Incrocio grottesco: la Lega teme la colonizzazione dei prof. sudisti.
Data: Sabato, 10 aprile 2010 ore 15:54:39 CEST
Argomento: Redazione


Ai tempi della Dc la preoccupazione della nascente Lega era che il parlamento fosse influenzato dalla cultura meridionalistica, espressa dagli intellettuali formatesi tra le spire del crocianesimo, con danno delle idealità cui si ispiravano gli amici di Umberto Bossi. Ai tempi del Pdl di Berlusconi la dilagante Lega continua a temere e questa volta che il nord possa venire colonizzato dai professori sudisti.

Pasquale Almirante
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Ai tempi della Dc la preoccupazione della nascente Lega era che il parlamento fosse influenzato dalla cultura meridionalistica, espressa dagli intellettuali formatesi tra le spire del crocianesimo, con danno delle idealità cui si ispiravano gli amici di Umberto Bossi. Ai tempi del Pdl di Berlusconi la dilagante Lega continua a temere e questa volta che il nord possa venire colonizzato dai professori sudisti che, siccome non sanno nulla della polenta né delle tradizioni dei rituali delle ampolle, possano perfino rubare il posto ai loro colleghi di celtica razza. Diciamo “razza” con cognizione di causa perché ormai ogni argine al pudore si è rotto e dalle parti del Friuli e del Piemonte i neo governatori incominciano a promettere che faranno leggi regionali per impedire ai professori del sud di insegnare nelle loro scuole, dove si deve conservare la purezza originaria longobarda.
Come è noto il reclutamento nelle scuole avviene sulla base del punteggio che è valido in tutto il territorio nazionale; con la proposta della Lega, già in discussione in Friuli come manifesto della conferma delle promesse elettorali, si vorrebbe dare un punteggio aggiuntivo ai residenti cosicché un supplente catanese, che volesse fare domanda di insegnamento da quelle parti, si vedrebbe tagliato il passo. E guarda caso la richiesta leghista si è scaricata subito dopo un incontro tra i precari della Sicilia col direttore dell’Ufficio scolastico regionale che li invitava, se non volessero rimanere a spasso e senza un centesimo, di inoltrare domanda di supplenza proprio al Nord dove le disponibilità sono molto più larghe.  “Se il Friuli Venezia Giulia fosse una regione seria si dovrebbe fare la regionalizzazione dei posti pubblici”, dice il capogruppo della Lega Nord, Danilo Narduzzi, che chiede pure: “Perché dobbiamo diventare la regione dove si dà lavoro alla gente che viene da fuori? Noi vogliamo che ci sia una pressione politica per un indirizzo politico” in modo da mantenere “gli insegnanti della nostra regione per i ragazzi della nostra regione”. Questo è parlare serio, da gente ben dotata di idee, poche ma chiare. Un tantino più in alto, ma confinante, il Trentino, avvalendosi delle sue prerogative sancite dallo statuto autonomo, come quello della Sicilia, ha rimandato al mittente la cosiddetta riforma Gelmini per il semplice fatto che non essendo stata ancora pubblicata in Gazzetta ufficiale, e avendo la Regione altri ulteriori sei mesi di tempo per approvarla, non gradisce approssimazioni, per cui la adotterà a partire dal 2011/12. In Sicilia pensare in questo modo è blasfemia pura, nonostante lo smodato numero di insegnanti che, a causa proprio del riordino della istruzione, rimarranno a spasso con danno anche degli alunni dei tecnici e dei professionali soprattutto. Un capovolgimento dunque delle priorità nazionali e un egoismo regionalistico innescato dalla Lega alla quale nessuno si oppone, giudicandola un prodotto di colore locale, uno sfogo infantile, un ritrovato etnico per farsi pubblicità come i fichidindia e il carretto nelle cartoline di Palermo. E invece non è così, perché se parte il federalismo scolastico questa richiesta dei governatori leghisti sarà realtà e i nostri docenti, ma anche i presidi, dovranno nuotare all’interno della propria regione per il posto e se decidessero, magari per altra avventura, di spostarsi al Nord, con ogni probabilità dovranno sostenere un esame di cultura e lingua padana prima di accedere, fermo restando lo scoglio della residenza stabile. L’opposizione ha preso le distanze, ma è solo una minoranza di poco peso ormai, benché di fronte a un’altra manovra altrettanto pesante per l’idea di Nazione che finora abbiamo avuto, ha reagito prontamente, costringendo la Gelmini, e chi soffia per lei, a riportare il periodo della Resistenza contro il nazifascismo nei programmi ministeriali di storia. Da un generico“percorso verso l’Italia repubblicana”,  come era stato scritto in prima istanza nelle indicazioni di storia per i licei, si è passati a: “L’Italia dal Fascismo alla Resistenza e le tappe di costruzione della democrazia repubblicana”. Qualche osservatore parla di una “diffusione sempre più subdola dei disvalori berlusconiani che ha seminato il diserbante delle ideologie, sollecitato il rifugio negli egoismi rassicuranti delle identità minime, il locale e le appartenenze di gruppo”, mentre anche i festeggiamenti per il 150^ della Unità d’Italia sono snobbati e perfino ridicolizzati da sedicenti regionalisti, senza suscitare allarme però nella destra storica, quella della Patria sopra tutti.
E in questo incrocio grottesco cosa deve fare la scuola? Su quale sponda aggrapparsi? Sicuramente si è capito un fatto importante e cioè che la cultura è pericolosa, perché può indurre perfino a ragionare e quindi a capire e scegliere. Oscurarla, deprimerla, confonderla, impoverirla può servire tuttavia a proporre come modelli vincenti, non più Mazzini o Enrico Toti, ma il tronista di turno o la velina con le minne di fuori.
PASQUALE ALMIRANTE







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