Dove va la lingua italiana? Non solo i linguisti ma anche i docenti se lo chiedono.
Data: Giovedì, 22 aprile 2010 ore 03:00:00 CEST
Argomento: Istituzioni Scolastiche


Dove va la lingua italiana? Non solo i linguisti ma anche i docenti se lo chiedono.

Ci si chiede da tempo dove va la nostra lingua . Non solo i linguisti ma anche noi insegnanti ce lo chiediamo quando correggiamo i compiti dei nostri allievi. Nei loro scritti pare essere stata dimenticata la ricchezza lessicale dell’italiano per optare senza esitazioni a favore di un vocabolario omogeneizzato – per dirla con Pasolini – spesso oscuro e banale. Nonostante nell’ultimo Garzanti siano state registrate più di 3000 voci, paradossalmente il lessico si è impoverito e appiattito.
Ma la cosa più inquietante -dal punto di vista che ci riguarda-  è  il dover constatare che gli studenti,  e non solo loro, trovino sempre più difficoltà ad  organizzare un discorso scritto che abbia i requisiti di un testo cioè di un insieme di segni che acquistano valore, all’interno della struttura linguistica , dal rapporto logico-grammaticale che si instaura fra essi. Spesso ci troviamo di fronte a  elaborati che appaiono non tanto poveri di contenuti quanto piuttosto con contenuti disorganici e malconnessi.                                                                
Si può imparare a scrivere? Esiste una formula che possa offrirci la chiave per entrare nei segreti della scrittura? Di solito formule non se ne danno. Suggerimenti sì, moltissimi. E noi non staremo a snocciolarli. Nella teoria le modalità da seguire nella stesura  di un testo sono note a tutti.
 Per scrivere un testo bisogna: 1) CONOSCERE BENE L’ARGOMENTO; 2) PREPARARE LA SCALETTA; 3) INTENDERE E COGLIERE LA SITUAZIONE NUCLEO SOSTANZIALE O CENTRALE DELL’ARGOMENTO; 4) PROCEDERE CON ORDINE (fare uso corretto della punteggiatura delle concordanze della consecutio temporum  ecc.); 5) ESSERE CHIARI EFFICACI CONCISI  SEMPLICI CONCRETI; 6) APPLICARE UNA FORMA CORRETTA E APPROPRIATA ; 7) RENDERE DUTTILE E ARIOSO IL PERIODARE, ALTERNANDO  IN RAPPORTO CON LE ESIGENZE COMUNICATIVE O ESPRESSIVE LA COORDINAZIONE CON LA SUBORDINAZIONE.
Sono tutte raccomandazioni preziose e di buon senso, presenti in tutte le grammatiche di ieri e di oggi. Senonchè, all’atto pratico della scrittura, quando bisogna mettere nero su bianco, tutte queste raccomandazioni sembrano cadere nel  vuoto. I risultati degli scritti dei nostri studenti, che ci troviamo sotto gli occhi, sono spesso deludenti.

