Le Indicazioni “parlano” finalmente una lingua diversa, ora i prof sapranno usarla?
Data: Venerdì, 02 aprile 2010 ore 18:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
In una società in cui la lingua in generale, ma ancor più
nei giovani, è stereotipata, usata in contesti comunicativi monotipo
che non sono primariamente quelli scolastici è importante il suggerimento che la scuola
presenti situazioni e prodotti linguistici che superino lo
“scolastichese”, attraverso l’analisi dei vari fenomeni
linguistici ma, anche e soprattutto, attraverso l’uso reale della
lingua in contesti diversificati, pena una nuova “grammatica” pesante
fatta di “nozioni” sui fenomeni linguistici.(Feliciana Cicardi da Il
Sussidiario)
Sulla scia dei Regolamenti
arrivano al grande pubblico e agli addetti ai lavori le “Indicazioni”
per i nuovi licei. La bozza - perché di ciò si tratta - è suddivisa
nelle Indicazioni relative alle varie discipline. Le quali Indicazioni
constano di due/tre cartelle relative ad ogni singola disciplina.
Nessuna pletora quindi, ma una presentazione sintetica di un profilo
generale e delle relative competenze disciplinari.
Prendendo in esame il testo relativo alla lingua e letteratura italiana
si scopre che in un piccolo spazio testuale si possono rinvenire
interessanti e necessari punti di attenzione afferenti alle
conoscenze/competenze che strutturano la generale competenza
linguistica.
Una prima gradita novità è costituita dalle due sezioni in cui è
presentata la disciplina: “lingua” e “letteratura”. Ma sono molti gli
elementi di positività incontrabili nel documento. Innanzitutto si
intravede una continuità con le Indicazioni del 2007 relative al 1°
ciclo di istruzione, una continuità rinvenibile nella correttezza con
cui è disegnata la lingua e nella evidenziazione delle competenze
linguistiche. Infatti, al di là delle modalità testuali di
presentazione, si riscontra nelle Indicazioni per il 1° ciclo ed in
quelle per i licei una griglia strutturata su conoscenze, abilità e
competenze riscontrabili in entrambi i documenti. Ciò ovviamente non
deve far pensare che nei vari segmenti scolastici si debbano proporre
gli stessi contenuti e le stesse conoscenze, solo un po’ più
approfondite.
Si sa per quanto tempo il segmento della scuola secondaria di 2° grado
abbia lanciato i suoi “J’accuse” ai segmenti scolastici precedenti
lamentando che il primo compito della scuola secondaria superiore fosse
quello di colmare e recuperare le lacune presenti nei saperi degli
studenti. La questione va guardata da un’altra ottica. Le conoscenze e
i saperi non vanno riproposti ciclicamente nei vari segmenti
scolastici, cerchi concentrici che allargano il loro raggio nello
svolgersi del tempo scolastico: esiste una progressione nell’analisi
degli “oggetti” disciplinari ed un incremento di processi e strategie
cognitive perché si produca negli studenti un apprendimento
significativo, cioè fatto proprio e rigiocato in situazioni varie. Va
da sé che le competenze, che per definizione sono in fieri, vanno
potenziate ed irrobustite via via che si sale nell’età scolare (un
piccolo suggerimento. Sarebbe utile esplicitare nel documento le
competenze essenziali che costituiscono la competenza linguistica
generale: competenza testuale, competenza pragmatica, ecc.).
La continuità tra il 1° ciclo e i licei è data anche dagli elementi con
cui è presentato e proposto l’oggetto “lingua”. La lingua è descritta a
tutto tondo nei suoi elementi costitutivi. Non solo le sue strutture e
le sue regole sono oggetto di analisi e conoscenza (la tanto vituperata
grammatica) ma i meccanismi che governano la lingua proposti come
oggetto di conoscenza ma anche come competenza d’uso della lingua
stessa. Si intravedono in filigrana elementi offerti dalla
sociolinguistica, dalla pragmatica, dalla storia della lingua e dalla
testualità. Si fa ricorso a quelle che fino a non molto tempo fa
venivano definite le abilità linguistiche sul versante della fruizione
e della produzione: ascoltare, leggere, parlare, scrivere). Sia nel
parlato che nello scritto si sottolinea che lo studente “nella
produzione personale dovrà saper variare l’uso della lingua a seconda
dei diversi contesti e scopi comunicativi, compiendo anche le adeguate
scelte retoriche pragmatiche e ampliando contestualmente il proprio
lessico” (Indicazioni).
