FIGURE DI SISTEMA:I DIRIGENTI SCOLASTICI
Data: Mercoledì, 02 giugno 2010 ore 00:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Maestri con una forte cultura comune, dunque. L’altro pilastro unitario della scuola che verrà è costituito dai dirigenti scolastici.






Nella scuola italiana, e in genere in tutti i sistemi scolastici che negli ultimi venticinque anni sono stati ripensati sul terreno dell’ autonomia, si pone oggi un problema di autorità.

Detta in termini spicci, la domanda è: chi comanda nella scuola? Il problema è duplice: riguarda tanto il modello di autorità che il riconoscimento del suo principio all’ interno del sistema scolastico. A questo riguardo, l’ autonomia pone una questione che non sa o non vuole risolvere.

Il problema non è solo italiano e le soluzioni approntate nei diversi paesi riflettono storie politiche e sociali che è sempre molto rischioso comparare. In termini generali, l’evoluzione dei sistemi scolastici a partire dall’ ultimo quarto del Novecento ha visto il trasferimento alla periferia di molte funzioni e di obblighi tradizionalmente esercitati dalle amministrazioni centrali.





Il numero di queste funzioni non equivale però al loro peso. Vuol dire che molto grava ora sulle spalle delle istituzioni scolastiche, ma il meno che ancora resta in mano al centro vale più di tutto nella regolazione del sistema. In compenso, alle scuole sono toccati molti compiti burocratici e molte responsabilità e pochi poteri di gestione effettiva.

Se una scuola, ad esempio, ha un progetto che richiede un particolare impegno da parte dei bidelli che oggi si chiamano collaboratori scolastici, nell’ eventualità tutt’altro che remota che questi non collaborino il dirigente scolastico ha l’obbligo del provvedimento disciplinare ma non ha il potere di licenziarli e dunque di reclutare personale. Questo inasprisce i rapporti di lavoro all’ interno dell’ istituzione scolastica senza offrire strumenti effettivi per la loro soluzione e mette il dirigente scolastico nella penosa condizione di dover pazientemente elemosinare la disponibilità dei singoli.

Gli esempi possono moltiplicarsi a piacere, il punto resta sempre lo stesso: possibilità che, senza poteri, diventano velleità: volontà deboli che hanno scarse capacità di attuarsi.






C’è un altro aspetto che non va sottovalutato di questa volontà senza potere ed è l’ambiguità delle procedure e la moltiplicazione dei livelli amministrativi da consultare. La rottura della catena verticale di comando della scuola tradizionale ha generato una pluralità di centri decisionali in competizione tra loro: amministrazione centrale, apparati periferici, enti locali. Questo rende lo spazio istituzionale in cui si prendono le decisioni poco trasparente e moltiplica le occasioni dell’ errore amministrativo al livello dell’ istituzione scolastica e dunque delle sanzioni in cui incorrono i dirigenti, autorizzando così condotte circospette in chi invece l’autonomia pretenderebbe attivo, dinamico, creativo.

Nei modi di un non ancora, tuttavia, i limiti dell’autonomia descrivono un nuovo sistema di rapporti di potere all’ interno della scuola. Al centro di questo sistema ci sono i dirigenti scolastici. È bene dunque prestare molta attenzione al profilo di questa figura perché, se l’ autonomia non esiste senza i dirigenti, è ai dirigenti che spetterà il compito di fare in modo che l’autonomia non significhi la dissoluzione dei vincoli unitari del sistema scolastico.

La Costituzione vuole che lo Stato detti le norme generali in materia di istruzione. Ora, chi garantisce della loro attuazione a livello periferico?

È un aspetto largamente trascurato nel dibattito attuale. I dirigenti scolastici proprio perché sono il perno della scuola autonoma diventano i custodi delle sue ragioni unitarie, a meno che non ci si rassegni alla fine della scuola come luogo della nazione.

Tre almeno sono gli elementi della debolezza attuale di questa figura. La sua istituzione è avvenuta senza che contemporaneamente si sia messo mano alla riforma degli organi collegiali. Nella scuola attuale si fronteggiano così due principi divergenti di riconoscimento e di attribuzione di autorità. Il primo, quello degli organi collegiali, affonda le sue radici nel modello della scuola degli anni Settanta. È l’idea della scuola governata dal collettivo degli insegnanti. L’altro invece è un modello imperniato sull’ idea di leadership educativa. Presuppone nel vertice dell’ istituzione una capacità di indirizzo e direzione che chiama gli insegnanti a collaborare ad un progetto educativo individuato con chiarezza e seleziona i collaboratori sulla base di un’ aperta condivisione delle sue ragioni ideali.

Oggi questi due principi sono costretti a coesistere e generano conflitti. I dirigenti non solo non hanno nessuno strumento effettivo per premiare gli insegnanti migliori, ma l’idea che gli insegnanti siano tutti uguali scarica sul collegio dei docenti l’insieme delle tensioni psicologiche legate alle dinamiche del riconoscimento e rende molto delicata tutta la gestione delle attribuzioni di responsabilità, delle collaborazioni e delle assegnazioni degli incarichi.

La sindacalizzazione di queste dinamiche costituisce a sua volta un potente fattore di inibizione dell’ iniziativa del dirigente scolastico.

È urgente dunque rimettere mano a tutta la materia degli organi collegiali. Senza questo ripensamento, il potere di indirizzo del dirigente scolastico risulta compromesso.





