La riforma della secondaria superiore costruita dentro i tagli della finanziaria
Data: Mercoledì, 20 gennaio 2010 ore 19:00:00 CET
Argomento: Opinioni


Quello che non riuscì al prof. Luigi Berlinguer, al linguista Tullio De Mauro, alla manager Letizia Moratti è riuscito all’avv. Mariastella Gelmini: la riforma della secondaria superiore. Dopo il filosofo Giovanni Gentile, a distanza di circa 90 anni, ecco una delle ministre con meno titoli accademici della storia d’Italia firmare una riforma importante che porterà il suo nome nei secoli dei secoli. Ciò che tuttavia si dimentica con  troppa facilità è il fatto che tutto l’impianto riformista ha procedura inversa rispetto alla prassi più consolidata, nel senso che prima si fa il progetto e poi si stanziano le somme; nel nostro caso prima è stata stabilita la somma, a togliere sulla base della Legge finanziaria 2008 e licenziando personale, e poi dentro questo vuoto si è costruita la struttura. Questa prima considerazione fa pensare che il vero demiurgo sia stato più il ministro della economia che quello della istruzione. Fra l’altro per farla passare nel modo più indolore possibile si sono messe in campo i bulldozer mediatici più disparati: fannullonismo e pressappochismo dei docenti, scuola come ammortizzatore sociale, precariato come piaga sociale,  troppo tempo scuola, complicazione dei percorsi, sindacalismo esasperato, snellimento e razionalizzazione, impreparazione e ignoranza degli alunni. Tutta questa pioggia di accuse ha consentito pure di stravolgere uno dei punti cardini che da sempre ha sostenuto tutti i tentativi di riforma della scuola: un biennio comune a tutti gli indirizzi per evitare che gli eventuali iniziali fallimenti dei ragazzi, in uscita dalla secondaria inferire, fossero irreversibili. Anche la Moratti aveva previsto le famose passerelle affinché un ragazzo potesse passare da un percorso all’altro senza perdere un solo anno. Ignorato del tutto questo principio, l’impianto Gelmini-Tremonti va però ancora più a fondo, separando sempre di più i profili  culturali tra licei e tecnici e professionali. Un elemento questo che lo stesso Consiglio della p.i. ha censurato per la evidente discrepanza culturale e per una netta impostazione della istruzione di tipo classista, ancora gentiliana, visto che i licei hanno l’obiettivo di “fornire ai giovani gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà”; mentre i tecnici e i professionali sono organizzati sulla base del saper fare con riferimento a “risultati di apprendimento declinati in competenze spendibili”. All’interno poi della istruzione liceale si è fatto piazza pulita della storia delle musica, mentre nei tecnici da un lato si parla di esperienza laboratoriale e dall’altro non sembra siano stati previste somme per implementarla, mentre il corso informatico decade del tutto, come ha denunciato perfino l’ex ministro Poli Bortone. Ma si vedrà pure che fine faranno i lettori di madre lingua straniera nei turistici che sono condannati alla scomparsa, a meno che le scuole non li finanzino: ma con quali fondi? All’interno di questa logica appaiono pure i comitati “tecnico-scientifici” per i tecnici e i professionali e solo “scientifici” per i licei, che dovrebbero sovrapporsi al Consiglio di Istituto, e i dipartimenti per materia al posto dei collegi dei docenti. Anche su questi punti il Cnpi si è espresso in modo negativo per il rischio sotteso che entrando a scuola elementi esterni, mondo del lavoro e imprese, si possa snaturare l’autonomia scolastica su cui da un decennio a questa parte si è fatto leva. All’interno di questo meccanismo la riforma prevede inoltre quote del 20% - 30% da dedicare a istruzioni particolari e funzionali al territorio e alla richiesta dell’utenza, senza però superare la soglia delle 27 ore per i licei e dei 32 settimanali per i tecnici e i professionali e sempre senza l’aggiunta di un solo centesimo ai costi, tenendo come bussola e punto di riferimento la legge finanziaria dalla cui costola la riforma è nata. Ma cosa dice esattamente la legge 133/08? Impone al Miur il taglio di 8 miliardi di euro entro il 2011. E siccome l’unica voce possibile da eliminare sono gli stipendi dei professori, per i quali il ministero spende il 97% delle sue risorse, devono andare via 140 mila persone tra docenti e Ata. Proprio all’interno di questo vuoto è stata innalzata la riforma Gelmini della scuola.  

 

PASQUALE ALMIRANTE

 







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