Concorso DS: Stampa a confronto
Data: Martedì, 02 febbraio 2010 ore 12:07:47 CET
Argomento: Rassegna stampa


Il concorso dei presidi e la beffa della legalità Repubblica 28 gennaio 2010 pagina 1 sezione: PALERMO PROVATE a chiedere a un preside se lui sia per la legalità. Vi risponderà sgranando gli occhi: certo che lo è. Se non lo è lui, che guida una scuola dove si pretende il rispetto del regolamento e si insegna l' importanza delle leggi, chi dovrebbe esserlo? Eppure mi torna in mente un personaggio raccontato in un magnifico articolo da Indro Montanelli: il soldato Rapisarda. Chi era Rapisarda? Era un appuntato siciliano, mandato a combattere sul fronte greco-albanese. Un perfetto lavativo, raccontò Montanelli, riluttante a esporsi ai pericoli della trincea, che nobilitava questa sua renitenza dicendo di non voler sparare contro i greci, che a lui non avevano fatto nulla di male. «Ma un giorno che in trincea dovette far capolino, fu colpito di striscio alla guancia da una scheggia di mortaio. Greco. Rapisarda si terse il sangue della ferita, poco più che uno sgraffio, si guardò la mano,e con aria niente affatto impaurita, ma tra stupefatta ed indignata, esclamò: "A mia!?". Da quel momento il lavativo scomparve, ed al suo posto subentrò una specie di kamikaze che dichiarò ai greci una sua guerra personale». Ecco, quando leggo di quei presidi che stanno facendo il diavolo a quattro pur di evitare di ripetere un concorso che è stato annullato dai giudici amministrativi per le evidenti irregolarità riscontrate, mi torna in mente il soldato Rapisarda. NON perché siano lavativi. Ma come Rapisarda non aveva nulla contro i greci, loro non hanno nulla contro la legalità, anzi. Eppure il giorno che la giustizia minaccia la loro carriera, gridano: «A mia?!». E cominciano a sparare contro i giudici, contro i giornalisti, contro tutti coloro che non riconoscono il loro sacrosanto diritto a mantenere il posto. Mi chiedo: come potranno spiegare domani il valore della legalità ai loro studenti, questi presidi che oggi non la rispettano? Come potranno pretendere dai ragazzi il rispetto delle regole, loro che si porteranno dietro il sospetto di aver vinto un concorso truccato? Non dovrebbero essere loro i primi a pretendere la ripetizione delle prove? Ancora più sbalorditivo è questo agitarsi di deputati, assessori e presidenti che cercano di evitare che la sentenza dei giudici venga rispettata. Dopo aver cercato di far passare una ignobile norma che avrebbe lasciato in carica i 426 vincitori del concorso annullato (fermati, per fortuna, dalla saggia mano del presidente Napolitano), sono tornati alla carica proponendo altre due leggine. Una ammetterebbe al nuovo concorso solo i vincitori e le due ricorrenti, riducendo allo 0,5 per cento il rischio di essere bocciati. Un' altra prevede la ripetizione del concorso, ma non per i vecchi vincitori, che diventerebbero di ruolo per legge. Due beffe, una peggiore dell' altra. Che metterebbero una pietra tombale - un' altra - sul rispetto della legalità in Sicilia. Ma noi, che a questo valore crediamo ancora, non vogliamo rassegnarci. Perché, per fortuna, a Roma c' è ancora un Presidente. - SEBASTIANO MESSINA L' esercito dei presidi rimasti senza cattedra (Dal Corriere) Un verdetto fa perdere il posto a 425 dirigenti Tra i danneggiati anche Domenico Di Fatta, uno dei 5 premiati da Napolitano per l' impegno antimafia MILANO - Ormai da anni Domenico Di Fatta è il preside della scuola elementare «Falcone e Borsellino» di Palermo: nel cuore dello Zen, il posto col più alto tasso criminale della città. È la stessa scuola le cui finestre erano state infrante a pistolettate l' anno scorso, chissà se qualcuno ricorda. In effetti il preside Di Fatta è anche uno dei cinque premiati dal presidente Giorgio Napolitano per l' impegno della sua scuola nella lotta alla mafia. Eppure anche il preside Di Fatta, secondo lo stesso Stato che con una mano l' ha premiato, attualmente è una specie di abusivo da punire con l' altra. Lui e altri 425 presidi di altrettante scuole siciliane come la sua. Che nel 2004 hanno fatto un concorso, lo hanno vinto, hanno mollato i loro precedenti posti da prof, si sono insediati a