Comunicare senza parlare
Data: Giovedì, 03 giugno 2010 ore 19:58:33 CEST
Argomento: Opinioni


COMUNICARE SENZA PARLARE
Studiare, approfondire, osservare maggiormente il linguaggio non verbale è un'esperienza affascinante che arricchisce la visione e la descrizione del mondo.
Tutti riconoscono il valore di gesti, atteggiamenti, comportamenti nel favorire o talvolta ostacolare la comunicazione. Nel campo della comunicazione prestare attenzione al linguaggio non verbale e  individuarne alcuni ausili interpretativi, consentono un cambiamento e un ampliamento del sentire e del vedere e quindi delle interessanti descrizioni alternative del mondo. La comunicazione non verbale può costituire un efficace canale alternativo di comunicazione , applicabile anche ai soggetti diversamente abili. In questo primo articolo verranno proposti alcuni strumenti per dare indicazioni sui "segnali" degli altri  ma anche sui propri, attraverso una semplice classificazione. Nel prossimo numero saranno approfondite le sue  funzioni . 

 

Letizia  Colonna
colonnaletizia@infinito.it

 

L’uomo è un “essere sociale” vive in un gruppo più o meno ampio di persone con le quali stabilisce determinate relazioni, attraverso una rete di comunicazione. La comunicazione negli esseri umani è un evento importantissimo: veicolo principale ne è il linguaggio, ma altrettanto importante è  l’alternativa , la comunicazione non verbale. I gesti, i silenzi, gli sguardi, i movimenti più o meno involontari del nostro corpo parlano di noi. E lo fanno, spesso, in modo più sincero rispetto al linguaggio: se le parole possono essere usate a nostro piacimento,  è più difficile con il corpo. Al fine di dare una   più chiara definizione dell’espressione “ comunicazione non verbale”, è necessario e opportuno specificare il significato dei termini “ comunicazione” e “non verbale”. “ Non verbale” significa “tutto ciò che non è parola”, in pratica tutto ciò che non è linguaggio verbale, il quale viene considerato il mezzo più evoluto che è utilizzato dagli uomini per mettersi in relazione. Pertanto se intendiamo per comunicazione un interscambio dinamico  ( inviare e ricevere informazioni, pensieri, atteggiamenti , un condividere e costruire significati) , la comunicazione non verbale si può definire come una trasmissione di contenuti con significati condivisi che avviene a prescindere dall’uso della parola. Alcuni autori, infatti, ad esempio Greene(1980) , alla distinzione linguistica tra  “ comunicazione verbale” e “ comunicazione non verbale” preferiscono quella fra “comunicazione che fa uso di parola” e “ comunicazione che non ne fa uso”. Argyle (1992; ed.or.1975), preferiscono invece chiamare questo tipo di comunicazione “ linguaggio del corpo”, difatti molti dei segnali non verbali, sono espressi mediante movimenti di parti del corpo. Non esiste una vera e propria teoria generale della Cnv o un’unica disciplina che si occupa dello studio dei suoi aspetti e delle sue funzioni. Il suo  studio ha origini e radici diverse che si ritrovano in varie discipline scientifiche le quali, nel corso del loro sviluppo, si sono occupate, per vari aspetti, dello studio dell’uomo con le sue comunicazioni e relazioni: la biologia, l’antropologia, la sociologia e la psicologia. Gli aspetti non verbali della comunicazione sono usate frequentemente ed in modo naturale e spontaneo nelle interazioni della vita quotidiana , per questo è difficile essere pienamente consapevoli della loro funzione e del loro significato. Infatti il linguaggio verbale si basa su un sistema convenzionale di segni codificato e condiviso che si basa su precise regole grammaticali e sintattiche. I segni non verbali non possiedono una struttura altrettanto codificata . La capacità di codifica dei segni non verbali dipende da molti fattori  che si riferiscono alle caratteristiche personali dei partecipanti all’interazione : contesto, culture diverse ecc. Vero è che la relatività e l’arbitrarietà del significato si applicano anche nel linguaggio verbale, ma esse si presentano in modo evidente nel caso dei segnali non verbali. La Cnv , infatti, comprende una vasta gamma di segnali di tipo cinesico, paralinguistico e intonazionale. L’uomo usa dunque svariati tipi di comunicazione non verbale, ognuno dei quali svolge una funzione ben precisa . In letteratura esistono diverse classificazioni della Cnv, quella qui proposta prende spunto dalle ricerche svolte da diversi autori: Ekman e Friesen (1969) che si avvicina a quella classica di Argyle (1974;ed.or. 1972). Gli elementi della comunicazione non verbale sono disposti idealmente secondo una scala ( Mastronardi, 1998). Questa scala , parte dall’alto e procede verso il basso, spostandosi dal generale al particolare, dai segnali più manifesti a quelli meno evidenti ( vedi figura in basso).


