Aprea: 5 mosse per mandare in soffitta la vecchia scuola
Data: Giovedì, 29 aprile 2010 ore 15:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Dopo un primo bilancio della strategia di
Lisbona, l’Unione europea guarda già ai prossimi 10 anni. In
particolare, tra le priorità di Europa 2020, troviamo quella di una
crescita intelligente basata, cioè, su un’economia della conoscenza e
dell’innovazione. (da Il Sussidiario)
L’Europa deve, infatti, affrontare un paesaggio geopolitico diverso da
quello previsto nel 2000, con il protagonismo delle economie asiatiche
e di altre potenze emergenti.
In questo senso, sono eloquenti i dati dello studio Il mondo 2025,
presentato dalla Commissione europea lo scorso settembre.
Lo studio mostra che, a quel tempo, il 61% della popolazione mondiale
sarà in Asia e nell’Unione europea solo il 6,5%, con la più alta
percentuale sopra i 65 anni. Inoltre
la triade Unione europea, Stati Uniti e Giappone perderà il suo primato
nel commercio e nella produzione mondiale.
Nel dibattito sulle competenze, favorito dall’Associazione Treelle l’8
aprile scorso, ho avuto modo di apprezzare la descrizione delle azioni
degli altri Paesi per raggiungere il pieno successo educativo nel XXI
secolo.
Dopo un primo bilancio della strategia di Lisbona, l’Unione europea
guarda già ai prossimi 10 anni. In particolare, tra le priorità di
Europa 2020, troviamo quella di una crescita intelligente basata, cioè,
su un’economia della conoscenza e dell’innovazione.
La chiave di volta per camminare lungo questa direttrice, ripresa
recentemente dal nostro Governo per la redazione delle Linee guida per
la formazione, è l’integrazione tra il sistema educativo di istruzione
e formazione e il mercato del lavoro. Un’integrazione che si realizza
gradualmente basandosi proprio sul concetto di “competenze personali”,
promosse da percorsi educativi nei quali si integrino in maniera
ordinaria e sistematica teoria e pratica, studio e lavoro, riflessione
e azione.
Ora nell’affrontare il rischio di marginalizzazione della nostra
economia e della nostra società a livello mondiale, questa è una
necessità improrogabile, che impone la rotta da tenere: attenzione
privilegiata al mondo del lavoro e apprendimento per competenze
personali.
L’Europa deve, infatti, affrontare un paesaggio geopolitico diverso da
quello previsto nel 2000, con il protagonismo delle economie asiatiche
e di altre potenze emergenti.
In questo senso, sono eloquenti i dati dello studio Il mondo 2025,
presentato dalla Commissione europea lo scorso settembre.
Lo studio mostra che, a quel tempo, il 61% della popolazione mondiale
sarà in Asia e nell’Unione europea solo il 6,5%, con la più alta
percentuale sopra i 65 anni. Inoltre la triade Unione europea, Stati
Uniti e Giappone perderà il suo primato nel commercio e nella
produzione mondiale. Così pure, la scienza sarà prodotta in massima
parte al di fuori dei paesi prima considerati leader, molti dei quali
europei.
Dunque, l’Europa sarà più debole, a meno che non reagisca in maniera
unitaria e qualitativamente superiore alle sfide che si impongono. In
particolare a quella della libera circolazione della conoscenza e del
talento: la cosiddetta “quinta libertà”, dopo la libera circolazione di
beni, servizi, persone e capitali. Per questo bisogna puntare sulla
promozione delle “competenze personali” di ognuno, senza perdere il
contributo di innovazione e di possibile creatività che può essere
assicurato da ogni giovane.
La letteratura sull’argomento individua competenze di diversi gradi: le
competenze-comportamenti (in definitiva avvicinabili alle prestazioni),
le competenze-funzioni (capaci di far giungere ad un maggior livello di
complessità) e le più apprezzate competenze generative o di transizione
(orientate alla creatività e all’innovazione). Tutte però si
manifestano risolvendo problemi reali, non in astratto. L’intreccio tra
scuola e vita deve essere costante.
E la nostra scuola dove si colloca?Possiamo dire che finora si è per lo
più collocata sulla competenza di primo grado e che potrebbe trovarsi
in un prossimo futuro ad aver raggiunto le competenze di secondo grado,
soprattutto con l’implementazione della riforma dei piani di studio da
qui fino al 2015, anno in cui si diplomeranno i primi studenti dei
nuovi ordinamenti dell’istruzione secondaria superiore.
Dunque, di passi in avanti ne sono stati fatti tanti. Quello più
significativo resta senz’altro il recupero delle conoscenze
fondamentali per riacquistare i livelli di apprendimento
progressivamente perduti dal ’68 in avanti.
