La California d’Italia per essere scoperta dal grande turismo avrebbe bisogno di infrastrutture
Data: Sabato, 20 febbraio 2010 ore 14:34:16 CET
Argomento: Opinioni


Il turismo, che potrebbe essere un affare, alla Bit di Milano boccheggia e i nostri imprenditori, che possono esportare coraggio e intelligenza, attendono i tempi strani della politica che s’organizza le squadre senza dare risposte. E gli Istituti alberghieri?






Pasquale Almirante
p.almirante@aetnanet.org

E non doveva essere la California d’Italia, questa Sicilia pirandelliana e ballerina, assolata di mare e lucente di neve? L’isola attraverso cui si capiva l’intera Nazione, a parere di Goethe che sussurrava a Mignon, accanto al focolare tra le brume di Teutoburgo, la terra dove fioriscono i limoni e dove il mulo cerca il viottolo sull’antico petto del drago? In molti hanno promesso il mito americano e molti su questa fiaba, tanto piana quanto spaventosa, hanno condotto le loro campagne per militarizzare la politica e ricavarne l’affare. Come quello che si prometteva agli albergatori, appostati ai tre angoli di questo fallace vascello che più saggiamente aveva da sempre cercato la salvezza nella terra odorosa di frumento e di olivo e di stalle e di palmenti. Diffidenza? Molto poca, se le industrie chimiche, dopo avere sotterrato veleni, erano scappati lasciando nuda la campagna e gli operai. Eccola dunque la sirena cantare la nenia del turismo e del pellegrinaggio tra i segni che la Grecia aveva lasciato lungo le labbra incantante di questa zolla spinta da Africa e Vulcano e che Arabi e Normanni incisero ripercorrendo Roma. Cosa mancava alla Sicilia per essere albero di melo e favo, sapienza e creazione?
Nulla, all’apparenza, se non fosse per la mancanza delle strade, l’inesistenza dei collegamenti, la penuria dell’acqua, le scorribande dei predoni.
E allora sulla collina della Trezza verdeggiano gli alberghi, altri occhieggiano sul ventre del vulcano, altri ammollano su sabbie violentate dall’abuso. Ma accade pure che da quelle parti non passi un solo mezzo pubblico, che la collina frani e che il mare inghiotta spiaggia e imbarcazioni. E se l’antico petto del drago inizia a sanguinare e il titano che vi è sotto si scuote coi tremori, anche il viaggiatore più istruito perde l’orme e torna in dietro, tra le brume che conosce e più sicure.
Così gli alberghi si riempiono di vuoto, cacciano mosche i ristoranti, pugnalando il tempo per vendetta, mentre all’orizzonte i venditori di chincaglierie attendono l’aereo.
A chi aspetta rendere piano il cammino dell’imprenditore? “Vi forniamo di biciclette”, gridò un albergatore verso l’ovest d’Europa, “eviterete i tram che nessuno ci provvede”. E sull’uscio attese la riposta che si presentò con l’ossa rotte d’un teutone, turlupinato dalla strada e dalle auto fin sopra i marciapiedi.
Gridò un altro: “Vi faccio assistere agli starnuti del vulcano”. E fu tragedia. Chiude Fiat, sul golfo verso Monte Pellegrino, e le arance nereggiano senz’ombra sulla Piana lambita da Simeto, goffo e impigrito.
Che fare? disse allora l’oste ai suoi ragazzi. “In California, in California, vogliamo andare.”
PASQUALE ALMIRANTE








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