Una classificazione della C.n.v. 

Conformazione fisica
Aspetto esteriore
Abbigliamento
Distanza interpersonale
Contatto corporeo
Comportamento spaziale
Orientazione
Postura
Movimenti di busto e gambe
Comportamento cinesico                                                   
Gesti delle mani
Movimenti del capo
Sguardo e contatto visivo
Volto
Espressione del volto
Segnali vocali verbali
Segni vocali                                                                        
Segnali vocali non verbali
Silenzio


L’aspetto esteriore si può considerare una forma di comunicazione non verbale poiché fornisce importanti informazioni sugli individui, influenza la formazione delle impressioni e provvede all’autopresentazione. Comprende diversi elementi definiti “statici” da (Cook,1973; ed . or. 1971) in quanto generalmente non modificabili a breve termine nel corso dell’interazione. Si possono sintetizzare in due componenti principali: la conformazione fisica e l’abbigliamento. La prima riguarda tutto ciò che è costituzionale del fisico della persona. L’abbigliamento, invece,  è la componente più mutevole. · Comportamento spaziale. Ogni corpo si colloca in uno spazio e si muove in esso, assumendo determinate posizioni rispetto agli oggetti e alle persone che lo circondano. Lo studio dei movimenti di un individuo nell’ambiente fisico, del livello di contatto fisico o della distanza che intende stabilire tra sé e gli altri, della postura che assume e del suo comportamento territoriale può consentire di comprendere aspetti della personalità, stati emotivi, atteggiamenti interpersonali, norme valori e condizionamenti culturali. Gli elementi  che comprendono il comportamento spaziale dell’uomo sono: la distanza interpersonale, il contatto corporeo, l’orientazione e la postura. La distanza  o vicinanza interpersonale è un segnale significativo dal punto di vista sociale, poiché dà immediatamente idea dell’intimità e del rapporto tra gli interlocutori. Hall (1969) ha distinto  quattro forme diverse di distanza interpersonale, che la persona mette tra sé e gli altri : distanza intima, distanza personale, distanza sociale, distanza pubblica. Connesso alla distanza interpersonale è, ovviamente , il contatto corporeo, il quale non è altro che una totale assenza di distanza interpersonale.  Anolli  (2002) definisce il contatto corporeo sistema “aptico”: concerne i comportamenti di contatto fisico con le persone. Le forme di contatto corporeo sono varie  : la frequenza e l’intensità dipendono dal grado di intimità, dal luogo pubblico o privato, dalle differenze interculturali. Altri comportamenti spaziali sono : l’orientazione che è il modo delle persone di orientarsi l’una verso l’altra ;  la postura, che è un segnale in parte involontario, che può partecipare alla comunicazione (Mehrabian, 1970). Tra i comportamenti spaziali rientra anche la difesa di quest’area personale (Kendon, 1973), ovvero l’invasione  da parte degli altri di questo spazio che può verificarsi non solo attraverso l’intrusione fisica  ma anche tramite gli stimoli che giungono ai diversi apparati sensoriali dall’esterno  ( sguardo fisso, rumore eccessivo, odori forti).· Il comportamento cinesico  riguarda i movimenti del corpo ( busto e gambe) e i gesti delle mani e delle braccia. Essi comunicano svariate informazioni, soprattutto relative ai contenuti verbali, quando si utilizzano insieme al linguaggio verbale. Uno dei maggiori contributi allo studio di tali movimenti è stato dato da  (Birdwhistell,1970) ed è stata proprio sua l’introduzione del termine “cinesica”. Egli ha individuato e descritto una serie di unità di comportamento, che ha chiamato “cinemi”, i quali comprendono i movimenti di tutto il corpo. · Il volto possiede ben oltre venti muscoli molto contrattili, la maggior parte dei quali è localizzata nella fronte e intorno agli occhi. Pertanto queste diverse contratture generano espressioni diverse del volto, nonché una diversa direzione dello sguardo. Lo sguardo  rappresenta uno dei più importanti segnali comunicativi