Evidentemente l’arte dello scrivere è  “arte difficilissima da acquistare”. I suggerimenti non bastano.Le conoscenze grammaticali sono necessarie, ma non sufficienti. Non sono sufficienti perché
per apprendere l’arte della scrittura bisogna passare dalla grammatica della frase alla grammatica del testo. E per capire  la grammatica del testo bisogna in primo luogo saper leggere.
Ecco il primo punto.
Prima di insegnargli a scrivere è  più utile che l’alunno impari a leggere, a saper leggere.
 In tal senso, suggerirei il contrario di quanto suggerisce quel professore ai suoi ragazzi di scuola media di cui parla il prof. Barletta in un suo articolo pubblicato sulla “SICILIA” del 22 ottobre 2002: e cioè suggerirei non tanto  a un ragazzo“ scribe et rescribe et scribendo meliora scibes”, quanto piuttosto “ lege, lege, et legendo ad scribendum parabis “.
Già Seneca  lo raccomandava: lectio diligens ad scribendum  parat ! Naturalmente non “ cuiuslibet libri lectio alit mentem “ ma quella dei buoni libri, della buona letteratura. E ciò non solo perché solo la lettura dei classici può rappresentare oggi più che mai, di fronte alla dilagante  società dello spettacolo  fondata sul predominio delle immagini, “ l’unica scelta di civiltà che  ci  può aiutare a capire meglio noi e gli altri, a credere nei valori dell’uomo e a essere utili alla società in cui viviamo” ma anche e soprattutto perché  è la Letteratura, oggi, “ l’unica terra promessa - come scrive I. Calvino- in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere: ordine, precisione, nitidezza di immagini, incisività, resa delle  sfumature del pensiero e della immaginazione. Sono questi i valori da difendere  - scrive Calvino nella terza delle sue sei lezioni americane - I valori della Letteratura che risponde, ovviamente, a queste esigenze”. Valori che possono salvarci da una “ epidemia pestilenziale” che pare abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, salvarci da questa peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze. Solo la Letteratura può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.(Calvino)

