RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO - ADHD: CURA O MERCATO?
Data: Martedì, 12 gennaio 2010 ore 19:05:39 CET
Argomento: Rassegna stampa


L’attivazione di un Registro nazionale ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder), istituito dal Ministero della Salute su mandato dell’Agenzia del farmaco (Aifa), e il ritorno sul mercato del metilfenidato (Ritalin) hanno creato un ginepraio ad ogni livello di competenze. Ciò è comprensibile dal momento che la spinosa questione riguarda i bambini e la necessità di cura con uno psicofarmaco. Entrano così in gioco questioni diverse, da un lato etiche relative alla liceità della somministrazione di farmaci ai minori, dall’altro concrete connesse a un possibile inadeguato adattamento psicosociale, con l’ipotesi di ricadute negative sulla qualità della vita del bambino di oggi e dell’adulto che sarà domani qualora la questione non venisse affrontata e risolta.

            Non indifferente comunque una questione che sta a monte e che riguarda i termini di identificazione della sindrome. In base all’opinione di alcuni, infatti, gli estremi per la definizione della stessa sono alquanto confusi e soggetti a letture tanto diverse da metterne in dubbio l’esistenza stessa. Occorre ricordare che, ad oggi, mentre c’è chi sostiene che l’ADHD sia legato a problemi biologici e chimici, c’è chi sostiene invece che sia il risultato di una complessa interazione di fattori fisici, sociali, culturali ed economici. Entrambe le parti portano avanti le loro affermazioni con la stessa fermezza e pubblicano le loro evidenze sulle medesime riviste scientifiche.

            Cosa fare dunque? Da che parte schierarsi? Dire di sì all’uso del farmaco anche in presenza dei dubbi di cui sopra ovvero opporvisi con fermezza? La decisione è tutt’altro che semplice e una posizione di equilibrio difficile da trovare. Prima di tutto è presumibilmente utile cercare di capire a fondo la questione e astenersi da ogni giudizio di valore prima di averla valutata da ogni prospettiva.

 

Caratteristiche comportamentali

I bambini affetti da ADHD tendono a manifestare alcuni comportamenti facilmente riconoscibili specie se contemporaneamente presenti. Essi sono stati individuati ed elencati nel DSM-IV (quarta versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali): sono bambini che appaiono tendenzialmente distratti e inopportuni; in particolare, mostrano scarsa cura per i dettagli, tendono a non ascoltare quando si parla con loro, a non seguire le istruzioni, a non portare a termine le attività. Al tempo stesso, hanno una certa difficoltà ad organizzarsi e cercano di evitare le attività che richiedono attenzione sostenuta, perdono gli oggetti e si lasciano facilmente distrarre da stimoli esterni. Sull’altro versante si mostrano irrequieti, non riescono a stare fermi, in classe si alzano spesso quando non dovrebbero, corrono o si arrampicano. Hanno difficoltà a giocare tranquillamente e appaiono come attivati da un motorino. Parlano eccessivamente. Rispondono prima che la domanda sia stata completata, fanno fatica ad aspettare il proprio turno, interrompono o si intromettono nelle attività di coetanei o adulti.

 Il protocollo di intervento in Italia

Nella situazione odierna il ricorso al farmaco pare sia tutt’altro che immediato. Una volta accertata la presenza della sindrome, infatti, il primo intervento (a cura del Centro territoriale di neuropsichiatria infantile che peraltro si è occupato anche della diagnosi) è di tipo psicocomportamentale, ed è diretto tanto al bambino quanto alla famiglia e agli insegnanti. Dopo questa prima fase, generalmente si risolve l’80% dei casi. La parte restante è costituita da bambini che continuano a manifestare i segni della sindrome in almeno tre contesti di vita, solitamente in famiglia, a scuola e nel gruppo dei pari. Solo su questi bambini viene considerata, da parte degli esperti, la possibilità di somministrazione del farmaco in associazione alla terapia psicocomportamentale già precedentemente avviata. Durante questa fase i bambini dovrebbero essere attentamente monitorati al fine di testare la loro tolleranza al farmaco ovvero il grado di efficacia su ogni singolo caso. E se, confidando in un naturale sviluppo dei processi maturativi (di inibizione e controllo) che caratterizzano i normali percorsi di crescita dell’individuo, si decidesse di attendere una spontanea risoluzione del problema non adottando alcuna forma di intervento? Cosa accadrebbe? Beh, in questo caso si tratterebbe dell’assunzione di una responsabilità non meno gravosa della precedente. Un bambino ADHD infatti adotta delle modalità di comportamento che compromettono seriamente una serena convivenza con gli altri. Il suo diffuso disadattamento potrebbe scatenare una serie di inevitabili reazioni che perpetuerebbero dei meccanismi tali da accrescere l’isolamento sociale e la formazione di una bassa autostima che, congiuntamente, stanno alla base di possibili esiti psicopatologici di una certa gravità.

