Ritornano le scuole speciali per gli alunni disabili?
Data: Domenica, 18 aprile 2010 ore 17:47:14 CEST
Argomento: Rassegna stampa


I genitori cominciano a pensare che sia meglio una istituzione specializzata piuttosto che un inserimento solo sulla carta, senza servizi adeguati, nelle scuole normali. (da Il Corriere)
Invece di pensare a formare docenti più qualificati per sostenere questi ragazzi, a finanziare le necessità delle scuole si pensa al loro isolamento, a nuovi bagni civili per toglierli perfino dalla vista e dalla solidarietà dei compagni di classe il cui aiuto e sostegno è indispensabile per una vera e degna integrazione. Dopo i terroni, gli immigrati, i docenti regionali si sta aprendo il nuovo fronte dei disabili: quale sarà il prossimo?  p.a.

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L'integrazione scolastica degli alunni con disabilità scricchiola? I genitori cominciano a pensare che sia meglio una scuola specializzata piuttosto che l'inserimento solo sulla carta, senza servizi adeguati, nelle scuole normali? Il campanello d'allarme sta suonando da qualche tempo, e una serie di interventi nel forum «Ditelo a noi», nel canale Disabilità di corriere.it, ha rivelato come, sia pure a malincuore, alcuni genitori — stanchi di combattere contro i mulini a vento, in una scuola pubblica spesso in crisi di identità, di personale e di strutture — cerchino per i propri figli con disabilità grave una soluzione di ripiego, che si presenta però sotto forma accattivante di specializzazione, competenza, presa in carico personalizzata.
Le cosiddette «scuole speciali», che non sono più previste dalla nostra legislazione, stanno dunque riaffacciandosi: non sono mai del tutto scomparse, e vivono in quest'ultimo periodo una nuova e imprevista popolarità. Un fenomeno non particolarmente esteso dal punto di vista numerico, si parla di qualche migliaia di alunni, ma quanto basta a mettere in discussione uno dei pilastri della legislazione scolastica italiana, una legge che risale al 4 agosto 1977, la n. 517, che per la prima volta sanciva "«orme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicaps con la prestazione di insegnanti specializzati». Sono trascorsi 33 anni, e l'Italia è divenuta un modello di integrazione apprezzato in tutto il mondo. Un modello che ha profondamente modificato la scuola nel suo complesso, migliorando fortemente la socializzazione dei ragazzi disabili, e, di converso, l'accettazione delle diversità (i compagni di classe diventano quasi sempre amici degli studenti con disabilità). Anche l'insegnamento ne ha tratto giovamento, per riconoscimento ampio e non contestabile.
Una scuola a misura di handicap è una scuola migliore, capace di ascoltare, di mettersi in discussione, di valorizzare le capacità dei migliori senza perdere di vista le difficoltà di apprendimento di chi è più fragile. Ma la stanchezza di questo modello è evidente, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale che ribadisce il diritto a una integrazione in classi non sovraffollate. Ma non è giusto che la responsabilità della scelta ricada solo sui genitori, nel silenzio delle istituzioni scolastiche, nel vuoto di un dibattito culturale, che sembra inaridito. Un'ultima notazione, personale: sono nato con una grave disabilità fisica, e senza l'inserimento nella scuola pubblica, in tempi nei quali ancora le leggi non esistevano, la mia vita avrebbe preso tutt'altra direzione e non sarei riuscito a raggiungere nessuno degli obiettivi «normali» che invece non mi sono mai stati preclusi. Mi dispiacerebbe vedere l'Italia tornare indietro. Non è giusto.
Franco Bomprezzi


E’ questa un’altra di quelle notizie che ci prendono alla sprovvista, dopo il dibattito lungo e intelligentissimo sulla integrazione scolastica degli alunni disabili che all’epoca, a metà degli anni settanta, si chiamavano andicappati. Fu anche una lotta culturale per fare passare il concetto che questi ragazzi non bisogna inserirli in scuole speciali dove il confronto, lo spirito di emulazione, il modello di “normalità” manca: si parlava di scuola di tutti e di abolire il ghetto dove erano costretti (ne abbiamo visitata qualcuna, da studente, all’epoca). Ritornare a quelle esperienze sarebbe un regresso morale, educativo, didattico e culturale del tutto gravissimo e fuori da qualunque intendimento umanitario e sociale. Invece di pensare a formare docenti più qualificati per sostenere questi ragazzi, a finanziare le necessità delle scuole,  si ipotizza quasi cinicamente  il loro isolamento, si immaginano nuovi bagni civili per toglierli perfino dalla vista e dalla solidarietà dei compagni di classe il cui aiuto e sostegno è indispensabile per una vera e degna integrazione. Dopo i terroni, gli immigrati, i docenti regionali si sta aprendo il nuovo fronte dei disabili: quale sarà il prossimo? 
Pasquale Almirante







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