La nostra scuola non sembra ancora pronta, però, a misurarsi con il
nucleo più profondo della competenza di terzo grado. Si tratta di una
sfida metodologica e didattica che si può vincere. Per farlo occorre
affrontare con successo alcune incognite, in rottura coraggiosa con il
passato.
1. La prima incognita è l’esistenza, ormai, di un doppio
repertorio di competenze utili: quelle apprese a scuola e quelle
apprese dalla “strada”. Anche i più bravi non riescono a “mobilitare”
le loro conoscenze scolastiche per risolvere problemi quotidiani. Il
pericolo è trasmettere a scuola un sapere “morto”,senza senso per la
“vita”, pur continuando a imporre ai giovani di investire 13 anni in
frequenza scolastica (un anno in più dei Paesi Ocse).
2. La seconda incognita è il divario generazionale. L’approccio dei
“nativi digitali” è più reticolare che lineare. Le loro riflessioni si
sviluppano spesso in collisione con quelle della formazione
tradizionale, ancora incapace di transitare dall’insegnamento alla
centralità dello studente (in questo, l’approccio per competenze
personali aiuterebbe non poco). Dello studio, i giovani afferrano
sempre meno il fine e la scuola fa fatica a coinvolgerli in progetti,
personali o condivisi, di lungo termine.
Viceversa, la scuola dovrebbe aprire la mente ai metodi di soluzione
dei problemi. Così facendo, si dovrebbe affievolire l’importanza delle
aree tradizionali di apprendimentoper lasciare spazio all’esercizio di
abilità interdisciplinari che arricchiscano le capacità comunicative
della persona, facilitate dall’uso di blog, podcast, wikipedia e
twitter, come avviene nei nuovi curricula delle scuole elementari
inglesi. A scuola, come nella vita quotidiana, vanno utilizzate le
straordinarie potenzialità di Internet in tutte le sue forme, anche
perché quasi non ci ricordiamo più com’era il mondo “prima di Google”.
3. Terza incognita: la morfologia delle competenze. La misurazione
delle conoscenze e delle abilità è oggettiva. Tale oggettività di
misura non può tuttavia valere per le competenze personali, quelle più
pregiate, che portano all’innovazione: la competenza di Picasso non si
confronta con quella di Michelangelo in una scala commensurabile.
Peraltro, la strada delle competenze personali è contagiosa: esige che
l’intera comunità scolastica e sociale si faccia carico dell’eccellenza
e dell’esemplarità perché, viceversa, non potrà mai esigere queste
qualità dagli studenti. Da questo punto di vista la strada delle
competenze personali è anche quella che aiuta a risolvere l’emergenza
educativa di cui tanto e a ragione si parla.
4. Quarta incognita: professionalità dei docenti. Chi opererà i
mutamenti che il cambio di paradigma delle competenze comporta?
Qualsiasi riforma può infrangersi sullo scoglio dell’intermittenza
dell’insegnamento, quando per i motivi più vari ogni anno un docente su
quattro non assicura continuità alla stessa scuola. E ancora, chi
opererà questo mutamento epocale, soprattutto se ad insegnare è una
classe docente “anziana” (l’età media dei docenti italiani supera i 50
anni, 40 anni per i neoassunti) priva di stimoli istituzionali per
crescere e per migliorarsi, acquisendo competenze personali sempre più
alte e riconosciute?
Affinché gli insegnanti sappiano svolgere il nuovo e complesso compito,
occorre formare una nuova generazione di docenti, anche attrezzata a
colmare il suo divario digitale. Una soluzione potrà essere certamente
l’attivazione del Regolamento ministeriale sulla Formazione
all’insegnamento. Inoltre, solo in Italia, Grecia e Danimarca
l’aggiornamento dei docenti è opzionale, svincolato da qualsiasi
progressione di carriera.
La leva su cui puntare, allora, è la professionalità dei docenti. Il
lavoro dei docenti (valutato, ricondotto al merito, sostenuto e
premiato) dovrà prevedere strategie di insegnamento diversificate,
attrattive e orientate verso il successo di ognuno.
5. Quinta incognita:il salto dalle competenze attuali (da non
abbandonare, in una logica comprensiva) a quelle del futuro, richiede
anche una valorizzazione delle comunità educanti espresse dalla società
civile e una diversa organizzazione della scuola non più
autoreferenziale e maggiormente responsabile. Una scuola che avvii il
reclutamento di rete degli insegnanti, formati e valutati in itinere e
uno sviluppo della carriera docente che tenga conto del merito.
Insomma, se le cose stanno così, insieme alla riforma dei contenuti di
insegnamento-apprendimento, servono strategie e politiche per
trasformare le incognite in strumenti di innovazione e rendere la
scuola capace di anticipare il domani e non solo di insegnare l’oggi,
con lo sguardo al passato. “Il mondo cambia troppo velocemente per
stargli dietro, quindi dobbiamo stargli avanti!”. Così una fulminante
pubblicità.
|
|