IL DIRETTORE
GENERALE
(Guido Di Stefano)
Borsellino
nasce a Palermo il 19/1/1940.
La famiglia vive e vivrà in un quartiere borghese di Palermo: la
Magione. Borsellino è molto attaccato a questo quartiere dove ha
trascorso tutta la giovinezza. Ambedue i genitori erano farmacisti.
Al momento dello
sbarco degli alleati in Sicilia la madre di Borsellino vieta ai figli di
accettare qualsiasi dono dai soldati americani. "La Patria è sconfitta,
i sacrifici sono stati inutili, non c’è da essere felici..." è una delle
frasi della madre di Borsellino in quel momento. Queste vicende e i
racconti di "Zio Ciccio", reduce della Campagna d’Africa, gli suscitano
curiosità sulle vicende del periodo fascista, di cui la sua famiglia è
stata protagonista.
Anche il rapporto
con i figli è molto forte. Cerca di proteggerli dalla realtà che è
intorno a lui e, nello stesso tempo, di trasmettergli il proprio modo di
essere e di agire.
Un episodio per
comprendere la fatica e la difficoltà di questo rapporto lo si può
trovare nel momento in cui, in piena attività antimafia, Borsellino
viene trasferito con Falcone sull’isola dell’Asinara per motivi di
sicurezza. Fiammetta, figlia di Borsellino, sta male, viene allontanata
dall’isola è malata di anoressia. La veglia la notte e cerca di aiutarla
in tutti i modi. Per tutta la sua esistenza quel senso di protezione,
quel senso di colpa per aver provocato problemi così grandi alla sua
famiglia e, soprattutto, la volontà di stare vicino a sua figlia non
lo abbandoneranno mai.
L'Università
Dopo avere
frequentato il Liceo classico "Meli" si iscrive alla facoltà di
giurisprudenza di Palermo. All’Università, nel 1959 Borsellino si
iscrive all’organizzazione FUAN Fanalino. Membro dell’esecutivo
provinciale, delegato al congresso provinciale, viene eletto come
rappresentante studentesco nella lista del Fuan Fanalino. In questi anni
l’attività politica lo prende molto e riesce a conciliare politica e
studio senza grossi problemi.
Il 27 giugno 1962,
all'età di appena 22 anni, Borsellino si laurea con 110 e lode e, pochi
giorni dopo, subisce la perdita del padre. Ora è affidato a lui il
compito di provvedere alla famiglia. Si impegna con l’ordine dei
farmacisti a tenere la farmacia del padre fino al conseguimento della
laurea in farmacia di sua sorella. Tra piccoli lavoretti e le
ripetizioni Borsellino studia per superare il concorso in magistratura.
Ci riesce nel 1963.
Fare il magistrato
a Palermo ha un senso profondo, non è una professione qualunque. L’amore
per la sua terra, per la giustizia gli danno quella spinta interiore che
lo porta a diventare magistrato senza trascurare i doveri verso la sua
famiglia.
Il Magistrato
Nel 1965
Borsellino viene mandato al tribunale civile di Enna come uditore
giudiziario.
Nel 1967 ha il
primo incarico direttivo, Pretore a Mazara del Vallo nel periodo del
dopo terremoto.
Il 23 dicembre del
1968 Borsellino si sposa, continua a lavorare a Mazara facendo avanti e
indietro da Palermo, anche più volte al giorno.
Nel 1969 viene
trasferito alla pretura di Monreale dove lavora fianco a fianco con il
capitano dei Carabinieri Emanuele Basile.
Nel 1975 Borsellino viene
trasferito al tribunale di Palermo e a luglio entra all’Ufficio
istruzione processi penali
sotto la guida di Rocco Chinnici.
Con il Capitano Basile lavora alla
prima indagine sulla mafia e da questo momento comincia il suo impegno
senza sosta per sconfiggere l’organizzazione mafiosa.
Nel 1980 arriva
l’arresto dei primi sei mafiosi. Nello stesso anno il capitano viene
ucciso in un agguato. Per la famiglia Borsellino arriva la prima scorta
con le difficoltà che ne conseguono. Da questo momento il clima in casa
Borsellino cambia e il giudice stesso deve relazionarsi con "quei
ragazzi" che gli sono sempre a fianco e che cambieranno per sempre le
abitudini sue e della sua famiglia.
Il suo modo di
fare, la sua decisione influenzano il "sentire" dei suoi familiari.
Dalle parole della moglie, ancora, si può comprendere il rispetto e la
sofferenza che si alternano nei loro cuori: "...Il suo modo di
esercitare la funzione di giudice lo condivido perché anch’io credo nei
valori che lo ispirano....Non penso mai, per egoismo, per desiderio di
una vita facile di ostacolarlo....Non è stato un sacrificio immolare la
sua vita al mestiere di giudice: ama tantissimo cercare la verità,
qualunque essa sia."