guidare ciascuno un istituto, hanno controfirmato per tutti questi anni migliaia di atti, promozioni, bocciature, consigli d' istituto. Finché la giustizia amministrativa speciale della Regione Sicilia ha stabilito adesso, cinque anni dopo, con una decisione definita «dirompente» dai suoi stessi autori, che il loro concorso è da rifare. Mezzo migliaio di presidi azzerati, con un effetto potenzialmente a cascata sul destino di non si sa quanti altri. Ma nel frattempo «congelati» sulle loro sedie, quel mezzo migliaio, senza più alcuna identità: trasformati in uno nessuno e centomila «ibridi» pirandelliani, in attesa di nuovo giudizio. Il loro caso è appena finito davanti alla Corte di giustizia europea per i diritti umani. La loro storia è uno spaccato d' Italia e Sicilia che forse non sarebbe spiaciuto a Kafka. Incomincia appunto nel 2004, quando ad affrontare il concorso di Palermo si presentano in millecinquecento: lo passano in 426. Tra loro c' è il professor Giovanni Lutri, oggi preside del liceo classico «Michele Amari» di Giarre. Racconta: «Superato il concorso siamo stati destinati, un po' per volta, alle varie scuole sparse nella Regione». Graduatorie definitive, i «nuovi» presidi un po' alla volta si insediano. Tutti contenti tranne due. Le professoresse Giuseppina Gugliotta e Maria Antonietta Cucciniello. Due dei mille che il concorso purtroppo lo avevano perso. Fanno ricorso al Tar: niente da fare. Ne fanno un altro: respinte di nuovo. Intanto gli anni passano. La «Cassazione» amministrativa dello Statuto speciale siciliano, cioè quella cosa che per il resto d' Italia è il Consiglio di Stato, qui è un collegio particolare che si chiama «Consiglio per la Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia». Inappellabile. È lì che le professoresse Gugliotta e Cucciniello, con i loro avvocati Caterina Giunta e Maria Diliberto, vanno a giocarsi la loro ultima carta. E stavolta - siamo all' oggi - addirittura stravincono: pur senza avere ancora, paradosso nel paradosso, niente di certo da festeggiare. Perché il collegio dei giudici Riccardo Virgilio e Chiarenza Millemaggi Cogliani non si è limitato a occuparsi di loro: ha annullato l' intero concorso. Con questa motivazione: la commissione esaminatrice si era divisa in due sottocommissioni conservando un unico presidente per entrambe. «A niente è valso far notare - come spiega il legale del preside Lutri e di molti altri suoi colleghi, l' avvocato Sebastiano Licciardello - che questa è la prassi vigente in tutta Italia per i concorsi con oltre 500 candidati». E l' Amministrazione, cioè l' Ufficio scolastico regionale, non ha avuto scelta: nelle scorse settimane ha spedito a tutti i presidi una lettera per dir loro di ritenersi «decaduti», perché il loro concorso è stato annullato, ma di considerarsi comunque «in servizio» - perché non si possono lasciare centinaia di scuole senza preside - finché il concorso stesso non sarà rifatto. Loro hanno già presentato a loro volta un ricorso al Tar: non contro l' inappellabile decisione del Cga bensì contro l' Amministrazione scolastica, per le modalità con cui l' ha applicata. E l' altro giorno il Tar ha bloccato tutto: stallo. Forse tutti e millecinquecento dovranno rimettere le vecchie prove in nuove buste anonime, da riesaminare. O rifare proprio tutto. Non si sa. In attesa che l' ulteriore ricorso presentato dall' avvocato Licciardello alla Corte di giustizia europea abbia una risposta. Il preside Domenico Di Fatta allarga le braccia: «Vedo qualcuno di noi ex vincitori che ora potrebbe perdere, e naturalmente farà ricorso a sua volta. Vedo presidi che torneranno a rivendicare il loro vecchio posto da prof: e per ciascuno di loro ci sarà un prof precario che perderà il proprio. Con altri ricorsi. Vedo un valzer che durerà anni. Serviva davvero anche questo alla scuola italiana?». L' unica concreta speranza per l' armata dei quattrocento è oggi pendente in Senato sotto forma di proposta da inserire nel decreto «milleproroghe»: si chiamerebbe sanatoria. Un' altra. Per consentire ancora una volta allo Stato di mettere una pezza a se stesso. Paolo Foschini Annachiara Sacchi





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