L’altra questione sulla quale è necessario richiamare l’attenzione in una discussione sul ruolo della dirigenza scolastica è l’ appannamento dei suoi compiti di natura didattica, a vantaggio di un profilo di mera gestione amministrativa. Nel linguaggio un po’ stereotipo del dibattito attuale è la distinzione tra il dirigente leader e il dirigente manager.

La questione assume un rilievo particolare proprio in relazione alla scuola elementare. Qui, la nuova figura ha cancellato, all’ interno di un contenitore burocratico generico, i vecchi direttori didattici. Si trattava per lo più di maestri che avevano sostenuto un concorso specifico e che portavano nelle direzione dei circoli una ricca esperienza di lavoro sul campo.

Il dirigente scolastico non è evidentemente la stessa cosa che un direttore didattico ed è proprio la parola didattica (l’esperienza e il sapere che la costruiva) che è diventata irrilevante nella definizione del nuovo profilo professionale.

Tutto un patrimonio di cultura magistrale viene in questo modo disperso.

Un dirigente sul quale gravano ad esempio compiti come la ricostruzione di carriera degli insegnanti, un tempo assicurati dai provveditorati agli studi, non ha praticamente più spazio da dedicare alla didattica e all’ aspetto culturale dell’ insegnamento. Con l’autonomia i compiti amministrativi hanno preso il sopravvento. Un tempo, invece, il direttore visitava le classi, poteva guidare gli insegnanti alle prime armi, redigeva note e rapporti di merito. Tutto questo contribuiva a tessere una trama di rapporti culturali nella scuola italiana che riconduceva l’impegno dei singoli insegnanti ad un lavoro comune, definito da un modello di riferimento chiaro.

Questa funzione di tessitura e di collegamento si fa oggi più rilevante con l’autonomia, in un contesto cioè dove i vincoli unitari si attenuano e il centro, anche in termini di cultura di riferimento, si è fatto ancora più remoto e sbiadito.

È necessario restituire ai dirigenti la specificità dei settori formativi di intervento. Un dirigente di scuola elementare non è la stessa cosa di un dirigente che è stato preside di scuola media. Sono diversi gli ambiti, sono diverse le funzioni, sono diversi i problemi di natura didattica.

Non meno importanti gli aspetti legati alla costruzione del corpo della direzione scolastica.

I ruoli sono stati regionalizzati e i dirigenti reclutati sulla base di concorsi locali. Il sistema non ha funzionato. Forti sono le disparità tra Nord e Sud.

In particolare, i vincoli quantitativi imposti per legge ai concorsi e sabotati dallo stesso legislatore che in pochi anni ha disfatto la sua stessa opera, hanno generato forti disparità sia tra i concorrenti che tra le diverse aree del paese dove si tenevano i concorsi. Aspiranti dirigenti con tutti i requisiti previsti dalla legge si sono visti superati nelle graduatorie da colleghi ammessi con riserva e che, una volta sanate le loro posizioni dal Parlamento, sono entrati nei corsi di formazione e in alcuni casi in posizione di vantaggio.

Lo scioglimento positivo della riserva da parte della politica ha soprattutto vanificato l’opera delle direzioni scolastiche meridionali e della Campania in particolare, dove più alto in assoluto era il numero degli aspiranti, inizialmente tenuti fuori dai corsi per dirigenti scolastici. La sanatoria ha fatto saltare tutti i vincoli quantitativi con il risultato di una proliferazione incontrollata degli idonei al Sud. Di qui il moltiplicarsi delle domande di incarico fuori regione e in prevalenza nell’ Italia settentrionale dove le graduatorie si sono presto esaurite.

Le conseguenze di tutto questo sono facili da immaginare e così i conflitti, che puntualmente si sono presentati. C’è un problema di giustizia, per i singoli, e di continuità dell’ ufficio, visto che i titolari fuori regione finiscono molto presto per chiedere l’avvicinamento a casa. Né va taciuta la possibilità riconosciuta agli idonei in un determinato settore formativo, una volta esauriti i posti nella regione di appartenenza, di chiedere la nomina in un settore diverso: c’è, in questa distorsione burocratica che è un ulteriore cedimento dell’ amministrazione centrale alle spinte sindacali e corporative della periferia, la sanzione dell’ irrilevanza di quella specificità didattica cui facevo riferimento prima.

La scuola ha bisogno di uno stile dirigenziale differente. Bisogna innanzitutto costruire un corpo nazionale dei dirigenti scolastici, reclutati sulla base di un concorso pubblico, con una commissione unica e con una graduatoria nazionale, stabilendo un vincolo di permanenza per i vincitori fuori regione.

I dirigenti scolastici devono essere concepiti come funzionari dello Stato, garanti dell’unità del sistema scolastico nazionale, custodi delle sue ragioni ideali. Il reclutamento su basi regionali li espone di fatto alla rete dei poteri politici e sindacali locali. Li indebolisce di fronte ad un soggetto che l’autonomia rende un interlocutore obbligato. Per questo di fronte agli enti locali e alle reti periferiche degli interessi deve ergersi un funzionario autorevole, la cui autonomia reale può essere solo garantita dal servizio per lo Stato.

La scuola ha oggi bisogno di una funzione moderna e dinamica di direzione. L’ idea che la deve animare, tuttavia, appartiene ai presupposti stessi della nostra esistenza come comunità politica moderna: la scuola è il luogo dell’ incessante costruzione culturale della nazione.

da www.italiafutura.it

 


 







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