Dunque, la Letteratura  come studio del linguaggio, ma anche come lettura dei testi finalizzata a soddisfare il piacere della scrittura. Il piacere di acquisire attraverso la letteratura  un ordine del linguaggio che dia ordine al nostro pensiero. Questo il tema.
Per molti lustri lo studio della Letteratura  si è affidato al metodo di uno   storicismo moralistico trasmesso da generazioni di professori per i quali il senso di un’opera letteraria consisteva senz’altro nei famosi contenuti, nella “sostanza dei contenuti” che lo studente poteva e doveva, rimasticandoli, memorizzare e ripetere, attingendo dai manuali e dalle critiche, dalle prefazioni, dalle recensioni e postfazioni varie  tutto quello che era possibile attingere riguardo al contenuto del testo,riguardo a ciò che era stato detto   da altri sulla sostanza del contenuto del testo, sul significato sostanziale e sul valore del suo messaggio.
La lettura diretta del testo poteva essere ignorata, ignorata la forma del contenuto e del significante (il lessico, le strutture sintattiche e logico-argomentative, ecc.), ridotta a puro involucro, trascurabile elemento  decorativo. In sostanza, per anni, in passato, lo studio della letteratura si è praticato a spese di una  “lettura in contumacia”, in cui il testo non esisteva  se non come oggetto visto dall’esterno, da utilizzare solo in relazione ad elementi biografici dello scrittore o da citare a conferma di certe scelte tematiche dell’autore stesso messe a confronto per somiglianza o per differenza con quelle di altri scrittori.
Tutto questo non poteva certo servire a livello di scrittura né tanto meno si prestava ad offrire allo studente strumenti e metodologie che lo guidassero  a farsi un proprio giudizio motivato del testo, a sviluppare il gusto per la scoperta personale che ne maturasse la sensibilità estetica e le capacità espressive.           
Ora, se è vero che l’obiettivo complessivo dell’insegnamento dell’italiano va identificato nella comprensione e analisi dei testi, che consentano di acquisire  una conoscenza sempre più organica  e approfondita della civiltà nostra e della nostra  cultura  e che in questa prospettiva le conoscenze linguistiche vanno fortemente strumentalizzate alla lettura dei testi, è anche vero che la lettura  deve essere una lettura “diligens”  consapevole , cioè atto mentale di cooperazione critica fondamentale per promuovere nel lettore quel processo ermeneutico ( ed euristico) senza il quale leggere un testo è fatica inutile. E nel nostro caso lettura consapevole  significa lettura finalizzata alla individuazione della architettura logica e comunicativa del testo, inteso – ripeto - come insieme di segni che stanno in rapporto fra loro, significa individuazione di un ordine degli scopi  ovvero delle proposizioni che è dato e garantito dai connettivi dalle congiunzioni coordinanti e subordinanti. Sono questi segni funzionali i fattori di coesione testuale e anche quelli che aiutano a capire certe sfumature del pensiero. Sono questi  segni che orientano il ragionamento del discorso, che guidano l’articolazione del traffico delle parole che segnano le fermate e i passaggi. Faccio subito un es. a proposito di sfumature del pensiero. Si consideri  l’uso della “e congiunzione coordinante con funzione esplicativa e con funzione aggiuntiva  in questi versi di Dante  . Dante, Inferno,c. VI v. 73:
“giusti son due, e non vi sono intesi” ; “ Io mi volsi a man destra, e puosi mente / all’altro polo, e vidi quattro stelle /…” . Purgatorio, c.I, vv.22-24.  Nel verso prima citato dell’Inferno la “e” ha funzione esplicativa : come dire : i giusti sono pochi e in conseguenza di ciò, purtroppo non sono ascoltati, nessuno li segue . Aggiungendo il secondo fatto “e non vi sono intesi”, Dante ha spiegato che c’è un rapporto di causa –effetto col primo : la giustizia è amata da pochi e a causa di ciò non è seguita. Nei versi del  Purgatorio  la “e”  ha funzione aggiuntiva. Dante fa due cose, l’una dopo l’altra : dopo che si volta, pone mente all’altro polo e vede quattro stelle. In quanto coordinante con funzione aggiuntiva non può  stare a inizio di un enunciato, a differenza di una “e” con funzione esplicativa : “ E sparve, e i di’ nell’ozio/ chiuse in sì breve sponda, /…; come se  Manzoni  dicesse con quella  “e” : e nonostante tutto , quell’uomo che sembrava immortale , morì come tutti i mortali . Questa “e” iniziale non solo aggiunge un’altra notizia alle precedenti, ma vuole esprimere un giudizio, spiegare che c’è un rapporto tra ciò che è stato detto in precedenza. E ancora : “ Quest’ultima preghiera signor caro/ non si fa per noi…/ ma per color che dietro a noi restaro”. (                 ) Con il “ma”  coordinante avversativa con funzione esclusiva. Diversa dal “ma” o dal “però”
