NUOVI PROGRAMMI: Perché Berlusconi è da studiare alle superiori
Data: Domenica, 28 marzo 2010 ore 08:04:14 CEST Argomento: Rassegna stampa
Fra
le cose che più stanno facendo discutere della bozza di riforma Gelmini
dei licei, sono i programmi di
storia: soprattutto per quanto attiene alla storia del Novecento.
Secondo le Indicazioni nazionali consultabili sul sito del ministero
(nuovilicei.indire.it), la didattica di storia dell'ultimo anno sarà
interamente occupata dal XX secolo, «dall'analisi delle premesse della
Prima guerra mondiale fino ai nostri giorni». di Sergio Luzzatto (Il Sole24Ore)
Redazione
A dire il vero, si tratta di un battage comunicativo più che di una
vera riforma dell'esistente. In effetti, da oltre un decennio
l'insegnamento del quinto anno di liceo è centrato sulla storia del
Novecento: fin da quando - negli anni Novanta - il ministro Luigi
Berlinguer dispose in tal senso, per rimediare a una pratica didattica
che tendeva a indugiare sull'Ottocento e tutt'al più sulla prima metà
del Novecento, penalizzando la storia post 1945. Oggi, la bozza di
riforma Gelmini ribadisce lo spirito della riforma Berlinguer.
A prescindere dagli effetti-annuncio e dalle schermaglie sulla
primogenitura, si tratta di un'indicazione condivisibile. Non c'è alcun
buon motivo né culturale né politico, né logico né metodologico, perché
i ragazzi superino l'esame di maturità senza avere studiato almeno un
poco certe faccende che li riguardano da vicino, da molto vicino: il
processo d'integrazione dell'Europa, il ruolo della superpotenza Usa
dopo la fine della guerra fredda, la rinascita della Cina e dell'India
come potenze mondiali; o anche - più da vicino ancora - la cosiddetta
Tangentopoli, e la crisi della prima Repubblica italiana.
L'obiezione dei critici investe la possibilità d'insegnare con il
necessario distacco una serie di eventi storici i quali, per l'appunto,
ci riguardano forse troppo da vicino. Non si rischia così di confondere
due esperienze che devono rimanere nettamente distinte, lo studio del
passato con il vissuto del presente? Insomma, non si rischia di cadere
nella famigerata tentazione di "far politica a scuola"?
È del tutto evidente che insegnare la storia contemporanea non può e
non deve diventare, per i professori di liceo, un'occasione (o un
pretesto) per orientare politicamente il giudizio degli studenti. E
tanto più in quanto durante il quinto anno la maggior parte dei ragazzi
diventano maggiorenni: cittadini a pieno titolo, e potenziali elettori.
Nondimeno, vale la pena di chiedersi se l'insegnamento della storia
contemporanea possa e debba prescindere da un discorso anche esplicito
intorno ai rapporti fra il nostro passato e il nostro presente.
Facciamo un unico esempio, scegliendo - volutamente - il caso più
controverso: come sarebbe mai possibile, per un insegnante di liceo,
rispettare le Indicazioni nazionali sul "nucleo tematico" dei programmi
relativo a «la formazione e le tappe dell'Italia repubblicana», senza
neppure nominare un personaggio storico chiamato Silvio Berlusconi?
In un libretto fresco di stampa, Berlusconi
passato alla storia (Donzelli editore), l'autorevolissimo professore
universitario Antonio Gibelli ha messo a fuoco proprio questo: i modi e
le ragioni per cui il ventennio seguìto alla fine della prima
Repubblica passerà alla storia d'Italia come "l'età berlusconiana".
Certo, si tratta di un'età che gli storici devono ancora indagare con
gli strumenti più propri della loro disciplina. Potranno farlo
soltanto fra molti anni, anzi fra decenni: quando il materiale su cui
costruiscono le loro interpretazioni - le carte d'archivio - sarà
uscito dalle "stanze dei bottoni" per approdare sopra gli scaffali
dell'Archivio centrale dello stato, a Roma, o in altri depositi
documentari. Ma fin d'ora, grazie a libri come quello di Gibelli (o un
altro recentemente pubblicato da Donzelli, l'Autobiografia di una
Repubblica di Guido Crainz), gli autori di manuali scolastici di storia
dispongono di buone guide per scrivere un capitolo serio su "l'età
berlusconiana".
Non dobbiamo avere paura del tardo Novecento. Dobbiamo avere paura del
contrario: del danno arrecato alla personalità dei nostri figli
dall'ignoranza in cui versano sulla loro storia recente ancor più che
su quella remota. Oggi, i ragazzi che entrano all'università sanno
qualcosina su Giovanni Giolitti, e sanno qualcosa su Primo Levi; non
sanno nulla su Palmiro Togliatti o su Piero Calamandrei, e nulla di
nulla su Aldo Moro o su Oriana Fallaci. Che aspettiamo a insegnarglielo?
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