Stefanoni (Miur): a che servono le rilevazioni Invalsi se poi le scuole ''barano''?
Data: Sabato, 20 marzo 2010 ore 08:47:10 CET Argomento: Sondaggi
Vari sono i segni rivelatori di questo strisciante e diffuso timore
che, alla fin fine, il “gioco dei pacchi” nasconda un’insidia
certamente molto poco gradita ai più: valutare, attraverso gli esiti
delle varie prove, non solo gli alunni, ma anche l’operato degli
insegnanti, mettendone allo scoperto le inadeguatezze didattiche,
evidenziandone le inefficienze e la scarsa produttività, creando in tal
modo le premesse per successivi interventi di natura amministrativa,
che - in questo clima di premialità e di merito, caratterizzato da
revisione e ridimensionamento degli impegni di spesa, oltre che degli
ordinamenti e del numero delle istituzioni scolastiche - trovino nei
risultati delle rilevazioni tendenzialmente oggettive del Servizio
Nazionale di Valutazione una motivazione e una giustificazione più che
plausibile.
Non si spiegherebbe diversamente la propensione comunemente
riscontrabile tra i dirigenti scolastici, oltre che - ovviamente e
ancor di più - tra gli insegnanti, a fornire giustificazioni
soprattutto di quel fenomeno, che da parte dell’INValSI è stato
denominato di “comportamenti opportunistici”, emerso in varia misura da
una puntuale e dettagliata analisi condotta dallo stesso Istituto
Nazionale sulle risposte fornite dagli alunni nella prova nazionale
dell’esame conclusivo del 1° ciclo del 2009, in grado di smascherare -
grazie a sofisticati metodi di indagine, con algoritmi e formule dei
quali si parla nell’appendice 5 del fascicolo “Prova nazionale 2009.
Prime analisi” (pag. 84-94) - eventuali interventi fraudolenti, che
hanno certamente determinato alterazioni negli esiti e una scarsa
affidabilità di non pochi risultati.
Va rimarcata anche la modesta considerazione prestata dalla maggior
parte delle scuole ai vari rapporti puntualmente pubblicati
dall’INValSI sia sulle rilevazioni degli apprendimenti nella scuola
primaria sia sulla citata prova nazionale 2009, non sempre - occorre
ammetterlo - di agevole e immediata lettura e comprensione, ma
ricchissimi di dati molto utili per chi volesse dare qualcosa di più
che un modesto credito a quanto da essi rappresentato. Soprattutto se
utilizzati come riferimento per un confronto con i risultati che
l’Istituto Nazionale ha messo a disposizione scuola per scuola, in modo
che ciascun operatore scolastico potesse trarne le necessarie e
doverose conseguenze. Ma non risulta che si sia in genere prestata
grande attenzione a questa possibilità; e gli esiti delle rilevazioni
sono serviti o per una sorta di sterile autocelebrazione, laddove
positivi, a sostegno della proclamata validità dell’azione della
scuola; ovvero, se non molto esaltanti, ad alimentare il timore che da
queste rilevazioni c’è, alla fin fine, da aspettarsi ben poco di buono.
E così, il pacco che sta per circolare di nuovo nella classe, vuoi per
la rilevazione degli apprendimenti vuoi per la prova nazionale, è
ancora percepito da molti, forse troppi, come una specie di “paccotto”,
per dirla alla napoletana, contenente una potenziale “fregatura” (mi si
passi il termine) per gli insegnanti, passibili di future condanne in
caso di risultati non propriamente positivi.
Rimedi? Disinnescare il potenziale pericolo del pacco, con nutrite
batterie preventive di test (ormai se ne trovano in giro di varia
natura e qualità), che - anche se in barba alla programmazione
didattica di classe - portino gli alunni a confrontarsi e a esercitarsi
con tipologie di quiz verosimilmente simili a quelli che salteranno
fuori dai plichi il giorno della prova. Aggirare l’ostacolo,
incentivando (per le rilevazioni degli apprendimenti, ovviamente, non
per la prova nazionale) l’assenza dalla scuola nel giorno fatidico di
quegli alunni un po’ troppo debolucci, che potrebbero far abbassare le
prestazioni medie della classe sotto il livello di guardia. Tamponare
la situazione pericolosa con atteggiamenti “opportunistici”, fatti di
risposte sussurrate a voce un po’ troppo alta, tolleranza di occhiate
furtive (ma neanche tanto), che cerchino di carpire risposte
probabilmente giuste dal compagno più bravo. Addolcire il prodotto
finale, intervenendo d’autorità con qualche “correttivo” nella
trascrizione sul foglio risposte delle scelte di qualche alunno, «che
certamente s’è distratto un momento, perché lui questa cosa la sa
benissimo!»; operazione resa possibile quest’anno dal sistema
semplificato di restituzione dei risultati per tutte le rilevazioni,
non solo per la prova nazionale.