 coordinanti avversative con funzione modificante.  “Trasumanar significar per verba / non si poria; però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba “ ( Paradiso,c. I,vv.70-72) . Dove troviamo un “ però”  avversativo con funzione modificante. E gli esempi potrebbero continuare con tanti  “ma “ e  “ però “ “quindi”, “infatti” “dunque e “perciò” illustri e significativi nei testi dei nostri classici e invece  fuori posto e inconcludenti  spesso   negli scritti dei nostri giovani  dove ballano all’impazzata senza sapere cosa ci stanno a fare. Perché tanto  uso sconsiderato  delle  congiunzioni?    Perché non basta leggere . Bisogna leggere bene per capire l’architettura del testo.Perché non basta –dicevamo- la grammatica della frase bisogna conoscere la grammatica del testo, perché è dentro un brano di testo che si può capire come funziona effettivamente una congiunzione.
Abituare attraverso la lettura l’alunno a sapere riconoscere il valore funzionale che lo scrittore assegna ai vari connettivi ai  fini -ripeto- dell’ordine degli scopi ovvero all’ordine delle proposizioni che giustificano l’ordine del piano del discorso, è già un primo passo per avviarlo alla conoscenza profonda dei meccanismi che presiedono alla scrittura di un testo, dei meccanismi che assicurano la coesione di un testo. Il piacere della lettura consapevole diventa piacere della scrittura consapevole. Una lettura che sappia cogliere il valore della funzione  dei connettivi è già una lettura propedeutica alla didattica della scrittura. Non è del tutto vero il detto latino res tene verba sequentur. In molti scritti dei nostri allievi- lo dicevo all’inizio- non mancano tanto i contenuti quanto piuttosto la coesione la coerenza l’unitarietà del discorso; la collocazione spesso sbagliata entro l’architettura testuale dei connettivi rende incoerenti i loro testi . Quante volte non abbiamo sentito i nostri giovani iniziare i loro discorsi con un sonoro e perentorio “dunque” ignorando il carattere argomentativo di questo connettivo  che è parte della dimostrazione della fondatezza di quanto affermato in precedenza. O con “perciò” che esprime una consecuzione vale a dire la rappresentazione di una relazione di causa a conseguenza : e non può dunque stare senza aver nulla alle spalle senza avere dei precedenti discorsi come invece ce l’ha il “ però” del dantesco : “ Però ti son mostrate in queste rote  / pur l’anime che son di fama note (Paradiso,c. XVII, vv.135-138). Premesso che non vi è un’astratta capacità di scrivere, indipendente dalla materia a cui si applica, dalla situazione comunicativa in cui si esercita, dagli scopi che si propone, si può dire che si impara a scrivere entro uno specifico tipo di testo, riconoscendo i vincoli di libertà che quel tipo di testo impone alla architettura e alla verbalizzazione dei contenuti. Si impara a scrivere a partire dalla imitazione dell’architettura di un altro testo preso a modello ovverosia a partire  dalla riutilizzazione  dei suoi connettivi e – se del caso -di alcuni legamenti sintattici  presi a modello. L’imitazione dell’architettura testuale  - soprassedendo in questa sede  sulla discussione circa le diverse tipologie testuali      –utilizzabili  -è  esercizio  quanto mai stimolante e utile  per l’avviamento alla  scrittura di testi  dei nostri ragazzi
 perché  li costringe  a inventare un discorso , a svolgere un pensiero  la cui coerenza e coesione  è garantita dalla sua capacità di adattamento al movimento imposto dai connettivi. Ora in questa sede vorrei sottoporre alla vostra attenzione alcune  prove concrete , molto semplici ma significative,- a mio avviso - di scrittura di testi fatta sopra  altri testi ,realizzate dai ragazzi in classe con la mia collaborazione La prima prova di scrittura è modellata su un testo di tipo dimostrativo- argomentativo: si tratta di un “ricordo”(155) guicciardiniano . Dopo la lettura in classe del testo mirata ad evidenziare la trama dei connettivi che sorreggono l’argomentazione del discorso gli alunni sono stati invitati a produrre un nuovo testo  a partire dalla  sola imitazione dei connettivi individuati nel modello.  Fra poco vi leggerò il risultato. Per intanto vi posso assicurare che  l’obbligo di utilizzare determinati connettivi imposto all’alunno ha  aguzzato il suo ingegno che ha dovuto fare i conti tra reggente e dipendente e  seguire per ciò stesso un ordine degli scopi ovvero delle proposizioni fondamentale per giustificare l’ordine del piano del discorso;  i connettivi hanno funzionato come suggeritori di  un tipo di scrittura che si andava svolgendo svolta parallelamente al formarsi del pensiero dello scrivente, una scrittura quasi in cerca di se stessa e delle idee a un tempo. La procedura.   

