Il ddl sul lavoro non promulgato dal Presidente è a danno dei precari della scuola
Data: Lunedì, 19 aprile 2010 ore 05:00:00 CEST
Argomento: Opinioni


Il disegno di legge delineerebbe una consistente perdita di terreno sui diritti del lavoro soprattutto a danno dei precari, in confronto a cui il decreto Brunetta è uno scherzo da ragazzi, visto che verrebbe esteso anche al pubblico impiego.
 Soprattutto è l’art.31 del ddl denominato n. 1167-B, a suscitare non poche perplessità.

Tecla Squillaci  
 stairwayto_heaven@libero.it


Mentre si aprono discussioni epocali sul decreto Brunetta , magari su quale parte anatomica anteriore appuntare il famigerato cartellino, si rischia di essere distratti da ciò che invece sta avvenendo a “tergo” dei lavoratori. Si tratta di un disegno di legge che è già stato approvato dalle Camere ma che il Presidente della Repubblica, ai sensi dell’art. 74 della Costituzione, ha rimandato indietro al Parlamento. Il fatto stesso che egli non lo abbia promulgato laddove finora ha firmato tutti gli altri decreti, compreso quello sul legittimo impedimento, dovrebbe già suscitare un certo allarme.
Il disegno di legge delineerebbe una consistente perdita di terreno sui diritti del lavoro soprattutto a danno dei precari, in confronto a cui il decreto Brunetta è uno scherzo da ragazzi, visto che verrebbe esteso anche al pubblico impiego.
 Soprattutto è l’art.31 del ddl denominato n. 1167-B, a suscitare non poche perplessità. Quest’articolo prevede infatti la possibilità di ricorrere all’arbitrato, in via stragiudiziale, in casi di contenziosi sul lavoro. Il lavoratore, cioè, al momento di essere assunto potrebbe accettare di firmare una clausola compromissoria in cui rinuncia di adire al giudice del lavoro ricorrendo invece a degli arbitri nominati dalle parti in caso di contenziosi anche in relazione ad eventuale licenziamento.
Brevemente bisogna spiegare che l’arbitrato rituale, come disciplinato dagli artt.804-840 C.P.C ( Codice procedura civile), nasce dall’autonomia contrattuale delle parti come sancito dall’art. 1322 Codice civile ma nasconde non poche insidie. Innanzitutto è molto costoso. Ha il vantaggio di essere celere ma bisogna chiedersi se il gioco vale la candela. Il lodo arbitrale che ha valore di sentenza  viene emesso da arbitri che non sono giudici ordinari ma spesso noti avvocati che vengono pagati profumatamente per questa loro attività. E’ chiaro che a fare la parte del leone sarebbe, ovviamente, chi ha più mezzi economici. Anche la possibilità di scelta appare più virtuale che reale. Questa scelta , infatti, viene decisa nel momento in cui il lavoratore è più vulnerabile: al momento dell’assunzione. A questo punto anche il più mansueto e il più fantozziano dei lavoratori si troverebbe con le spalle al muro; se non accetta rischia di non essere assunto, accentando, del resto, si preclude quasi del tutto di vedere tutelati i propri diritti in modo imparziale anche in caso di licenziamento senza giusta causa. Ed è proprio questo il punto. Il divieto del licenziamento senza giusta causa finora garantito dall’art. 18 della Legge 300/70 ( statuto dei lavoratori). Si è cercato in vari modi di eludere quest’importante articolo anche attraverso mezzi referendari confidando forse nella prodigiosa capacità del cittadino medio di mettersi il cappio al collo con le proprie mani. Lo statuto dei lavoratori ,a tutt’oggi, rappresenta l’unico baluardo per la difesa dei diritti essenziali sul lavoro, oltre il quale si apre un baratro. E non parlo per metafora. Ciò dovrebbe interessare anche chi oggi ha un posto stabile, anche se è dirigente, fosse solo per il futuro da “elemosina” che si prospetta per i propri figli. Infine si  dovrebbe anche capire che , spesso, la parcellizzazione delle azioni sindacali vanifica le azioni di lotta per la difesa del lavoro, che è uno, e che quando lo si attacca su tutti i fronti non si intende per quale arcano motivo solo una determinata categoria professionale ne dovrebbe restare indenne.
Il ddl in questione, del resto, rientra nella logica di cronicizzazione del precariato  iniziata dalla legge Biagi. A dire il vero questa legge che porta il nome del giuslavorista Marco Biagi, non recepì perfettamente la sua concezione che era più  che altro volta nei termini di una “flexicurity”, ovvero di una ri-occupabilità in un itinerario di formazione in progresso.
La facoltà di licenziamento, diciamo così, agevolata, era già presente nel decreto legge 25/6/08 n.112 dichiarato già illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n.214 del 14/7/ 09 per conflitto con l’art. 3 della Costituzione, forse uno dei più importanti della stessa. Anche se si potrebbero ipotizzare ulteriori violazioni degli artt. 102-24-25 della Costituzione. E adesso viene in pratica riproposta attraverso l’attuale disegno di legge in discussione in questi giorni al Parlamento per la seconda volta.
Infine,  anche gli artt. 30-32-50 dello stesso ddl prevedono un indennizzo in caso di licenziamento ma non una tutela reintegratoria. Inoltre, l’indennizzo sarebbe uguale a 12 mensilità e non oltre per i lavoratori precari che verrebbero anche lì a trovarsi in una posizione di evidente svantaggio rispetto agli altri lavoratori ai quali non viene invece  posto un limite al risarcimento, con evidente violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it





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