Le Carnevalate di San Cono
Data: Sabato, 13 febbraio 2010 ore 13:41:29 CET
Argomento: Redazione


È un teatro di strada, popolare, primitivo quello delle Carnevalate che ogni hanno vengono rappresentate a San Cono; ma è anche un teatro che affonda le sue radici nel medioevo, agli albori della lingua italiana e sul modello delle Sacre rappresentazioni che durante le feste più importanti della liturgia cattolica venivano eseguite.

Ed era a quei tempi un teatro con delle caratteristiche proprie e peculiari anche perché era composto da gruppi di improvvisati attori (contadini, artigiani), ma anche di giullari che giravano le fiere e i mercati raffigurando, su palcoscenici alla buona, lo sberleffo più volgare dei costumi e della morale corrente e pure le angherie più abiette che la povera gente subiva dai potenti.
Carnevale, in modo particolare, dice Ettore Boschi, era l'occasione perché il “populazzo”, vilipeso e umiliato, sfruttato e deriso dai potenti, potesse finalmente aggirare i pericoli della forca o delle punizioni e dire la sua, senza impedimenti e soprattutto senza rischi, aiutato in questo dalla maschera e dall'abbigliamento, e soprattutto dal fatto che in questo periodo tutto per lo più era lecito: a carnevale ogni scherzo vale, e quindi qualsiasi impennata trasgressiva. Questa tradizione di teatro popolare e di strada si è conservata sotto forma appunto di carnevalate solo per caso fortuito a San Cono dove, per merito e vanto della Pro Loco, ancora esse vengono rappresentate con l'antico fascino del dialetto più autentico.

Ma si sono conservate pure grazie a una schiera singolare di poeti che le hanno sapute tramandare, così come le conobbero nella ancora per certi versi immutata cultura del loro paese. Generi letterari simili, fra l’altro, sono noti sia nella letteratura più aulica e dotta, come il Contrasto di Cielo d'Alcamo, i Sonetti dei mesi di Folgòre di San Gimignano e i Canti carnascialeschi di Lorenzo il Magnifico, che furono scritti tutti per essere rappresentati e sia in questa poesia popolare, di cui i giullari si facevano interpreti, e che un po' in tutta Europa ebbe momenti di fervore .
La cosa più interessante di queste rappresentazioni sanconesi sta nel fatto che tutti i verseggiatori abbiano usato lo strambotto a rima alternata, secondo il metro più antico della tradizione poetica siciliana, mentre il fatto che un tempo alcuni di loro fossero del tutto analfabeti, poco ha influito sulla freschezza della rappresentazione.

Infatti le composizioni dovevano essere all’origine del tutto orali, mentre i versi e l’allitterazione facilitavano la trasmissione a memoria. E allora, non solo i poeti locali componevano la loro carnevalata a memoria, ma la insegnavano, secondo la loro parte, agli attori che, a memoria, la ripetevano con le cadenze, i ritmi e le assonanze suggerite dall'autore.
Un’altra cosa interessante è che generi letterari come il Contrasto (che è appunto il dialogo, da cui il termine dialettale: cuntrastari, tra l’uomo seduttore e la donna restia) di Cielo d’Alcamo è conosciuto e adottato felicemente dai nostri poeti sanconesi che però nulla sanno né della scuola poetica siciliana né dell’opera di Cielo o Ciullo che è fra l’altro termine dialettale per indicare l’organo genitale maschile.

Ed ecco allora pere carnevale un drappello di maschere a dorso di some, ma anche su carretti o a piedi, girare per il paese e negli angoli più affollati, nelle piazze e nei cantoni più ampi recitare ciascuno la sua parte di questa rappresentazione comico-realistica che è appunto la carrivalata. Una sorta di rito magico e propiziatorio che si consuma su un percorso stabilito, un circuito simile a quello dei carri e che simboleggia, con ogni probabilità, l'eterno ritorno della vita e delle stagioni. Un accompagnatore (il poeta stesso talvolta) presenta i personaggi, dando così il via alla carnevalata e riassumendola alla conclusione.

Le allegorie dei mesi, delle stagioni, dei mestieri e delle arti, dello scorrere della vita (la scala della vita), la rosa dei venti sono la materia trattata perché appunto ritrae la vita quotidiana del paese dove il mondo intero si racchiude. Ciascun personaggio nella maschera appropriata loda le proprie virtù, i propri pregi e le caratteristiche, ma dà pure indicazioni di tipo utilitaristico come quando seminare il frumento, potare le vigne, raccogliere i frutti della terra, con riferimenti spesso al tempo, le cui siccità o abbondanze solo un Dio lontano condiziona, o agli attrezzi e così via.
Nella raffigurazione comica, dettata proprio dal carnevale, ciascuna allegoria si racconta per lo più con toni didascalici, ma si nota anche talvolta l'accento furbesco e sfottente di chi non vuole essere preso affatto sul serio. In effetti si tratta pure di una trasmissione del sapere arcaico contadino, della diffusione della morale più comune; una sorta di liturgia pagana e un compendio degli usi e delle conoscenze di quella comunità di cui il poeta-contadino diventa l’interprete, il cantore, l’aedo classico, il sapiente che racchiude nei suoi versi quelle conoscenze e quel mondo.
Alcune carnevalate sono pure state eseguite come forma forte di denuncia contro le angherie più odiose, sul tipo del prestito a usura o sullo strapotere di particolari personaggi, o come invettiva contro la delazione, i furti e gli abigeati.

Materia delle carnevalate sono pure la fame, quella antica e incontenibile del contadino, il corteggiamento, il contrasto tra uomo e donna, lo sfottò contro i paesi limitrofi che rimangono "babbi" o "vili", rispetto ai paesani: "nobili e gentili".
I maggiori scrittori di Carrivalate a San Cono sono stati: Michele Volpe, Angelo La Loggia, Rocco Balbo Palermitano, Cono Mantione.
Da qualche anno anche il sottoscritto ha presentato delle carrivalate ma non fa parte certamente della schiera dei maggiori e più importanti, come quelli sopradetti.
PASQUALE ALMIRANTE





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