 Leggiamo il ricordo  155 del  Guicciardini e vediamone l’architettura testuale .

“ Dicesi che chi non sa bene tutti e particulari non può giudicare  bene. E NONDIMENO io ho visto molte volte che chi  non ha il giudizio molto buono, giudica meglio se ha solo notizia della generalità  che quando gli sono mostri tutti e particulari: perchè in sul generale se gli rappresenterà spesso la buona risoluzione; ma come ode tutti e particolari, si confonde “.

Analizziamo il testo e facciamo  notare ai ragazzi l’importanza che in questo testo dimostrativo assumono i connettivi.
“Dicesi che”… chi…” Il testo inizia con un connettivo di tipo dichiarativo. L’alunno deve sapere che la dichiarativa presenta al lettore un fatto come scontato.  Guicciardini , aggiunge entro la stessa unità sintattica e semantica del periodo una espansione servendosi di una relativa : “dicesi che chi non sa ecc.ecc.”. Il secondo periodo si apre con un  “ E nondimeno”, ossia con un  “ma” che significa “eppure”, “tuttavia”, “però”.L’alunno deve sapere che si tratta di un connettivo con funzione modificante e che solo per questo può stare a inizio di frase .  Quel “nondimeno” ( che è il sed tamen latino che si intona all’andamento discorsivo e ragionativo del periodo) serve a introdurre dei fatti, delle considerazioni orientate diversamente   rispetto a una precedente valutazione . Serve a rilanciare un altro ordine di riflessioni.
Questo secondo periodo è abbastanza  complesso  ma si muove scorrevole e sicuro dentro la sorveglianza degli  argini possenti dei connettivi relativi comparativi e ipotetici fino a riposarsi con una pausa segnata da due punti.  Dopo i due punti il periodo riprende con un “perché” un connettivo che si presenta come una giustificazione, una prova di qualche cosa detta in precedenza. Il movimento del pensiero si concede un’altra pausa,segnata da un punto e virgola. Dopo il punto e virgola, il ragionamento,ormai avviato verso lo sbocco finale, riprende con un “ma” che richiama il “nondimeno” con cui iniziava il secondo periodo, riproducendosi la stessa situazione cui dà luogo l’avversativa con funzione modificante, incalzata da un altro connettivo di non facile individuazione funzionale ; “ come “, che equivale a un “quando” “appena che “ (temporale) ma con sfumatura ipotetica “ qualora”, “se” ,di eventualità: quando e nel caso in cui.
Si tratta,  dicevo,  di un testo argomentativo- dimostrativo , e la movenza consecutiva del testo argomentativo è tutta giocata  su una serie di connettivi come  “nondimeno” “quando” come” “perché” “se” “meglio… che” “ma” . Sulla base di queste indicazioni , il gioco dei connettivi può partire. Ho invitato i ragazzi a riscrivere un testo utilizzando solo i connettivi del testo preso a modello , un testo a tema libero ma a creatività sorvegliata. E’ venuto fuori ,fra tanti, questo che, anche per la sua brevità , vi leggo, scritto da una ragazza di primo liceo dal titolo : Se il prodigo può essere avaro : “ Si dice che chi è prodigo per natura non può mai essere o comportarsi da avaro. Tuttavia (nondimeno) io ho potuto constatare che spesso chi si trova in particolari situazioni di ristrettezza, aguzza l’ingegno per risparmiare e non sperpera se si accorge che così facendo può sopravvivere meglio che quando  scialacqua: perché in tal caso opera per il suo bene ; ma  se dovesse continuare ad essere avaro senza averne più motivo, allora va contro la propria natura”.   Siamo di fronte a un bel “ricordo”, non c’è che dire, a un testo coerente e coeso messo su  sopra piccoli ma robusti puntelli : i connettivi, che garantiscono la stabilità del testo.  I  connettivi di un classico.La  seconda prova di scrittura –diciamo creativa- ha preso avvio da una lirica di Leopardi. .Sentite come si è messo in moto  il pensiero e la immaginazione di un alunno di prima liceale guidato e stimolato ,per così dire, dal “ma”e dal “così” dell’Infinito leopardiano,due connettivi che costituiscono in fondo , l’architettura testuale di quell’idillio: due connettivi che messi a inizio di frase hanno sempre messo in imbarazzo i cruscanti della grammatica tradizionale. Ma quando si fa notare ai ragazzi che essi sono legamenti testuali , le cose cambiano  Il “ma” e il “così” sono connettivi che stanno a inizio di frase proprio per la loro funzione modificante ovvero per la loro natura di legamenti sostituenti : il “ma” che significa tuttavia e il “così” che vuol dire in conseguenza di ciò si richiamano a quanto detto prima. “ Sono un ragazzo tranquillo dal carattere sedentario a cui piacciono le cose semplici e concrete che danno sicurezza. La mia casa, qui, in periferia,lontano dai rumori della città, quegli alberi là, che cingono il  mio giardinetto e quasi mi proteggono da sguardi indiscreti.Ma sedendo talvolta sulla poltrona del mio salottino e chiudendo gli occhi, mi piace sognare cose lontane e impossibili, fingermi avventure e amori intriganti e misteriosi.Mi piace vagabondare in spazi infiniti. Così, anche se per  poco, mi astraggo dalla realtà di ogni giorno e per qualche attimo con la immaginazione  provo dentro di me un piacere indicibile e dolcissimo”.