a livello non verbale. Durante un’interazione viene fatto un  largo uso di sguardi reciproci , i quali forniscono precise informazioni  nella presentazione di sé . Nel corso di una conversazione, lo sguardo, regola l’alternanza dei turni. Kendon (1967) sostiene che per l’ascoltatore, essere guardato da chi parla, significa che questi è pronto a cedere lo spazio conversazionale, mentre il fatto che lo sguardo venga distolto indica il contrario. Secondo Ekman (1982), tutte le fondamentali emozioni dell’uomo si manifestano a livello di mimica facciale in modo nettamente riconoscibile. Il volto è forse la parte del corpo più rilevante per la segnalazione non verbale. Esso può riflettere con precisione la nostra esperienza soggettiva. Attraverso i movimenti delle sopracciglia e della fronte, gli spostamenti degli occhi, l’uso del sorriso, infatti, il volto esprime in modo difficilmente controllabile emozioni e atteggiamenti interpersonali.  Un’espressione del volto rilevante sotto il profilo comunicativo è il sorriso, che Ricci Bitti e Cortesi (1977) definiscono come un’espressione facciale indicante aspetti positivi (felicità, tenerezza, piacere, disponibilità verso l’altro). Molteplici ricerche si sono dedicate allo studio degli stimoli che provocano il sorriso. Numerosi  autori  sono concordi sull’esistenza di fasi evolutive del sorriso: “sorriso riflesso” nei primi mesi di vita ; “sorriso sociale” tra il terzo e il settimo mese; “ sorriso sociale selettivo” dopo il settimo mese; una fase di “reattività sociale differenziale” che continua per tutta la vita. Per quanto riguarda il sorriso dell’adulto Ekman e Friesen (1982) hanno distinto tre tipi di sorriso: quello “spontaneo”, che coinvolge tutto il volto; il sorriso “simulato”, che coinvolge solo i muscoli zigomatici; il sorriso “miserabile”, che risulta  forzato, infelice e coinvolge la zona inferiore del volto. · Segnali vocali. Un altro aspetto della Cnv riguarda i segnali vocali. Durante una conversazione le persone, oltre a usare il linguaggio verbale, utilizzano una serie di elementi non propriamente linguistici che sono in parte indipendenti dalle parole pronunciate. Argyle (1992) ha proposto una suddivisione tra segnali vocali connessi al discorso e quelli indipendenti dal discorso che esprimono atteggiamenti ed emozioni. Facendo riferimento a questa distinzione di Argyle, chiameremo i primi segnali vocali “verbali” e i secondi segnali  vocali “non verbali” (Anolli, 2002) . I segnali vocali verbali riguardano le proprietà transitorie che accompagnano la pronuncia dell’enunciato linguistico. Essi tendono a modificarsi a seconda del contesto comunicativo: tono , intensità e velocità. I segnali vocali non verbali riguardano la qualità della voce della persona, la quale costituisce “l’impronta vocalica” (Anolli,2002) di un individuo. Essa permette di differenziare un individuo da un altro e di riconoscere una voce familiare in mezzo alle altre. Anolli distingue quattro fattori principali che influenzano gli aspetti vocali non verbali: biologici, sociali, di personalità, emotivi. Tra i segnali vocali troviamo il silenzio, uno strumento potentissimo di comunicazione, data la sua ambiguità e la sua interpretazione fortemente legata ad altri segnali non verbali, al tipo di relazione, alla situazione comunicativa, alla cultura di riferimento. I primi studi sul silenzio e sul suo ruolo all’interno dell’interazione sono iniziati con Goldman-Eisler (1968), la quale ha ipotizzato che le pause siano funzionali al parlante per la pianificazione delle espressioni verbali. Le pause lunghe , “fase esitante”, precedono l’esposizione di una maggiore quantità di informazioni e di enunciati più complessi, pertanto  caratterizzano la pianificazione cognitiva del discorso che sarà poi espressa in una fase detta “fluente” la quale invece è caratterizzata da pause di silenzio brevi o assenti. Sacks, Schegloff e Jefferson ( 1974), hanno sviluppato una classificazione del silenzio all’inizio della conversazione. Gli autori distinguono: 