La scorta
costringe il giudice e la sua famiglia a convivere con un nuovo
sentimento: la paura.
E’ così che
Borsellino ne parla e la affronta: "La paura è normale che ci sia, in
ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna
lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti
impedisce di andare avanti."
Il
Pool Antimafia
Il Pool
comprende quattro magistrati. Falcone, Borsellino e Barrile lavorano uno
a fianco all’altro, sotto la guida di Rocco Chinnici. Si intravede
e, lentamente, si instaura un legame comunitario tra i giudici che
appartengono al pool.
E’ nei giovani la
forza su cui contare per cambiare la mentalità della gente e i
magistrati lo sanno. Vogliono scuotere le coscienze e sentire intorno a
sé la stima della gente. Sia Falcone sia Borsellino hanno sempre cercato
la gente. Borsellino comincia a promuovere e a partecipare ai dibattiti
nelle scuole, parla ai giovani nelle feste giovanili di piazza, alle
tavole rotonde per spiegare e per sconfiggere una volta per sempre la
cultura mafiosa.
Fino alla fine
della sua vita Borsellino, nel tempo che gli rimane dopo il lavoro,
cercherà di
incontrare i
giovani, di comunicargli questi nuovi sentimenti e di renderli
protagonisti della lotta alla mafia.
Parallelamente
continua il lavoro nel pool. Questa squadra funziona bene, ma si
comprende che per sconfiggere la mafia il pool, da solo, non è
sufficiente. Si chiede la promozione di pool di giudici inquirenti,
coordinati tra loro ed in continuo contatto, il potenziamento della
polizia giudiziaria, l’istituzione di nuove regole per la scelta dei
giudici popolari e di controlli bancari per rintracciare i capitali
mafiosi. I magistrati del pool pretendono l’intervento dello stato
perché si rendono conto che il loro lavoro, da solo, non basta.
Borsellino lavora senza sosta,
firma provvedimenti, indaga, ascolta con dedizione e responsabilità. Per
questo Chinnici scrive una lettera al presidente del tribunale di
Palermo per sollecitare un encomio nei confronti suoi e di Giovanni
Falcone, importante per eventuali incarichi direttivi futuri. A
proposito di Borsellino così scrive Chinnici: " Magistrato degno di
ammirazione, dotato di raro intuito, di eccezionale coraggio, di non
comune senso di responsabilità, oggetto di gravi minacce, ha condotto a
termine l’istruzione
di procedimenti a carico di
pericolose associazioni a delinquere di stampo mafioso". L’encomio
richiesto, non è mai arrivato.
Poi il dramma.
Il 4 agosto 1983 viene ucciso il giudice Rocco Chinnici con
un’autobomba. Borsellino è distrutto dopo Basile anche Chinnici
viene strappato alla vita e il vuoto si fa sentire molto. Ancora la
moglie di Borsellino racconta il legame di Borsellino con Chinnici: "Con
Rocco, mio marito ha un rapporto di amicizia e di fiducia intensa e
reciproca. Una collaborazione durata tanti anni, fondata sulla massima
intesa...per Paolo la sua uccisione è un altro dolore atroce...".
Il "capo" del
pool, il punto di riferimento, viene a mancare e si ha l’impressione che
la mafia, questa entità che tutto vede e tutto osserva, abbia ben
compreso lo spirito ed il nuovo modo di lavorare dei giudici siciliani.
Borsellino con molta preoccupazione commenta: "La mafia ha capito tutto:
è Chinnici la testa che dirige il Pool".
A sostituire
Chinnici arriva a Palermo il giudice Caponnetto e il pool, sempre più
affiatato continua nell’incessante lavoro raggiungendo i primi risultati:
"Sentiamo la gente fare il tifo per noi". Il Pool non vuole sentirsi
solo, cerca lo Stato e i cittadini, vuole una mobilitazione generale
contro la mafia.
Nel 1984 viene
arrestato Vito Ciancimino e si pente Buscetta, Borsellino sottolinea in
ogni momento il ruolo fondamentale dei pentiti nelle indagini e nella
preparazione dei processi.
Comincia la
preparazione del Maxiprocesso e viene ucciso il commissario Beppe
Montana . Ancora sangue, per fermare le persone più importanti nelle
indagini sulla mafia e l’elenco dei morti è destinato ad aumentare. Il
clima è terribile Falcone e Borsellino vengono immediatamente
trasferiti all’Asinara per concludere le memorie, predisporre gli atti
senza correre ulteriori rischi.
