Del giudicato e del giudicante.Etico essere giudicati dagli alunni?
Data: Sabato, 20 marzo 2010 ore 08:11:25 CET
Argomento: Opinioni


La domanda se sia corretto o meno che gli alunni giudichino i loro professori è del tutto retorica.
Da che mondo è mondo gli alunni hanno giudicato e giudicano i loro insegnanti. Del resto lo stesso fanno i docenti con i loro presidi, passati e presenti, e via discorrendo in un intreccio di condanne ed assoluzioni che a doverlo ripercorrere a ritroso si rifà la storia del mondo intero…
Dalla Cabala del cavallo pegaseo: lode all'asino.
(di Tecla Squillaci)

Redazione


La domanda se sia corretto o meno che gli alunni giudichino i loro professori è del tutto retorica.
Da che mondo è mondo gli alunni hanno giudicato e giudicano i loro insegnanti. Del resto lo stesso fanno i docenti con i loro presidi, passati e presenti, e via discorrendo in un intreccio di condanne ed assoluzioni che a doverlo ripercorrere a ritroso si rifà la storia del mondo intero…
Che il giudizio ci sia è indiscutibile; che sia sancito  de iure ,in buona sostanza, alla coscienza franca importa assai poco. E non per debole accondiscendenza ma per consapevolezza della natura stessa del giudizio, della sua correlazione con ogni esistenza senza la quale non ci sarebbe né lo stimolo al miglioramento né si troverebbe la forza d’aprir gli occhi al mattino.
Non temo i giudizi ma i pre-giudizi.
In ogni momento della nostra vita siamo esposti al giudizio altrui; forse solo le aquile e gli insetti striscianti ne restano immuni: le prime perché volano troppo in alto, intonse dalle miserie umane, i secondi perché… troppo simili a tutti gli altri. Inoltre, poniamo il caso che io dica di qualcuno che sia un piantagrane;questo mio giudizio, o pre-giudizio, lascia il tempo che trova a meno che qualche inetto non riconosca la facoltà di giudizio altrui come superiore alla propria. Alla fine, ognuno nella vita si rivela e si qualifica per quello che è.
In ogni forma di conoscenza che rientri nella categoria del pensabile e dell’esprimibile appare sempre questa legge del “contrappunto”: causa- effetto, giudicato-giudicante. Non sono sofismi; basta acuire un po’ l’ingegno che s’assopisce spesso tra i guanciali di mille certezze. Meglio dismettere le vesti della pedanteria giuridica in  casi del genere,questi argomenti possono essere affrontati solo con la satira e il velo sottile della sacrosanta ironia. Del resto, se il giudicato possa essere nel contempo giudicante per sua stessa essenza ed affermazione è una contraddizione in termini, ovvero  improcedibile dal punto di vista giuridico.
Certo che questa tendenza all’inversione dei ruoli nella scuola italiana sta diventando quantomeno inquietante… capisco che in Italia siamo quasi tutti fuori posto, per difetto o per eccesso, ma in questa tendenza centripeta dove tutti vogliono stare al centro, tutto impazzisce. Come la maionese.
Se il giudizio ed il giudicare costituiscono la base del sapere ed ogni predicato enunciativo è pertinente ad un soggetto che consta di proprietà, modi, attributi ed accidenti ( che non sono quelli che affollano la bocca dei docenti italiani negli ultimi tempi) per corollario deve esserci una corrispondenza tra la realtà e la sua immagine concettuale e linguistica.
Nel sillogismo chiamato dagli aristotelici  modus ponendo ponens la regola di derivazione di ogni proposizione è che le conclusioni scaturiscono dalle premesse; se le premesse sono vere, le conclusioni anche. Ma in nessun caso la premessa può contraddire se stessa e questo per un rapporto di inferenza che sta alla base di tutta la logica analitica! Lo stesso Aristotele diceva nella Metafisica : “dire di ciò che esiste che non esiste o di ciò che non esiste che esiste è falso, dire di ciò che esiste che esiste e di ciò che non esiste che non esiste, è vero.” Il che equivale  a dire che il rosso è bianco , per pure inferenza logica prima che per verifica pratica, è illogico.Se io dico che lo studente studia è logico perché il predicato verbale denota ciò che è contenuto, per proprietà, modi, attributi e accidenti ( sempre quelli di prima) nel nome. Ma sei io predico un enunciato che per proprietà, modi, attributi e accidenti è il contrario di quanto contenuto nel nome, è una contraddizione in termini.
Inoltre, è la storia del cane che si morde la coda, dell’ouroburòs, del serpente dalla coda in bocca, della circolarità di ogni manifestazione cosmica… se il giudicato deve giudicare il giudicante sapendo di venir a sua volta giudicato come si può stabilire che il suo giudizio sia veridico e sincero? Mah… non se ne viene a capo.
Per concludere vorrei offrire al mondo della scuola la lettura di questo gustoso sonetto della mente più brillante del Rinascimento, Giordano Bruno. Epoca in cui  un po’ restava del senno nel suolo italico anche se gli eruditi accademici ci assicurano che già da allora cominciava il suo esodo verso la luna d’Astolfo. Non sono ancora stati stabiliti il punto, l’ora esatta, la velocità e il vettore di tale infausta dipartita anche se i cattedratici contano di riuscirvi presto attraverso uno sforzo congiunto fra le università, per poi  programmare almeno una dozzina di corsi monografici a riguardo. Estenderei il mio invito alla lettura anche a loro ma so che i loro impegnativi studi non permettono simili frivolezze.
Ma soprattutto  la dedico a quelle grandi menti audaci che sollevando la  vexata quaestio del giudicante e del giudicato, ci inducono a riformulare l’intera logica aristotelica e seguente.
Dalla  CABALA DEL CAVALLO PEGASEO :
                                             LODE ALL’ASINO CILLENICO

Oh sant'asinità, sant'ignoranza,
   Santa stoltizia, e pia divozione,
   Qual sola puoi far l'anime si buone,
   Ch'uman ingegno e studio non l'avanza!
      Non gionge faticosa vigilanza
   D'arte, qualunque sia, o invenzione,
   Né di sofossi contemplazione
   Al ciel, dove t'edifichi la stanza.
Che vi val, curiosi, il studiare
   Voler saper quel che fa la natura,
   Se gli astri son pur terra, fuoco e mare?
La santa asinità di ciò non cura,
   Ma con man gionte e 'n ginocchion vuol stare
   Aspettando da Dio la sua ventura.
   Nessuna cosa dura,
   Eccetto il frutto dell'eterna requie,
   La qual ne done Dio dopo l’essequie.

Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it





Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-20310.html