La nota del nostro direttore sul quotidiano "La
Sicilia" sulla Riforma Gelmini
Renato G. Bonaccorso
r.bonaccorso@cannizzaroct.it
La commissione cultura ha approvato i regolamenti della riforma
del secondo ciclo d’istruzione e nonostante le bordate di tutti i navigli
della scuola (sindacati, associazioni, comitati, ecc.) e le salve
dei brigantini istituzionali (Consiglio di stato e Consiglio nazionale
della P.I.) terranova è ormai vicina e appena il Senato si pronuncerà,
sbarcherà al Consiglio dei ministri e quindi in Gazzetta ufficiale.
Ciò che non riuscì ad ammiragli illustri è riuscito a Gelmini
che scaglia granate contro le opposizioni, ree di boicottaggi. Che
è una posizione legittima, ma se si guarda dall’altra riva si potrebbe
dire la stessa cosa, visto che prima si sono stanziati i soldi per
la riforma e poi si è costruita, con procedura singolarmente opposta
alla progettazione di una nave che deve affrontare i flutti.
Infatti prima nacque la legge finanziaria 133/08, che impone al
Miur il taglio di 8 miliardi di euro entro il 2011 a spese di circa 140
persone tra Ata e docenti, e poi si edificò la riforma che molti amano
chiamare Tremonti-Gelmini. Ma non è solo questa la più evidente
falla. Manca quel biennio comune tra licei, professionali e
tecnici che possa consentire a chi sbaglia indirizzo di potere cambiare
senza grossi traumi, mentre si nota una impronta ancora
gentiliana allorché, come rileva anche il Cnpi, i licei hanno l’obiettivo
di «fornire ai giovani gli strumenti culturali e metodologici per
una comprensione approfondita della realtà»; mentre i tecnici e
i professionali sono organizzati sulla base del saper fare con riferimento
a «risultati di apprendimento declinati in competenze
spendibili».
Sicuramente in tempi di concorrenza globale e di sbarchi clandestini
il pensiero deve essere diviso dall’azione e per manovrare
un tornio la filosofia del 900 non è necessaria, benché la comprensione
della realtà per giudicare e scegliere ama un minimo di
sapienza, come la storia della musica una certa conoscenza tanto
che è stata cancellata ignorando che siamo la Patria del bel canto.
Anche da qui forse nasce la norma voluta dal ministro del Lavoro,
Sacconi, che consente a 15 anni di «integrare formazione e
lavoro nello speciale apprendistato disciplinato in funzione dell’assolvimento
del diritto-dovere ai 12 anni di apprendimento».
L’opposizione l’ha contestata, ma con bombarde ideologiche, dice
Sacconi, come se la sua norma avesse polvere da sparo differente.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)