Scuola e ... solitudine, con la forza di dire ad ogni domanda: “Va bene!”
Data: Martedì, 15 giugno 2010 ore 09:41:00 CEST
Argomento: Opinioni


Scuola e SolitudineRicordo uno dei miei primi Collegi Docenti a Militello, proprio agli inizi della mia carriera scolastica.
Prende la parola per relazionare l’attività svolta da “funzione obiettivo” un collega di lettere, un tipo smilzo, barbuto e serio: “La professione docente è un mestiere di solitudine, si lavora da soli dal suono della campanella d’ingresso sino all’uscita vociante dei ragazzi dalla scuola, e anche dopo, con i colleghi, con i dirigenti, con i collaboratori, con i registri, con le carte da consegnare a fine anno. Siamo e restiamo profondamente soli”.
Adesso dopo parecchi anni di lavoro precario, devo riconoscere che quel collega, di cui ormai non ricordo più il nome, aveva perfettamente ragione.
La professione docente è un lavoro di solitudine.
Ma come, mi si potrebbe obiettare, si lavora in un contesto vivo, pieno di vita, di giovani, di colleghi?
Come si fa a rimanere soli in un simile ambiente!?
Provate a vivere dentro una scuola e capirete anche voi!

Siamo soli in cattedra, dentro l’aula scolastica con i ragazzi che ti vedono dall’altra parte della barricata;
siamo soli in sala docenti con i colleghi che ti nascondono il loro lavoro e custodiscono in gran segreto registri personali e libri di testo;
siamo soli nei lunghi e luminosi corridoi con i bidelli che ti guardano con aria di sufficienza e di sospetto, pronti a negarti fotocopie e carta igienica;
siamo soli in vicepresidenza spiati da un enorme orologio a pendolo “stile impero”;
siamo soli nei consigli e negli scrutini, attenti a controllare il rigo con la giusta casella e la percentuale millimetrica dei voti;
siamo soli con le famiglie dei ragazzi che agli incontri vengono sempre con una buona dose di premura e di pregiudizi, avuta in dote dai figli;
siamo soli con il dirigente scolastico, interessato oramai al bilancio economico ed al parere dei Revisori dei conti; siamo soli nel leggere le circolari ministeriali e nel rincorrere il ginepraio di ricorsi e di sentenze senza fine.

Per non parlare degli insegnanti di sostegno: solitudine elevata al cubo! Soli con il ragazzo che seguiamo, con la classe e con i colleghi curriculari. E soli, sospettosi e diffidenti persino con gli stessi colleghi di sostegno.
E se poi tutto questo oceano di solitudine lo condiamo con la vita del precario quarantenne costretto ad accettare l’incarico annuale ad oltre 1350 chilometri lontano da casa, sradicato dai propri affetti, dalle abitudini, dalla propria vita…Che esistenza ne viene fuori?

E quando si torna per le vacanze di Natale e di Pasqua, quando si tenta di voler ritornare nella propria normalità, nella vita di sempre, fare una passeggiata in piazza, andare al cinema, ascoltare un comizio, e si viene salutati dai vecchi amici e conoscenti come un parente lontano, come lo zio d’America, come uno straniero…nella propria terra.
E si ha, quindi, l’amara sorpresa di vivere “per due volte” la solitudine, nel luogo dove lavori, perché emigrante, e nella città d’origine, perché perdi la quotidianità, il contatto giorno dopo giorno, la normalità del vivere comune, il respirare la stessa aria, anche se impregnata di discarica, il sentire gli stessi problemi, le comuni preoccupazioni, gli avvenimenti, le feste.
Straniero a casa propria! Che amaro destino il nostro.

Ma forse è tutta qui la nostra forza. La cattedra è la nostra trincea, la nostra barricata da cui tentare l’assalto finale per “cambiare il mondo”; l’insegnamento come dimensione privilegiata della nostra esistenza in grado di dare un senso anche al vuoto di solitudine che ci circonda, di dare un significato importante alla nostra vita.
Dare una risposta felice e convincente con il nostro lavoro, giorno dopo giorno, alle derive del mondo.
Questa è la nostra mission. “Ti facisti pissuasu?” Esclamerebbe ancora la mia cara e simpatica collega siciliana che ama tanto il dialetto!
Ma a me, quest’anno, è piaciuto combattere la solitudine anche con gli occhi neri di Sharon; anche lei, che proviene da un altro mondo e che porta nel cuore i profumi e i silenzi della sua Africa, combatte, come noi, ogni giorno, le ingiustizie storiche del mondo con un sorriso giovane dentro un mestiere che non possiamo dire.
Ed ha la forza di dire ad ogni domanda: “Va bene!”.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it





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