All’inizio del
maxiprocesso l’opinione pubblica inizia a criticare i magistrati, le
scorte e il ruolo che si sono costruiti.
Paolo Borsellino
chiede il trasferimento alla Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Marsala per ricoprire l'incarico di Procuratore Capo. Il
Consiglio Superiore della Magistratura, con una decisione storica e
non priva di strascichi polemici - si veda l'articolo di Leonardo
Sciascia sui "Professionisti dell' antimafia" - accoglie la relativa
istanza sulla base dei soli meriti professionali e dell'esperienza
acquisita da Paolo Borsellino negando per la prima volta validità
assoluta al criterio dell'anzianità. Sicché il 19.12.1986 Paolo
Borsellino prende servizio a Marsala dove per cinque anni guiderà una
delle Procure più impegnate sul fronte della lotta alla criminalità
organizzata. Al centro (Palermo) Falcone e a Marsala Borsellino in modo
da scoprire tutti i collegamenti esistenti tra la mafia di Palermo e
quella della provincia. Nel corso di questo quinquennio, denso di
scottanti inchieste giudiziarie e numerose soddisfazioni personali,
Paolo Borsellino è dapprima nominato Segretario provinciale della
corrente di Magistratura Indipendente, e, successivamente, Presidente
nazionale dell'Associazione Nazionale Magistrati. Vive in un
appartamento nella caserma dei carabinieri per risparmiare gli uomini
della scorta. In suo aiuto arriva Diego Cavaliero, magistrato di prima
nomina, lavorano tanto e con passione. Sempre fianco a fianco,
Borsellino è un esempio per il giovane, non si risparmia mai. Teme che
la conclusione del maxiprocesso attenui l’attenzione sulla lotta alla
mafia, che il clima scemi e si torni alla normalità. Per questo
Borsellino cerca la presenza dello Stato, incita la società civile a
continuare le mobilitazioni per tenere desta l’attenzione sulla mafia e
frenare chi pensa di poter piano piano ritornare alla normalità.
Invece, il clima
comincia a cambiare. Il fronte unico
che aveva portato
a grandi vittorie della magistratura siciliana e che aveva visto
l’opinione pubblica avvicinarsi agli uomini in prima linea e stringersi
intorno a loro, comincia a cedere.
Nel 1987 Caponnetto è costretto a
lasciare la guida del Pool a causa di motivi di salute. Tutti a Palermo
aspettavano la nomina di Falcone al suo posto,
anche Borsellino è ottimista. Presto, però, si rende conto che il CSM
(Consiglio superiore della magistratura) non è dello stesso parere e si
diffonde il terrore di veder distruggere il Pool. Borsellino scende in
campo e comincia una vera e propria guerra, parla ovunque e racconta
cosa stia accadendo alla procura di Palermo; sui giornali, in
televisione nei convegni, continua a
lanciare l’allarme. A causa
delle sue dichiarazioni Borsellino rischia il provvedimento
disciplinare. Solo Cossiga, Presidente della Repubblica, interviene in
suo appoggio chiedendo di indagare sulle dichiarazioni del magistrato
per accertare cosa stesse accadendo nel palazzo di giustizia di Palermo.
Il 31 luglio il
CSM convoca Borsellino che rinnova le accuse e le sue perplessità.
Il 14 settembre si
pronuncia il CSM Falcone perde e Antonino Meli, per anzianità, prende il
posto che doveva essere suo.
Paolo Borsellino
viene riabilitato, torna a Marsala e riprende a capofitto a lavorare.
Nuovi magistrati arrivano a dargli una mano, giovani e, a volte di prima
nomina. Il suo modo di fare, il suo carisma ed i suo impegno in prima
linea li contagiano; lo affiancano con lo stesso fervore e con lo stesso
coraggio nelle indagini su fatti di mafia. Cominciano a parlare i
pentiti e le indagini su connessioni tra mafia e politica a prendere
forma. Borsellino è convinto che per sconfiggere la mafia i pentiti
abbiano un ruolo fondamentale. Anche i giudici, però, dovranno essere
attenti, controllare
e ricontrollare
ogni dichiarazione, ricercare i riscontri ed intervenire solo quando
ogni fatto possa essere provato. E’ un’opera lunga ma i risultati
non tarderanno ad arrivare.
Da questo momento gli attacchi a
Borsellino diventano forti ed incessanti. Le indiscrezioni su Falcone e
Borsellino sono ormai quotidiane;
si parla di candidature alla
Camera o alla carica di Sindaco. I due magistrati smentiscono ogni cosa.