Finora abbiamo presentato connettivi che funzionano a breve o media distanza: ossia che legano le parole all’interno dell’enunciato o gli enunciati vicini o di poco lontani. Ma il metodo resta naturalmente valido anche per  testi più complessi e più lunghi. Basterà allenare i ragazzi a letture più ampie , a cimentarsi con architetture più vaste di testi classici; solo da essi si potrà  apprendere come funzionano i legamenti sintattici che legano blocchi di testo.   Si potrà per imitazione  di connettivi e di legamenti sintattici che funzionano a grande distanza di un testo riscrivere un altro testo: coerente,unitario e coeso. Un ultimo esempio, per vedere che l’esercizio della imitatio funziona.  Questa volta a dare l’imput al pensiero e alla immaginazione dell’allievo è stata una lettera del Petrarca : L’ascesa a Monte Ventoso , imitata senz’altro nell’armonioso e scorrevole movimento dei suoi legamenti sintattici  di tempo di luogo di causa ed effetto,di numerazione di valutazione, se non anche nella tormentata  spiritualità che la lettera del  Petrarca  sottintende.

Lettera i un amico : resoconto di un viaggio.

Mio caro Andrea,
da quando ci siamo lasciati dopo  gli ultimi giorni di scuola,  ho sempre aspettato tue notizie
Ma poiché vedo che non arrivano, sarò più generoso di te, e ti scriverò io.
Questa estate ebbi finalmente l’impulso di realizzare ciò che mi ripromettevo da anni : una gita in Toscana.
Alla fine di Luglio, desideroso di svagarmi, mi sono recato in un piccolo paesino dell’Appennino  toscano, arrampicato a metà costa su monti, tra boschi di castagni e abeti.
Il luogo dove mi trovavo era molto pittoresco con quelle sue stradine in salita e le case tutte fiorite di gerani e garofani rossi, con la sua vecchia chiesa dal campanile svettante e quadrato, con il municipio ornato di stemmi.
E  giù, in fondo alla valle, tra grossi massi scorreva il fiume, rinserrato  fra  fianchi di monti folti di boschi. Oltre quei monti altri monti più alti, soffusi sempre di un colore violetto che al tramonto si accendeva.
Poiché, come ben sai, mi  piace moltissimo camminare, approfittai subito delle giornate serene e abbastanza fresche per fare delle belle passeggiate e per scalare le montagne, di cui serbo ancor vivo il ricordo.
Una mattina, poco dopo l’alzata del sole, mi misi in cammino e, sceso a valle, lasciai la strada nazionale per prendere una scorciatoia e iniziare la mia scalata alle montagne, deciso di puntare direttamente verso l’alto.
Mentre attraversavo la vallata alla ricerca di un sentiero più agevole, via via  che salivo cresceva il silenzio intorno, non incontravo nessuno, e mi sentivo circondato da un senso di solitudine che non aveva, però, nulla di pauroso, ma mi dava  quasi la sensazione di venire fuori dal mondo.
Cammina, cammina, cominciai a sentire la stanchezza e  perciò decisi di riposarmi un pò.
 Mentre mi rifocillavo, arrivò un vecchio della zona che mi consigliò di tornare indietro e di differire la fatica del salire perché stava per arrivare un  violento temporale.
 Il cielo, infatti, come spesso succede in montagna, si era improvvisamente guastato, e l’aria s’era fatta più fredda.
Per un attimo ebbi una esitazione, ma subito decisi di continuare la mia ascesa, tanto era il desiderio di potere ammirare  tutta la vallata dalla cima delle montagne.
Rinfrancatomi un po’, mi rimisi in cammino più in fretta, ancora lontano com’ero dalla meta.
 Una forte volontà mi dava l’energia per continuare. Finalmente, stanco e ansimante, ma felice, arrivai in cima a una montagna più alta di tutte; ci ero riuscito.
 Mi sedetti su un sasso e guardai le nuvole bianche e nere che si sfioccavano fondendosi con l’azzurro del cielo; davanti a me, in lontananza, si aprì un’ampia distesa di prati verdi, sui quali pascolavano qualche mucca e poche decine di pecore. Qua e là si scorgevano dei casolari bassi, anneriti dal fumo e dagli anni.
Ti posso assicurare che mentre ammiravo questo spettacolo meraviglioso, mi sono commosso.
 Non so quanto rimasi immobile in contemplazione, non riesco neanche a descrivere la meraviglia che il mio spirito ha provato. Una esperienza veramente irrepetibile.  Di fronte a tanta grandezza della natura, niente è forse più grande da ammirare, tranne l’anima. Sarebbe stato molto più bello se fossi venuto con me.Ma spero che non mancherà l’occasione per avventurarci insieme.

