16 BOCCIATI SU 33 ISCRITTI. DOCENTI: ''COLPA NOSTRA''
Data: Domenica, 27 giugno 2010 ore 12:39:33 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Hanno bocciato 16 alunni dei 33 iscritti alla prima classe meccanici dell'Istituto professionale 'Riccì di Fermo, cuore del distretto calzaturiero delle Marche. Sono frustrati, ammettono il fallimento, ma in una lettera aperta alla stampa 12 docenti dell'Ipsia richiamano istituzioni, Governo e mondo economico ad arrestare «l'inesorabile deriva dell'istruzione professionale», e a comprendere le condizioni «insostenibili» in cui gli insegnanti sono costretti a lavorare. Classi da 30-37 studenti, in gran parte stranieri, nessun servizio di supporto psicologico per i ragazzi più difficili, dotazioni strumentali ridotte al minimo; quest'ultimo un vero parodosso per una scuola professionale dove si dovrebbe «imparare facendo». «Sedici bocciati su 33 - scrivono i professori - sono di fatto la metà della classe. (da Leggo).

Ma lo scrutinio di fine anno non è frutto di un intento punitivo o di una smisurata volontà di selezione: solo la presa d'atto che, nelle condizioni date, nonostante il nostro impegno non siamo riusciti a portare gran parte degli studenti agli obiettivi minimi per andare avanti». «Un grave insuccesso, di fronte al quale non possiamo e non vogliamo far finta di nulla». Ai docenti sta a cuore «il futuro dei nostri giovani e del territorio, e la lettera non vuole essere un alibi» ma un contributo di riflessione. Un istituto professionale è sempre una «scuola di frontiera fra istruzione e abbandono scolastico». In genere accoglie studenti con «percorsi scolastici travagliati, difficoltà di apprendimento, condizioni sociali svantaggiate, e il maggior numero di stranieri rispetto a ogni altro indirizzo di studio». Negli Ipsia i giovani dovrebbero poter contare su percorsi individualizzati per modulare contenuti e stimoli, ma «solo per memorizzare i nomi delle loro variopinte moltitudini si impiega almeno un trimestre». Economie finanziarie impoveriscono anno dopo anno «le dotazioni strumentali indispensabili a mantenere l'approccio di laboratorio alla didattica». E con il venir meno del carattere operativo dei corsi gli studenti perdono l'occasione «di riconciliarsi con la scuola nel suo complesso». Molti abbandonano, cercano un lavoro se lo trovano, o imboccano percorsi devianti. Un costo sociale «altissimo», che il Paese sembra non vedere, disposto a «risolvere il problema alla radice, smantellando l'istruzione professionale». La riforma delle scuole superiori e la norma che consente di assolvere l'obbligo scolastico anche con l'apprendistato nei luoghi di lavoro «vanno in questa direzione», concludono i docenti. E pensare che dalla crisi, si dice, si può uscire solo puntando su istruzione e formazione.



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