Quali passi per uscire dalla crisi della scuola?
Data: Lunedì, 29 marzo 2010 ore 14:00:00 CEST
Argomento: Istituzioni Scolastiche


Si propone di non esaurire la propria mission nell’inseguire le cervellotiche trovate pseudo riformistiche per concentrarsi sulla questione dei fini, da qualsiasi governo emanati. Per attivare, da essi e per essi, didattiche correlate che sconfiggendo le prassi casuistiche correnti conferiscano nuovi orizzonti ai processi formativi. di Fortunato Aprile (Educazionepuntozero)

Redazione

Che la condizione della scuola sia grave non vi sono dubbi. Non fosse altro perché a una riforma è susseguita un’altra riforma e poi un’altra riforma ancora e poi un’altra ancora: Berlinguer, Moratti, Fioroni, Gelmini. Se si esclude la breve transizione di De Mauro, è stato messo in subbuglio in ben quattro tornate l’intero mondo della scuola, nel giro di pochi anni. Vi dev’essere proprio del marcio in… Danimarca.


Critica all’azione docente

Se mettiamo da parte l’insignificanza della riforma Gelmini ‒ fatta di puri tagli economicisti, e che è comunque priva di spessore ideale e culturale: non a caso quello che istituisce non è migliore di quello che distrugge ‒ va detto con estrema chiarezza che la categoria docente ha mostrato, a suo tempo, di fronte alla riforma Berlinguer, l’intero marcio non della Danimarca ma della visione, non ideale, ma ideologica che i docenti dell’area sindacale e di sinistra hanno prodotto con atteggiamenti di pura intolleranza. Incapacità dei docenti a essere attori consapevoli?

Fatto è che pensare a una soluzione della crisi senza che siano i docenti a determinarla è come salire su un treno senza macchinista. Il treno resta fermo in attesa di decisioni. Proprio in tali condizioni metaforiche è venuta a trovarsi la nostra scuola, per l’insignificanza dell’azione docente che ha poi reso possibile tutte le involuzioni di cui le decisioni della Gelmini sono una straordinaria sintesi di incongruenze, soprattutto quando ci si richiama alla Persona.


Istituire un serio rapporto mezzi-fini

Proprio il più autorevole teorico della “dignità della persona umana”, Maritain, denunciò come uno dei più gravi errori dell’educazione della Persona derivasse dalla separazione tra mezzi e fini. Le discipline, con il carico di nozioni proprie di ciascuna di esse, devono essere considerate come mezzi in ordine a un determinato fine; che però deve essere chiaramente definito perché sia questo a orientare la selezione degli argomenti; verificando poi la congruenza tra curricolo e obiettivo formativo che ha guidato la scelta delle nozioni. È che nella tradizione italiana Premesse e Indicazioni sono documenti ritenuti astratti e per questo viene meno il lavoro interpretativo intorno ai fini, da reperire con una indagine ermeneutica nel “corpo vivo” di quelle Indicazioni. Si scrivono buoni articoli e ottimi libri sui curricoli verticali, assumendo la metacognizione come strategia attuativa delle possibilità di quei curricoli. Ma si commette l’errore di non esercitare per prima le pratiche metacognitive nella individuazione dei fini e soprattutto di mettere queste pratiche in relazione all’attuazione dei fini. Seguiamo il caso, di cui allo schema a margine.


Un diverso uso della meta cognizione

La metacognizione, come azione interpretativa su oggetti culturali, è usata prevalentemente nelle tecniche per la comprensione del testo. Sta però che gli esiti formativi visti nel confronto internazionale danno il nostro Paese tra i più sfortunati. Il fatto è che utilizzare le strategie metacognitive per una comprensione pura dei fatti e di sequenze di eventi, al di fuori dei loro significati di valore è obiettivo modesto e ininfluente rispetto ai processi formativi. Questi processi, alla luce delle neuroscienze cognitive, si mostrano quanto mai pregnanti proprio per quelle dimensioni di valore che, grazie alle strategie metacognitive, innescano i correlati neurali. È qui che nasce la differenza tra una comprensione formale, di breve respiro (la coscienza nucleare di Damasio) e una comprensione più alta e ricca di prospettive (la coscienza estesa dello stesso Damasio). La diversa capacità di gestire le strategie metacognitive può determinare la crescita della consapevolezza, della coscienza. Ovvero, il tipo di stimolazione culturale attiva una differenziata intensità sinaptica da cui dipende l’attivazione dei correlati neurali di coinvolgimento dei processi di coscienza.

Dunque, il lavoro metacognitivo non formale deve avere non solo nel suo orizzonte, ma proprio nel suo sorgere, le dimensioni etiche che stanno nei fini. In cima al grafico viene riportato l’esempio specifico di un fine, cioè di un obiettivo formativo. Forse è il momento di cominciare a occuparsi di queste cose. Anche perché la crisi non è solo della scuola. Ma è la scuola che può fare qualcosa per la società. A condizione che assuma una prospettiva tecnico-culturale, non ideologica.






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