Insegnare a scuola:una vocazione
Data: Domenica, 09 maggio 2010 ore 10:35:29 CEST Argomento: Redazione
La maggiornaza dei professori italiani
sembra essere soddisfatta del proprio lavoro nonostante lo stipendio
basso e i tanti problemi.
Eppure, dice una indagine, gli insegnanti italiani, sono felici. Poco
più di ottocento mila insegnanti, nonostante i loro stipendi siano tra
i più bassi della media europea, soffrano di burn-out, siano oggetto di
contumelie, passino per fannulloni, sessantottini, terroni alla
resa dei conti sceglierebbero in maggioranza di rifare la stessa
professione.
Pasquale Almirante
p.almirante@aetnanet.org
Eppure, dice una indagine, gli insegnanti italiani, sono felici. Poco
più di ottocento mila insegnanti, nonostante i loro stipendi siano tra
i più bassi della media europea, soffrano di burn-out, siano oggetto di
contumelie, passino per fannulloni, sessantottini, terroni alla
resa dei conti sceglierebbero in maggioranza di rifare la stessa
professione. Quasi il 90% sembra essere soddisfatto del proprio lavoro,
benché la scuola non solo non sia migliorata per nulla rispetto ad
alcuni decenni addietro, ma abbia addirittura scoperto di essere al
centro di un tiro al bersaglio senza precedenti. Anche i dirigenti sono
soddisfatti dei loro rapporti con gli alunni, lasciando in soffitta
tutte le dicerie su bulli, vandali, extra comunitari e così via.
Problemi reali senza dubbio, ma tutti risolvibili con un po’ di buona
volontà che poi è la stella polare di ogni bravo maestro. Più di 3
insegnanti su 4 hanno pure dichiarato di aver scelto il loro mestiere
per vocazione e non per motivi pratici legati allo stipendio sicuro,
come spesso si sente dire, sul tipo che la scuola non è un
ammortizzatore sociale, o per una certa facilità di accesso, che è
tutta da dimostrare. Sicuramente però è una professione tutta al
femminile con 8 donne su 10 professori nelle superiori di primo e
secondo grado, mentre alle elementari sono addirittura il 96% circa,
tant’è che la vecchia figura, cara a De Amici, del maestro si è
involata a favore della maestra tutta cuore e affetto. Ma i professori
cercano pure di aggiornarsi da soli, vista la latitanza del ministero,
benché ci sarebbe ancora uno zoccolo duro, piccolo, che non legge a
sufficienza, né è disposto a comprare libri. La gran parte ha la
regolare connessione a internet e moltissimi hanno pure riscoperto di
mantenere alto il loro ruolo sociale di professionisti della cultura.
Tuttavia l’aspetto più importante della intera indagine sta nel fatto
che quasi tutti vorrebbero essere giudicati per il lavoro che svolgono
e premiati con incentivi, visto fra l’altro che ormai c’è la lodevole
tendenza a superare abbondantemente l’orario scolastico imposto. I
docenti dunque rimangono a scuola coi ragazzi anche al di là
delle loro diciotto ore alla settimana e benché non pagati indugiano
nelle classi per aiutare, indirizzare, consigliare i loro alunni. Uno
spaccato dunque che fa onore a questa classe vituperata soprattutto
dalle alte gerarchie del ministero e spesso pure dalla ministra che
quasi mai è tenera con essa, certamente per infliggere meglio i suoi
colpi per tagliare fondi. Poco infatti ci si è occupati di
ristrutturare gli edifici, mentre avere a disposizione del materiale
didattico è una impresa titanica e la funzionalità complessiva della
scuola è di assoluta carenza: genitori invitati a tassarsi per
tinteggiare le mura, per pagare i corsi di recupero, per la
cancelleria, per le pulizie ecc. ecc. Ma ciò di cui in effetti si
incomincia a prendere sempre più coscienza è la mancata distinzione tra
i docenti; il fatto cioè che non si cerchi di differenziare la mole di
lavoro di ciascuno in rapporto alla materia insegnata. L’abbiamo detto
altre volte, ma il lavoro, per esempio, che fanno le maestre in classe
è così delicato, così impegnativo che appare poco opportuno lo scarto
stipendiale coi loro colleghi delle superiori, anche in rapporto alla
responsabilità. Inoltre poco ci si cura dei professori che insegnano
due discipline contemporaneamente: italiano, latino e storia; latino e
greco, diritto ed economia il cui appannaggio è lo stesso del
docente con una sola materia e per giunta solo orale. Preparare e
correggere i compiti non è lavoro da poco. Inoltre anche in fase di
giudizio finale la responsabilità è maggiore di chi con delle semplici
interrogazioni riesce a far quadrare il cerchio. Un riconoscimento
pensiamo sia doveroso e nonostante si dica che la funzione docente sia
uguale, il compito scritto può diventare pure un documento pubblico su
cui un eventuale ricorso al Tar può intrufolarsi. Riconoscere il merito
anche sul titolo di laura non sarebbe peregrino, perché un insegnante
di lingue straniere, se vuole essere all’altezza del suo compito,
annualmente deve recarsi fuori, a parte il fatto che il titolo
accademico è stato conquistato anche con permanenze all’estero di mesi
o anche di anni. Ecco parte del merito che si può riconoscere. Diverso
è il progetto di cui in questi giorni sta parlando la ministra Gelmini:
un pool di esperti ministeriali che valuti la loro bravura ma che
sarebbe riconosciuta però a solo circa 1/3 di quegli 800 mila. Non si è
capito se è una riedizione del vecchio concorsone di Belinguer o
qualche altra diavoleria. Sta di fatto che anche queste dichiarazioni
mettono in costernazione i professori che in vero stanno subendo
tanti di colpi e tutti immeritati. La speranza tuttavia è che si
operi bene in loro favore, anche perché hanno perso buona parte di
quello spirito di appartenenza che un tempo li teneva più uniti e
determinati, e non solo nella comune condizione di commessi dalla
cultura borghese, ma anche in quella più semplice della unità sindacale.
PASQUALE
ALMIRANTE
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