Intervista all’on.Garavaglia, Ministro “ombra” dell’Istruzione del PD
Data: Venerdì, 14 maggio 2010 ore 13:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Onorevole Garavaglia, dalla 7^
Commissione permanente del Senato (Istruzione, Ricerca, Università,
Cultura, Sport) come appare l’attività riformatrice del Ministro
Gelmini ?
Appare molto meno frenetica di quanto siano le dichiarazioni che ne
hanno accompagnato la nomina. Il Ministro s’è distinto per i tanti
annunci: il grembiulino, il voto in condotta. Di fatto la riforma ha
cancellato nel triennio 85.000 insegnanti e 44.000 amministrativi, ha
tagliato 8 miliardi di finanziamento alla scuola e un miliardo e mezzo
all’università. Ricordo una sua intervista in un avvilente “Porta a
porta”: Ministro, è vero che lei licenzia 25.000 insegnanti? Risposta:
No, noi non licenziamo nessuno. I cittadini devono sapere che
quest’anno ci sono 25.000 docenti in meno nelle nostre scuole.
Sia cortese ci commenti due proposte
come le “scuole col bollino” o l’albo regionale degli insegnanti
La scuola col bollino è l’ennesimo spot pubblicitario di questo governo
perché i bollini può prenderli l’Italia intera se è capace di
confrontarsi coi Paesi di pari qualità e civismo, in Europa e fuori. Se
noi preparassimo meglio i docenti non solo con la laurea ma con
tirocini mirati ai metodi didattici eviteremmo di far salire in
cattedra chi non sa insegnare e non dovremmo distribuire bollini di
qualità. Per gli albi regionali nulla osta se non ci fosse dietro una
scelta che se è ideologica bisogna avere il coraggio di dichiararlo.
Comunque se il problema è garantire una continuità didattica siamo
d’accordo, non è concepibile che un insegnante pensi di poter fare
questo mestiere solo dietro casa. Come accade per altri statali
l’incarico si ricopre per almeno cinque anni nella sede di
destinazione.
Fra i soggetti della scuola molti
studenti, docenti e dirigenti non considerano strategiche tali
trasformazioni lamentano invece una mancanza di risorse per i tagli
economici operati che incidono a fondo sulla didattica
Il Ministro insiste nel dire che i fondi non creano qualità e che si
può fare una riforma che migliora la qualità, un’affermazione finora
non suffragata da prove. Prendiamo la questione della lingua straniera
alle primarie. Se essa viene proposta dal maestro unico che ha fatto un
corso di 150 ore invece che da una professoressa di lingue mi chiedo se
abbiamo fatto il possibile per insegnare nel miglior modo le lingue.
Altro esempio: alle superiori viene abolita l’ora di geografia mentre
il mondo diventa sempre più luogo geopolitico. Come si può tralasciare
l’informazione su Stati sempre più presenti nelle vicende
internazionali, su nazioni e capitali che cambiano nome e la cui
economia è legata alla nostra ? Più scandagliamo la riforma più ci
accorgiamo che non è solo un problema di tagli, scopriamo il preciso
disegno di declassare la scuola pubblica a scuola residuale. Lì i
genitori devono pagare per avere la carta igienica, i sussidi
didattici, gli strumenti minimi che finora lo Stato garantiva. Un vero
attacco ideologico, altro che bollino.
L’ultima Finanziaria ha dirottato 130
milioni di euro sulle scuole private mentre i 300 milioni di euro
destinati agli istituti statali verranno utilizzati esclusivamente per
la messa in sicurezza degli edifici. Di questo passo la scuola pubblica
rischia l’affossamento funzionale ?
Dopo il terremoto aquilano il Ministro aveva colto l’allarme e ciò
aveva fatto aggiungere alla Finanziaria una quota mirata alla messa in
sicurezza degli edifici scolastici. Secondo dati forniti dal
sottosegretario Bertolaso la cifra necessaria ammontava a 7 miliardi di
euro, sono stati stanziati non più di 300 milioni, facendo una facile
divisione capiamo quanti euro andranno a ogni istituto. La scuola
pubblica è sotto schiaffo della Finanziaria Tremonti-Gelmini, la
definisco così perché solitamente il responsabile di ogni dicastero
lotta col Ministro dell’Economia per strappare qualcosa in più invece
la Gelmini l’ha accettata a occhi chiusi. La Finanziaria ha solo tolto
alla scuola italiana, gli stessi 130 milioni che lei cita per gli
istituti privati sono stati annunciati e non elargiti.
