L’attenzione negata: la vicenda della scuola di Salò, quali riflessioni?
Data: Venerdì, 02 aprile 2010 ore 08:24:06 CEST
Argomento: Opinioni


Come scrive Talcott Parsons in Sociological theory in a modern society, il solo mezzo di cui dispone la scuola per l’integrazione sociale è il modello dell’insegnante attraverso il quale si induce ad agire per gli interessi comuni e reciproci della comunità sociale. Un docente che non vede, o fa finta di non vedere un fatto così grave consumato in sua presenza  ( e perlomeno è questa la versione dei fatti fornita dalla stampa ma da appurare del tutto in sede processuale) è una negazione dell’esistenza dell’altro, di se stesso e della relazione che dovrebbe incarnare.

Tecla Squillaci


Ho lasciato trascorrere qualche giorno dalla notizia di quanto accaduto nella scuola di Salò prima d’intervenire, per lasciare che lo stupore sedimentasse un po’. A volte, è necessario prendere le giuste distanze che solo il tempo può darci prima di considerare i fatti nella loro giusta dimensione.
Questa vicenda eclatante, che ha dell’incredibile , esiziale certamente per il mondo della scuola, ci spinge a riflettere su quel delicato rapporto che spesso anche gli stessi docenti danno per scontato che è la relazione educativa.
In ogni relazione educativa si instaura un necessario transfert alunno-insegnante. Dico necessario, perché, almeno per chi ha una certa dimestichezza con la psicoanalisi, sa che il transfert è il punto cruciale attraverso cui uno dei due soggetti, in questo caso l’alunno, trasferisce tutta la propria carica emotiva ed anche i conflitti irrisolti sulla figura dell’insegnante come figura di riferimento, per prenderne consapevolezza, rielaborarli e superarli.
Non è soltanto una identificazione con il modello rappresentato dall’adulto ma una strategia, un meccanismo proprio della psiche umana ,inconscio, per cui si creano i presupposti della crescita e lo scioglimento dei blocchi emotivi ( come avviene del resto nel transfert classico tra paziente e terapeuta).
Nella fase della pre adolescenza avviene una crisi, un’impasse, chiamata dagli psicologi col termine tecnico di breakdown dell’età evolutiva. Una fase in cui riemergono tutti i conflitti latenti, in cui devono avvenire, fondamentali per la strutturazione della personalità, il superamento del complesso edipico e l’intera rielaborazione del proprio status, della funzione normativa del Super Ego e del suo adattamento con la realtà sia per mezzo dell’integrazione che per mezzo della sublimazione positiva degli impulsi.
Riemerge anche l’angoscia; la paura dell’annientamento post simbiotico ( che segue la fase simbiotica nella psicologia dell’età evolutiva), come ben si evince dagli studi di Anna Freud e di Melanie Klein.
Angoscia che se non trova la giusta canalizzazione nel transfert educativo con l’adulto può sfociare in episodi di aggressività o di autolesionismo ( vedi anoressia).
Nel momento in cui l’oggetto di tale transfert, per diversi motivi , si sottrae inconsapevolmente al proprio ruolo di modello educativo, ne viene meno per stabilità, coerenza, coesione del comportamento e della parola, il messaggio subliminare che viene dato all’alunno è questo: non sono in grado di offrirti il modello di adulto che tu cerchi. Bisogna stare attenti ai messaggi subliminari che si lanciano ai ragazzi. E non solo a quello che viene detto. E questo equivale ad un’attenzione negata per l’alunno.
Inutile ribadire che tutto questo avviene a livello incoscio, a livello dell’ Es e non dell’ Ego. Durante il breakdown dell’età evolutiva gli adolescenti cercano un modello di stabilità, punti di riferimento puntuali e coerenti.
Come scrive Talcott Parsons in Sociological theory in a modern society, il solo mezzo di cui dispone la scuola per l’integrazione sociale è il modello dell’insegnante attraverso il quale si induce ad agire per gli interessi comuni e reciproci della comunità sociale.
Un docente che non vede, o fa finta di non vedere un fatto così grave consumato in sua presenza  ( e perlomeno è questa la versione dei fatti fornita dalla stampa ma da appurare del tutto in sede processuale) è una negazione dell’esistenza dell’altro, di se stesso e della relazione che dovrebbe incarnare.
Al di là di queste considerazioni, in quello che è successo esiste una complementarietà di colpe.
La colpa dei ragazzi che a quell’età, 14-15 anni, viene loro riconosciuta una certa capacità d’intendere e di volere, la colpa del docente che non vede o fa finta di non vedere, la culpa in educando dei genitori ( come più volte sancito da costante giurisprudenza in diverse sentenze di cassazione) e un’altra colpa, non attribuibile giuridicamente ma non meno grave delle altre: la colpa sociale.
Su quest’ultima non farò alcuna analisi ma mi limito a riportare un brano tratto da un famoso romanzo di Thomas Mann, La montagna incantata, affinchè ognuno leggendolo ne tragga le proprie personali conclusioni. La necessaria premessa riguardo il brano  è che vede protagonisti due giovani: uno, italiano, Settembrini, e l’altro un giovane ingegnere tedesco di nome Castorp. Quest’ultimo ama la cultura e  l’eloquenza italiane ma considera disdicevole  l’estrema importanza data dagli italiani alla ricchezza come unico metro di valutazione di una persona. La prevalenza dell’homo oeconomicus sull’homo humanus. Ed ecco cosa risponde in tal senso Settembrini: “… io sono d’opinione che a lei, come homo humanus, non  piacerebbe stare troppo dalle nostre parti. Anche a me che ci sono di casa quel modo di valutare le persone sembra a volte una cosa ripugnante… da noi nessuno frequenterebbe la casa di chi non facesse servire a tavola i vini più costosi… vede, bisogna avere una pelle abbastanza dura per vivere ogni giorno con la gente che vive laggiù, in Italia, per poter rimanere  insensibili a domande come questa: quanto guadagna costui? E sopportare  il viso  che fanno ponendola…” ( Der Zauberberg – T. Mann- romanzo scritto nel 1924 ma, come i veri grandi romanzi, sempre attuale).

Tecla Squillaci
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