Ma l’INValSI non sta a guardare; e certamente metterà a punto -
d’intesa col Ministero - una serie di misure di tipo
operativo-procedurale, che possano rendere più credibili e
scientificamente più affidabili i risultati delle rilevazioni, troppo
esposti al rischio di comportamenti molto discutibili verosimilmente
mantenuti da molti operatori addetti alla vigilanza e alla
somministrazione delle prove. Si cerca, cioè, di determinare condizioni
più favorevoli a uno svolgimento asettico e serio delle rilevazioni in
tutte le loro fasi; condizioni sulle quali potrebbero essere fortemente
richiamate non solo le responsabilità professionali dei docenti, ma
anche quelle gestionali del Dirigente scolastico e - per la prova
nazionale - del presidente della commissione, magari col coinvolgimento
del corpo ispettivo.
Insomma, un gioco quasi perverso di azioni e reazioni, che, oltre a
convalidare (se ce ne fosse bisogno) il ben noto terzo principio della
dinamica, rischia di indebolire ulteriormente la credibilità e
l’indiscutibile valenza positiva di tutta l’operazione, mettendone in
discussione la sua stessa necessità. Già, perché, a mio avviso, sta
proprio qui il punto focale e il nodo critico della questione: a chi
serve questa operazione, chi ne può trarre vantaggio, perché è
necessario procedere con queste rilevazioni?
Le varie analisi fin qui condotte sugli esiti delle rilevazioni e i
conseguenti interventi che si sono registrati, di vario segno e con
valutazioni variamente discordanti, hanno evidenziato le problematiche
dell’intero sistema scolastico legate alla presenza di alunni
stranieri, si sono soffermate sulle possibili cause della grande
variabilità dei risultati fra scuole di zone diverse o anche fra alunni
di uno stesso contesto socio-economico, effettuando comparazioni per
zone geografiche, per materie, con altre rilevazioni internazionali. Si
sono cioè rimarcati e forse enfatizzati quasi esclusivamente gli
aspetti delle varie rilevazioni che si riferiscono al macro sistema
dell’istruzione, che si prestano a più o meno convincenti dissertazioni
sociologiche, si è posto l’accento su come dagli esiti di tali
rilevazioni possano essere assunte indicazioni per interventi di
carattere generale, su larga scala, con modalità che, per altro, non
sempre trovano d’accordo i vari interlocutori, non di rado in rotta di
collisione anche con le attuali linee di politica scolastica. Discorsi
e ragionamenti certo interessanti e utili, ma che rischiano di non
incidere minimamente sulla questione di fondo, sulla natura stessa
dell’operazione, che può trovare una ragione convincente e unificante,
da tutti condivisibile, in un’asserzione molto semplice: le rilevazioni
servono, devono servire, prima di tutto, a determinare miglioramenti
dei livelli di apprendimento degli alunni. Se non è così, se ci
limitiamo a ragionare sui dati in uscita e non - a partire da questi -
sulle situazioni che li hanno determinati, sui possibili (e spesso
riconoscibili) motivi degli esiti deludenti o inadeguati, sulle
condizioni da creare - a livello di singolo alunno, di singolo
insegnante, di scuola, anche di intesa famiglia-scuola - per favorire
apprendimenti più efficaci e stabili, potremo continuare a fare
diagnosi più o meno lucide e credibili, ma senza contribuire in alcun
modo a risolvere gli innegabili problemi che emergono dalle prove.
Faremo ancora fotografie della scuola italiana, più o meno ritoccate e
manipolate dai “comportamenti opportunistici”, ma queste immagini non
riusciranno - com’è fin troppo ovvio - a rendere davvero migliore il
soggetto per le foto successive.
E dunque, occorre agire a monte, migliorare il soggetto, passare dalle
disquisizioni alle azioni. Occorre fare in modo che ognuno degli attori
di questo “gioco dei pacchi” si senta coinvolto in maniera consapevole,
ne condivida motivazioni e finalità, e poi giochi lealmente, nel
rispetto delle basilari regole di onestà. Se non riusciremo a
convincere alunni, insegnanti e genitori, che a tutti conviene, a
livello di interesse personale, entrare in gara e giocare “pulito”,
troveremo sempre sospetti e timori, diffidenze e resistenze, tentativi
di raggirare o di aggirare l’ostacolo, di camuffare e alterare la
realtà, anziché mostrarla nella sua effettiva consistenza.
