Dieci cose sulla scuola italiana: i disastri compiuti dalla destra e gli sbagli della sinistra
Data: Domenica, 06 giugno 2010 ore 09:30:14 CEST Argomento: Rassegna stampa
La scuola italiana funziona perfettamente? No. Ce lo dimostrano tutte
le ricerche nazionali e internazionali sugli apprendimenti e
soprattutto ce lo dicono altri indicatori “indiretti”. Un compito della
scuola è contribuire a ridurre le disuguaglianze sociali. Oggi questo
non accade, come ci ha ricordato un rapporto dello scorso anno sulla
mobilità sociale nel nostro Paese curato da Irene Tinagli per Italia
Futura. La nostra società è insieme immobile ed iniqua e il principale
strumento di ascesa sociale, l’istruzione, non funziona.
Il problema della scuola italiana è il “lassismo” figlio del ’68 come
ci ripetono certi cantori dei bei tempi andati sia di destra che di
sinistra? No. In Italia si boccia tantissimo, soprattutto negli
istituti tecnici e professionali (cifre intorno al 25% per i primi due
anni) e in particolare si bocciano sempre gli “ultimi”: quelli che
entrano a scuola con più chances di essere bocciati ne escono bocciati.
I principali oppositori del cambiamento necessario sono gli insegnanti,
come sostiene la destra? Non sempre. Sono pochissimi gli insegnanti che
sostengono “tutto va bene, madama la Marchesa”. C’è invece nella scuola
una parte significativa di docenti cosciente delle esigenze di
ripensamento, che si concepisce non come esecutore indifferente al
risultato del proprio lavoro, ma come professionista, ricercatore,
progettista di percorsi formativi. Che si concepisce in un ruolo, con
una responsabilità. Per questo vuole che le sia riconosciuto il diritto
di poter crescere nelle mansioni e nella retribuzione nel corso della
propria carriera lavorativa, vuole le nuove tecnologie, vuole stare a
scuola in uffici idonei non solo per le 18 ore in cui sta in aula,
ritiene suo diritto che il proprio lavoro venga valutato e valorizzato,
premiando impegno e risultati conseguiti. Per questo non accetta più
che il proprio percorso di assunzione avvenga un meccanismo anonimo ed
inefficace come l’attuale.
E allora chi si oppone al cambiamento? Tutti coloro che hanno da
perdere rendite di posizione, a partire dall’apparato ministeriale, per
scendere fino alle frange più corporative delle organizzazioni
sindacali. E chi arresta la propria analisi al pigro luogo comune sulla
“scuola migliore del mondo”. Non è così.
Qual è l’errore principale fatto dal governo? Aver impostato tutta la
cosiddetta riforma facendosi guidare esclusivamente da esigenze di
risparmio e procedendo attraverso tagli indiscriminati, ovvero uguali
ovunque a prescindere da un giudizio su cosa funzionasse e cosa no.
Ma allora non è vero – come dice la Gelmini – che nella scuola c’erano
“sprechi”?
Questo è in parte vero, ma non nel senso che intende la Gelmini. E
soprattutto la toppa è peggiore del buco. Sulle elementari il ministro
ha sostenuto che il Tempo Pieno (40 ore, due insegnanti per classe, con
le compresenze) e il modello dei moduli (30 ore, tre insegnanti per due
classi, con le compresenze) fossero uno spreco, e li ha spazzati via.
Avrebbe invece dovuto verificare dove avveniva che si chiedessero
docenti per fare 30 ore e se ne facevano 24, questo sì uno “spreco”. I
tagli indiscriminati per loro stessa natura penalizzano maggiormente le
realtà più virtuose.
40 ore di scuola e Tempo Pieno sono la stessa cosa? No, il Tempo Pieno
non è una versione lunga della scuola mattutina. L’unico modello di
Tempo Pieno possibile è quello con due insegnanti per classe (e quindi
con le compresenze) che permetta il progetto didattico che prende
questo nome; l’alternativa è che per dare 40 ore si usino 3, 4 o 5
insegnanti per classe a fare poche ore a testa: alla faccia della
figura unica di riferimento tanto propagandata. Se si deve risparmiare
si verifichi dove il progetto didattico del Tempo Pieno non è
soddisfatto e si intervenga lì, ma se il progetto della scuola è
valido, devono essere garantite le risorse per erogarlo. Il Tempo Pieno
è stato messo in discussione solo per ragioni di costi: non è un
criterio con cui riformare la scuola.
Ma ormai la riforma della Primaria è Legge e non si può tornare
indietro. Paradossalmente, per ora sarebbe tollerabile che fosse almeno
applicata: classi a Tempo Pieno là dove c’erano nel 2008, e per queste
due insegnanti per classe: non uno di meno. Alcuni uffici scolastici
regionali - quello della Lombardia tra questi – hanno invece
assegnato l’organico andando oltre quanto previsto dallo stesso
regolamento Gelmini. La mobilitazione di questi giorni, se finalizzata
a questo obiettivo concreto (ripristinare il contingente previsto dalla
stessa riforma Gelmini) e non a generiche rivendicazioni, potrà dare
risultati in vista dell’assegnazione – che avverrà nelle prossime
settimane – dell’organico di fatto (per semplificare, un organico
aggiuntivo).
Il disegno della destra è favorire la scuola non statale? Qui entriamo
nell’opinabile, ma anche questo è un mito da sfatare o almeno una
semplificazione fuorviante. Il disegno della destra è innanzi tutto il
risparmio in un settore da essa vissuto come estraneo ed ostile. Poi ci
sono di certo puntuali interessi ideologici ed economici che si
aggrappano a questo disegno, e la scuola privata sta venendo
“risparmiata” piuttosto che favorita. Ma il disegno culturale della
destra è la descolarizzazione e il ritorno alla scuola della sola
istruzione e del mero trasferimento di conoscenze. Fallirà, perché la
società va in un’altra direzione, ma nel frattempo si sarà accumulato
un ritardo ulteriore rispetto agli altri Paesi.
Nemmeno il centrosinistra ha le idee
chiare. Dopo l’esperienza del Ministro Berlinguer, che ha
lasciato incompiuto il suo disegno riformatore a causa di alcuni errori
da lui commessi (il principale è stato fidarsi troppo del sindacato
quando gli ha detto che uno strumento rozzo come il concorsone avrebbe
funzionato, e poi sottovalutare Gilda e Snals), ma soprattutto degli
avversari interni che lo hanno fatto allontanare, è seguito un lungo
periodo di silenzio. Da alcuni mesi le cose sono cambiate e molti
territori hanno iniziato a produrre idee e mobilitazione attorno ad una
proposta capace di sfidare il governo del Paese (e qui in Lombardia
anche Formigoni).
Di alcune di queste si discuterà il
prossimo 18 giugno a Milano nella Prima Conferenza sulla scuola del Pd
lombardo. Saranno presenti tra gli altri Luigi Berlinguer e Francesca
Puglisi, responsabile nazionale scuola del Pd.
(Marco Campione è responsabile Istruzione e Formazione del Partito
Democratico lombardo)
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