiare, non avrebbe dunque ragion d’essere, se non nella prospettiva di un ritorno indietro. Tale passaggio, inoltre, è, come sappiamo, reso impossibile dalla nuova Costituzione, modificata nel suo Titolo V, che assegna allo Stato le norme generali sulla istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), mentre alle Regioni resta la competenza esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale. Punto. Da qui in poi il compito del governo centrale in merito alla scuola superiore è quello di disegnare, mediante il decreto applicativo, due sistemi diversi e di pari dignità. Ora, la riscrittura del decreto può significare due cose, entrambe auspicabili. Primo, limitare il decreto alla definizione dei percorsi ( l’uno propedeutico all’università, l’altro alla professionalità) e dei LEP, eliminando le norme che si riferiscono alla gestione delle istituzioni che li erogano. In parole povere: indicare le caratteristiche dei percorsi liceali e di istruzione e formazione professionale, lasciando le decisioni sull’eventuale passaggio alle Regioni di istituti tecnici e professionali alle leggi che dovranno regolamentare il trasferimento dell’intero sistema di istruzione, elementari e licei classici compresi, in attuazione del titolo V della Costituzione. Secondo, riscrivere i profili dei licei secondo i criteri di flessibilità già utilizzati per le scuole medie (monte ore annuale con indicazione di un minimo e un massimo, uno zoccolo duro di materie comuni e un’ampia area di scelta per le scuole e gli studenti, con riduzione del numero di materie complessive). L’obiettivo è una norma che non tocchi la gestione delle scuole e permetta a ciascuna di aprire i corsi più adeguati alla sua vocazione e alle necessità del territorio (un ITIS ad esempio – ma anche un IPSIA, o un liceo - potrebbe avere un percorso di liceo tecnologico secondo le norme dettate dallo Stato e un percorso di istruzione e formazione secondo quelle dettate dalle Regioni, rimanendo un Istituti tecnico statale). Quindi è inutile scagliarsi contro un decreto che è ancora in fieri; inoltre, la posta in palio è molto diversa da quella sventolata. Al posto del tanto paventato: “passeremo alle regioni?” meglio allora il più rassicurante quesito: “avremo finalmente un sistema flessibile, capace di orientare e seguire i ragazzi, all’interno di una data filiera, da un percorso a un altro più adeguato allo sviluppo delle sue capacità?” Chi confonde le acque lo fa perché vuole che, ancora una volta, nulla cambi.
 







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