''MINACCIATA E INSULTATA, MI SCAPPO' LO SCHIAFFO''
Data: Giovedì, 10 febbraio 2005 ore 06:25:00 CET
Argomento: Opinioni


LA STORIA «Minacciata e insultata, mi scappò lo schiaffo» ROMA - «Mi capitò in una media di Primavalle, lo ammetto, un giorno persi la pazienza. Ero stressata da un anno faticoso, passato in una scuola di frontiera. Eppoi, avevo anche problemi personali. La terza C era diventata un incubo, per due-tre elementi che mi impedivano di insegnare. Ragazzi con bocciature alle spalle, più grandi dei compagni di classe, sempre pronti alla provocazione. Un giorno ad uno mollai una sberla. Si mise a urlare, ci fu un gran chiasso, gli avevo fatto la guancia rossa. Ero esasperata, ma subito mi vergognai di me, sentendomi sconfitta». Marta B., cinquantenne, insegnante di lettere, da molti anni nella scuola, ama il suo lavoro e confessa le «debolezze» di chi sta in cattedra. «Non mi lamento, anzi. Se dovessi scegliere ora la professione della vita tornerei a fare l’insegnante, nonostante i quattro soldi in busta paga e la scarsa considerazione nei nostri confronti. Però, non siamo d’acciaio. E anche per i più resistenti e motivati la corda si spezza». Che cosa ha logorato Marta B.? Che cosa ha appannato la sua passione di insegnante? «Lo stato di solitudine in cui ci troviamo, intollerabile quando i problemi si fanno più grandi di te e nessuno ti dà una mano. La solidarietà dei colleghi è un aiuto, però non basta per andare avanti. Non voglio drammatizzare, ma sono stata minacciata, derisa e anche insultata. Volevo fare bene il mio lavoro, tuttavia non avevo abbastanza strumenti per questo». «L’episodio che mi mandò in crisi? Sì, lo racconto. Da due ore cercavo di tenere viva l’attenzione della classe, ero in una terza difficile, dove c’erano ragazzi con storie complicate alle spalle. Quelle due ore mi avevano impegnata oltre ogni limite. I soliti che agitavano le acque erano particolarmente scatenati. Uno aveva sotto il banco un giornaletto, anzi un giornalaccio. Altre volte gli avevo sequestrato materiale simile. Un altro gli teneva bordone, si lanciavano pallottole di carta con dei messaggi. La lezione era di continuo interrotta. Risate, chi entrava e chi usciva. Ad un certo punto mi sentii “inutile”, in qualche modo sprecata, nel tentativo vano di trasmettere una cultura che lì, in quel contesto, mi parve astrusa». La storia di Marta B. è comune a molti altri. Lo stato di stress di chi insegna è diventato oggetto di indagini. A. Ser.





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