 I creatori delle malattie: un dissenso dai contorni inquietanti

 I giornali che si sono occupati del reinserimento dei farmaci nella cura dell’ADHD parlano quasi sempre di Ritalin anche se, in effetti, pare non sia l’unico farmaco deputato alla presunta cura della sindrome. Al suo fianco, infatti, l’Adderal, anch’esso appartenente alla famiglia delle anfetamine (si tratta quindi di “droga”) e lo Strattera che è invece una sostanza di sintesi. La crescente controversia sulla natura e sull’entità del disturbo, d’altronde, non ha certo rallentato l’utilizzo dei farmaci per curarlo. Gli studiosi del fenomeno affermano a tal proposito che, a partire dal 1990 e per il decennio successivo, la produzione del farmaco sia aumentata dell’800% e la sua somministrazione estesa a bambini sempre più piccoli.

            L’inquietudine generale cresce ma non certo per questo le case farmaceutiche pensano di arrestare la loro promozione di medicinali che facciano concorrenza al famigerato Ritalin. E, particolare inquietante, la promozione non si limita al farmaco ma cresce a dismisura, arrivando ad estendersi alla malattia stessa. Per muoversi in tale direzione le case farmaceutiche hanno dovuto pensare a vere e proprie strategie di marketing e stringere quindi alleanze con associazioni di pazienti. Queste ultime hanno fornito un più o meno consapevole servizio ai loro sponsor adoperandosi a dipingere un quadro di un disturbo ritenuto curabile al meglio con i farmaci. Facendo ciò tale disturbo ha acquisito un volto concreto. Non si sta in questa sede cercando di demonizzare le Associazioni che, fornrndo appoggio a migliaia di membri e alle loro famiglie, svolgono un ruolo prezioso, tuttavia rendono un altrettanto prezioso servizio alle case farmaceutiche loro sponsor, contribuendo a diffondere e fortificare un’idea ben precisa di un disturbo che continua comunque a restare controverso.

            È anche vero che pochi potrebbero contestare l’esistenza di bambini con sintomi debilitanti e acuti di iperattività, mancanza di attenzione o impulsività che trarrebbero un certo beneficio da un’etichetta e cure mediche seguite da una eventuale assunzione di farmaci. Non c’è lo stesso accordo però in merito a quale sia il modo più consono per definire o fronteggiare i problemi di molti bambini che non riescono a stare tranquillamente seduti o che si distraggono con estrema facilità. A causa dell’incertezza e del disaccordo sulla natura di questo disturbo, le stime citate di bambini potenzialmente affetti variano enormemente e, al modificarsi dei criteri necessari ad un loro eventuale inquadramento, continuano a variare.

            Quanto detto non vuole negare gli effetti positivi che le anfetamine riescono ad apportare sull’attenzione e la concentrazione, peccato che tali effetti si manifestano non solo su bambini e adulti ai quali viene diagnosticato il disturbo, ma praticamente su chiunque, finanche sui cavalli…

            Perché il mercato poi non si saturi via via che i bambini crescono uscendo dal quadro delineato, pare si stia diffondendo una nuova malattia chiamata “disturbo da deficit attentivo negli adulti”. Da alcune stime emerge addirittura che esistono già otto milioni di potenziali pazienti adulti negli USA! In effetti, come avrebbero potuto le case farmaceutiche non valutare che i bambini rimangono tali solo per circa un decennio, laddove la durata della potenziale assunzione di farmaci da parte di un adulto è indubbiamente più lunga? Tale notizia è apparsa su Attention, una rivista scientifica che, guarda caso, viene sponsorizzata dalle case farmaceutiche. Anche l’introduzione di questa nuova sindrome fa vagamente pensare ad un’azione di marketing attentamente mirata.

            I messaggi promozionali vengono mascherati da campagne di sensibilizzazione, spesso delicate e discrete, salvo poi essere lanciati come enormi reti in fondo all’oceano, proprio là dove una moltitudine di pesciolini inesperti resteranno intrappolati. Gli strumenti divulgativi si traducono in massicce campagne pubblicitarie, corsi di formazione professionale per medici e campagne di pubbliche relazioni a uso dei media. E così, campagne volte all’aumento della consapevolezza in realtà altro non fanno che trasformare la consapevolezza, forgiandola secondo necessità e qualcuno, improvvisandosi Padre eterno, può fregiarsi di aver creato nuove malattie.







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