 

Ø la pausa interrotta quando un parlante prende il turno, chiamata “gap” , la quale  è tipica della conversazione continua;

 Ø il silenzio, in cui nessun parlante prende il turno, definito “lapse”, tipico della conversazione discontinua;

 Ø il silenzio, interno a un turno o che denota un ritardo di un parlante nel rispondere a una domanda, a una richiesta o a un saluto, definito “ pause”.

 I comportamenti non verbali all’interno dell’interazione assumono diverse funzioni: sia per chi li produce, sia per chi li percepisce e quindi li utilizza, in modo più o meno consapevole, per interpretare i messaggi che essi comunicherebbero. Nell’interazione sociale, difatti, i segnali non  verbali  sono impiegati sia per inviare messaggi , sia per interpretarli. Anche per la Cnv , come per la comunicazione verbale, esiste una codificazione da parte dell’emittente e una decodificazione  da parte del ricevente. A differenza della comunicazione verbale, nella Cnv non esistono però dei codici universalmente condivisi che regolino i processi di codificazione e decodificazione.

 Sarà il successivo articolo che ci aiuterà a  focalizzare e  approfondire le funzioni della Cnv e  il valore comunicativo e intenzionalità della stessa.

Approfondimenti
·       Anolli L.  Psicologia della comunicazione, Bologna, 2002.
·       Argyle M. La comunicazione non-verbale, Roma-Bari ,1974  (ed. or. 1972).
·       Argyle M. Il corpo e il suo linguaggio, Bologna, 1992 , (ed. or. 1975).
·       Birdwhistell R.L. Kinesics and context: Essays on body motion communication, Philadelphia, 1970.
·       Cook M. La percezione interpersonale, Bologna, 1973 (ed. or. 1971).
·       Ekman P., Friesen W.V. The repertoire of nonverbal behavior: Categories, origins, usage and coding, in “Semiotica”, 1 , pp. 49-98, 1969.
·       Ekman P., Friesen W.V. Felt, false, andmiserable smiles, in “Journal of Nonverbal Behavior”, 6 , pp.238-252 , 1982.
·       Goldman-Eisler F. Psycholinguistics, London , 1968.
·       Greene J. Il comportamento comunicativo, Milano, 1980.
·       Hall E.T. La dimensione nascosta, Milano,1969 (ed. or. 1966).
·       Kendon A. Some functions of gaze direction in social interaction, in “Acta Psychologica”, 26 , pp. 22-63, 1967.
·       Kendon A. Review of Birdwhistell: Kinesics and context, in “American Journal of Psychology”, 85 , pp. 441-455, 1973.
·       Mastronardi V. Le strategie della comunicazione umana, Milano, 1998.
·       Mehrabian A. A semantic space for nonverbal behavior, in “Journal of Consultino and Clinical Psychology”, 35 , pp. 248-257, 1970.
·       Ricci Bitti P.E., Cortesi S. Comportamento non verbale e comunicazione, Bologna, 1977.
·       Sacks H., Schegloff E.A., Jefferson G. A simplest systematics for the organization of the turn taking for conversation, in “ Language”, 50, pp. 696-735, 1974.






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