In una società in cui la lingua in generale, ma ancor più nei giovani,
è stereotipata, usata in contesti comunicativi monotipo che non sono
primariamente quelli scolastici - anzi ben distanti dall’articolazione
testuale usata nella scuola - è importante il suggerimento che la
scuola presenti situazioni e prodotti linguistici che superino lo
“scolastichese”, attraverso l’analisi dei vari fenomeni linguistici ma,
anche e soprattutto, attraverso l’uso reale della lingua in contesti
diversificati, pena una nuova “grammatica” pesante fatta di “nozioni”
sui fenomeni linguistici. Lo studente deve presentarsi come produttore
consapevole di lingua quale strumento per comunicare, per relazionarsi,
per conoscere gli altri e per conoscere sé. Non a caso tra gli
obiettivi specifici di apprendimento del primo biennio si trova
l’indicazione secondo cui “nell’ambito della produzione orale si darà
rilievo al rispetto dei turni verbali, all’ordine dei turni e alla
concisione ed efficacia espressiva” (Indicazioni).
Viene auspicato anche lo sviluppo della competenza testuale attiva e
passiva attraverso la proposta di esercitazioni che esplicitino tale
competenza: “riassumere, titolare, parafrasare, variare i registri e i
punti di vista”. Tenendo presente che negli ultimi decenni il “testo”
nel 1° ciclo è stato proposto come oggetto linguistico di analisi quasi
autoptica, soffocando con l’eccesso di analiticità il piacere di
incontrare un testo e in misura ahinoi molto minore la capacità di fare
propri e quindi usarli i meccanismi linguistici per comprendere e
produrre testi comunicativamente efficaci e ben confezionati. La storia
insegna. Non si deve ripetere l’errore di proporre sotto nuove vesti un
nozionismo linguistico, anziché sviluppare negli studenti il piacere di
usare la lingua come strumento principe per conoscere il mondo e porsi
nel mondo.
In nome dell’autonomia viene lasciata alle singole scuole e ai
singoli docenti la scelta di una didattica adeguata ed efficace perché
i ragazzi raggiungano obiettivi e competenze proposte dalle
Indicazioni. Il Prof. Giorgio Chiosso su queste pagine richiama che il
rispetto dell’autonomia «assegna agli insegnanti una grande
responsabilità culturale ed educativa. Spetta a loro compiere le scelte
più idonee per far crescere gli alunni sul piano culturale, nel senso
critico, aiutandoli a diventare persone capaci di capire e non solo di
ripetere. C’è bisogno dunque non solo di docenti “tecnici esperti”, ma
anche docenti capaci di stimolare le capacità personali e promuovere
cultura».
Ciò comporta che i docenti individuino metodologie e prassi didattiche
adeguate allo scopo formativo e culturale della scuola e della singola
disciplina. In fondo si richiede una revisione della professionalità
dei docenti. Chi insegna agli insegnanti a promuovere apprendimento?
All’uscita dei Nuovi Programmi per la scuola elementare del 1985 fu
attivato dal ministero un Piano Pluriennale di aggiornamento per i
Nuovi Programmi. Durò cinque anni, tanti quante erano le aree
disciplinari di cui erano composti i programmi, ed ogni insegnante ebbe
modo di rivisitare teoria e pratica delle singole discipline. I tempi
sono mutati, nel frattempo è stato introdotto il criterio
dell’autonomia, oggi si parla di “indicazioni”. Ma il bisogno di
rivedere le conoscenze e le azioni didattiche relative ad una
disciplina resta.
Il primo elemento, le conoscenze disciplinari derivanti dalle nuove
teorie e ricerche, dovrebbe essere appannaggio delle università. La
metodologia e la didattica disciplinare può essere messa in
discussione, rivista ed attualizzata nell’efficacia in luoghi che
consentano un confronto. Il primo di questi luoghi può essere il
dipartimento disciplinare presente nei singoli istituti scolastici che
magari si strutturano in rete. Altre sedi possono essere le
associazioni disciplinari ed altro ancora. Si tratta di far uscire
dalla autoreferenzialità strutture culturali ed associative perché si
pongano come obiettivo una rivisitata competenza metodologica e
didattica dei docenti, di primo pelo o di lungo corso.
Sono solo alcune idee. Chi ha stilato le Indicazioni dovrebbe anche
pensare di creare le condizioni perché queste non rimangano lettera
morta sulla carta, ma reale occasione per rendere la scuola luogo di
cultura e di crescita di sé per i ragazzi e, perché no, luogo in cui il
docente possa trovare soddisfazione nell’efficacia culturale e
formativa del suo agire professionale.
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