Il Ministro invita a premiare la
meritocrazia dei professori, una garanzia verso la qualità
dell’istruzione che da troppo tempo manca. Lei che ne pensa ?
Su questo punto come opposizione abbiamo espresso un parere del tutto
favorevole. Il Ministero avrebbe anche dovuto cominciare a stabilire la
meritocrazia dando da quest’anno qualche soldo in busta paga in più.
Con quali criteri ? attraverso classifiche valutative. Però l’Invalsi,
l’agenzia preposta, non è stata messa in condizione di funzionare. Il
Ministero ha distribuito il 7% di finanziamento ordinario alle
università cosiddette virtuose usando il criterio del Civr di tre anni
fa, ma in questi ultimi tre anni gli atenei beneficiati potrebbero non
essere più così virtuosi. Quando l’Invalsi per la scuola e l’Anvur per
università e ricerca potranno elaboreranno le graduatorie allora si
potrà giudicare il governo dai fatti, di cui sempre si vanta, piuttosto
che dalle sue parole.
La riforma universitaria di cui
s’occuperà il Parlamento punta a un riassetto facendo i conti in tasca
ai rettori e magari accorpando le sedi, un utile moto di
razionalizzazione o no ?
Ci sono troppi corsi di laurea fatti per offrire cattedre e troppe sedi
distaccate create a misura di territorio che fanno solo lievitare le
spese, razionalizzare il tutto ci trova d’accordo. Se però guardiamo la
riforma basata su 171 norme e una decina di deleghe troviamo spesso la
fastidiosa ripetizione del concetto “senza oneri aggiuntivi a carico
della finanza pubblica”. Non solo il Ministro preposto ma quello
dell’Economia mettono mano a una serie di criteri che influenzano la
cosiddetta governance. Un’università libera non risponde a scopi
mercantili e territoriali come il modello proposto. La riforma mostra
un volto centralista che non garantisce quell’autonomia sancita dalla
Costituzione.
Ma valutazioni e verifiche
sull’effettivo impegno nella docenza dovrebbero essere segnali di
serietà, come pure l’attribuzione delle cattedre in base a procedure
pubbliche di selezione
Lo sosteniamo anche noi: il controllo sull’assegnazione delle cattedre
deve risultare limpido e andare a un’agenzia terza. Come opposizione
riteniamo che il reclutamento dev’essere basato su un’abilitazione
nazionale, occorre creare un elenco di docenti e in base a quello
ciascuna università chiama chi vuole. Bisogna anche uscire dalla logica
che vede i professori ancorati a un unico ateneo da dove iniziano la
carriera fino al conseguimento della cattedra, è auspicabile la
circolazione degli insegnanti e una quota di docenze potrebbe essere
messa in relazione ai risultati conseguiti, allora sì che l’università
diverrebbe dinamica controllandosi da sé.
Lamenti vengono dal settore della
ricerca dove c’è chi teme il previsto “tempo determinato” di tre anni
più tre che, sempre per questione di fondi, mette a rischio la
continuità dell’incarico
Ai ricercatori viene offerto precariato cronico. Dopo sei anni di
contratto potranno accedere a un concorso per la cattedra, ma se non ce
ne saranno a disposizione rimarranno precari. Chiediamo che il governo
realizzi una norma transitoria e una stabilizzazione dei ricercatori
che vogliono restare nell’università previa abilitazione.
Dalle elementari all’università
l’Italia punta davvero sull’istruzione e reggerà il confronto con la
prevista migrazione dei cervelli che vengono da Oriente ?
Il problema non è solo nostro, è quantomeno europeo. Eppure dove le
condizioni ci sono i nostri cervelli sanno competere benissimo con
indiani, pakistani e quant’altro. Come opposizione crediamo che con
queste riforme, coi tagli alla ricerca l’Italia non stia rispondendo
più nemmeno a quanto previsto dal Trattato di Lisbona: costruire la
società della conoscenza più competitiva al mondo.
Enrico Campofreda, 13 maggio 2010
Publié le 13 mai, 2010 à 9:52 par admin
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