Arrivederci a presto.
     
Da Catania 26 aprile 1999                         Tuo Giovanni.


Il gioco dei connettivi funziona. Si  può scrivere  un testo con un altro testo solo che si sappia leggere con diligenza e capire che per costruire una casa,cioè un discorso, non bastano i mattoni,cioè le parole; ci vuole la calce o il cemento armato,cioè i connettivi o legamenti sintattici che legano blocchi di testo, necessari a tenere in piedi una costruzione,la struttura del periodo , la coerenza e la coesione del discorso.
A tal fine quale migliore palestra per esercitare i nostri allievi alla scrittura, di quella offerta dai nostri classici? Bisognerà partire da loro per recuperare ciò che sembra abbiamo perso: l’ordine la precisione,le sfumature del pensiero e il piacere della immaginazione, in una parola :il senso della
nostra umanità, della classicità su cui  in definitiva si fonda la nostra identità storica e culturale.

Antonino  Palumbo.

Il professore Antonino Palumbo insegna Italiano e Latino al Liceo classico  “N. Spedalieri” di Catania.
Si è laureato presso l’Università di  Catania, con il massimo dei voti, discutendo una tesi sperimentale dal titolo: “Prova su alcuni campi semantici delle Residencias di Pablo Neruda ”. (Anno accademico 1968-69).
Ha al suo attivo diversi saggi brevi, su autori di letteratura italiana, pubblicati sulla  rivista
“La Procellaria” rassegna di varia cultura, fondata e diretta da Francesco Fiumara nel 1953 e tutt’ora attiva, con sede  a Reggio Calabria.
Fra i i suoi lavori ricordiamo alcuni titoli :
“ Pavese-Baudelaire. Il fallimento di un mito”. (1980)
“Appunti su Verga  e i naturalisti francesi”. (1981)
“Quasimodo. Appunti di una rilettura”. (1981)
“Classicismo romantico del Carducci”. (1983)
“De Sanctis contro la critica impressionistica”.(1983)
“Laura del Tetrarca. Ambiguità del testo poetico”. (1985)
“Il “ Novellino” di Masuccio e la “Dissimulazione onesta” di Accetto.(1988)
“Carducci e Verga nella realtà letteraria post-unitaria”. (1989)
                    







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