Come intervenire, allora? Come utilizzare l’esperienza e i dati delle
rilevazioni già effettuate per tentare di rendere migliori lo
svolgimento e gli esiti di quelle che verranno? È fin troppo facile
concordare sul fatto che sono soprattutto gli insegnanti coloro che
possono dare credibilità alle prove, con atteggiamenti
professionalmente corretti durante il loro svolgimento; e che dalla
loro attività didattica quotidiana, definita e concordata a livello di
scuola e di classe, può dipendere l’esito più o meno positivo delle
rilevazioni. Un’attenzione non secondaria, poi, va riservata ai
genitori e agli altri operatori scolastici, i quali, con la loro
collaborazione convinta, possono determinare la realizzazione ottimale
delle prove, contribuendo, ciascuno per la parte di propria competenza,
a far sì che in tutte le fasi (dall’acquisizione delle informazioni di
contesto alla predisposizione delle condizioni logistiche per lo
svolgimento della prova, dalla correzione e tabulazione dei risultati
alla loro restituzione) il meccanismo sia messo a punto nel migliore
dei modi e funzioni senza sbavature. Non ha molto senso tirare la croce
addosso agli insegnanti che avrebbero messo in atto comportamenti
“opportunistici” e non preoccuparsi di determinare un consenso convinto
nei confronti delle rilevazioni da parte di tutti coloro che a vario
titolo sono in esse coinvolti, genitori compresi, creando, attraverso
capillari interventi di adeguata informazione, una condivisa
consapevolezza che non si tratta di difendere il buon nome di una
scuola, ma di utilizzare un’opportunità che viene data alla scuola
stessa di fare una necessaria azione di autoanalisi del proprio
operato, individuando, attraverso un’attenta riflessione sui risultati
correttamente conseguiti nelle prove (ma, prima ancora, sulle
metodologie di insegnamento, che devono essere opportunamente
ricalibrate in rapporto alle reali esigenze di apprendimento degli
alunni), le strategie più efficaci per consentire a ogni alunno di
acquisire migliori livelli di abilità e di competenze.
Ecco, allora, cosa occorre fare: interrogarsi sul significato dei
risultati prodotti dagli alunni, ma non in generale, bensì nel
micromondo di ogni singola scuola, di ogni classe; cercare di capire i
motivi degli insuccessi, delle carenze, ma anche quali siano i margini
per ulteriori miglioramenti possibili, quanto ogni alunno possa ancora
dare e come la scuola possa e debba attrezzarsi perché ogni allievo
possa esprimere il meglio di sé. Cercare di individuare modalità e
percorsi didattici più efficaci, tenendo presenti i quadri di
riferimento dell’INValSI (disponibili al momento per italiano e
matematica), che non solo sono alla base della costruzione delle
rilevazioni, ma che dovrebbero costituire il punto di partenza per ogni
seria rivisitazione della didattica, contenendo indicazioni molto
puntuali su processi, contenuti e nuclei tematici, fasi, abilità,
verifiche.
Alla luce dei quadri di riferimento, risulterà funzionale un’analisi
dei risultati delle prove fornite da ogni classe, per individuare in
quali ambiti si siano manifestate carenze e difficoltà da parte degli
alunni; un confronto degli esiti prodotti nelle varie classi di una
stessa scuola potrà portare gli insegnanti a scegliere le strategie
didattiche più efficaci, gli strumenti più idonei per far acquisire
abilità risultanti ancora a livelli non soddisfacenti. E ancora, dal
confronto con i risultati conseguiti nelle verifiche di tipo
tradizionale potranno scaturire opportune sollecitazioni a capire come
la didattica praticata possa favorire o meno l’acquisizione delle
abilità - oltre che delle conoscenze - indagate dai test e a cercare le
correlazioni che esistono di fatto fra le prove e gli stili di
apprendimento degli alunni da una parte e, dall’altra, le scelte
metodologiche e anche di contenuti fatte dai docenti.
Si tratta di un lavoro certamente non facile, che dovrà portare ad
affinare le strategie di gestione dei percorsi formativi,
riadattandole, se necessario, all’acquisizione delle abilità
individuate dai quadri di riferimento ed esplorate dalle rilevazioni.
Ma è l’unico lavoro, riferito alle rilevazioni, che può avere un senso
concreto e che può giustificare l’impegno richiesto a tutti coloro che
in esse sono coinvolti. Perché è soltanto da un’azione di questo tipo,
seriamente e continuamente condotta, che si può realisticamente sperare
di ottenere un qualche miglioramento dei livelli di apprendimento e di
padronanza delle abilità degli alunni.
Che è poi, come detto, il vero scopo delle rilevazioni, la posta in
gioco, non impossibile da vincere, sia pure quasi certamente in tempi
non immediati.
|
|