Comincia, intanto, il dibattito sull’istituzione della Superprocura e su
chi porre a capo del nuovo organismo. Falcone, intanto, va a Roma come
direttore degli affari penali e preme per l’istituzione della
Superprocura. A Palermo era stato isolato, i magistrati del vecchio
Pool vengono ormai assediati all’interno e all’esterno del Palazzo di
giustizia. Per questo si sente la necessità di coinvolgere le più
alte cariche dello stato nella lotta alla mafia. La magistratura da sola
non
può farcela, con Falcone a Roma
si sente di avere un appoggio in più, Borsellino decide di tornare a
Palermo, lo seguono il sostituto Ingroia e il maresciallo
Canale. E’ in prima fila e tenta di ricostruire quel clima che, ai tempi
del Pool, aveva permesso di raggiungere grossi risultati. Così, maturati
i requisiti per essere dichiarato idoneo alle funzioni direttive
superiori - sia requirenti che giudicanti - Paolo Borsellino, pur
rimanendo applicato alla Procura della Repubblica di Marsala chiede e
ottiene di essere trasferito alla Procura della Repubblica di Palermo
con funzioni di Procuratore Aggiunto. Grazie alle sue indiscusse
capacità investigative, una volta insediatesi presso la Procura di
Palermo in data 11.12.1991 è delegato al coordinamento dell'attività dei
Sostituti facenti parte della Direzione Distrettuale Antimafia.
I Magistrati, con
l’arrivo di Borsellino trovano nuova fiducia. A Borsellino vengono tolte
le indagini sulla mafia di Palermo dal procuratore Giammanco, e gli
vengono assegnate quelle di Agrigento e Trapani. Ricomincia a lavorare
con l’impegno e la dedizione di sempre. Nuovi pentiti, nuove rivelazioni
confermano il legame tra la mafia e la politica, riprendono gli attacchi
al magistrato e lo sconforto ogni tanto si manifesta. In una
dichiarazione si può riassumere lo stato d’animo di Borsellino in quel
momento: "Un pentito è credibile solo se si trovano i riscontri alle sue
dichiarazioni. Se non ci sono gli elementi di prova, la sua confessione
non vale nulla. E’ la legge che lo dice...e io sono un giudice che
questa legge deve applicarla. I rapporti tra mafia e politica? Sono
convinto che ci siano. E ne sono convinto non per gli esempi
processuali, che sono pochissimi, ma per un assunto logico: è l’essenza
stessa della mafia che costringe l’organizzazione a cercare il contatto
con il mondo politico. ...è maturata nello stato e nei politici la
volontà di recidere questi legami con la mafia? A questa volontà del
mondo politico non ho mai creduto". Con questa consapevolezza il
giudice, invece di scoraggiarsi, si immerge nel lavoro con ancora più
convinzione, come se la sconfitta della mafia dipendesse solo dal suo
operato e quello dei magistrati che lo circondano.
Intanto a Roma viene finalmente
istituita la superprocura e vengono aperte le candidature; Falcone è il
numero uno ma, anche questa volta, sa che non sarà facile. Borsellino
lo sostiene a spada tratta sebbene non fosse d’accordo sulla sua
partenza da Palermo. Il suo impegno aumenta quando viene resa nota
la candidatura di Cordova. Borsellino esce allo
scoperto, parla, dichiara,
si muove: è di nuovo in prima linea. I due magistrati lottano uno a
fianco all’altro, temono che la superprocura possa divenire un arma
pericolosa se in possesso di magistrati che non conoscono la mafia
siciliana.
Nel Maggio 1992
finalmente Falcone raggiunge i numeri necessari per vincere l’elezione a
superprocuratore. Borsellino e Falcone esultano, ma il giorno dopo
Falcone viene ucciso insieme alla moglie, a Capaci; la mafia sa che in
quel posto il giudice Falcone era troppo pericoloso.
Borsellino soffre
molto, il legame che ha con Falcone è speciale e lui è morto tra le sue
braccia. Tutti i momenti trascorsi insieme, da quelli più belli a quelli
più brutti, gli tornano alla mente.
Dalle prime
indagini nel pool, alle serate insieme, alle battute per sdrammatizzare,
ai momenti di lotta più dura quando insieme sembravano "intoccabili", al
periodo forzato all’Asinara fino al distacco
per Roma. Una vita
speciale, quella dei due amici-magistrati, densa di passione e di
amore per la propria terra. Due caratteri diversi, complementari tra
loro, uno un po’ più razionale l’altro più passionale, entrambi con un
carisma, una forza d’animo ed uno spirito di abnegazione esemplari.
Gli viene offerto
di prendere il posto di Falcone nella candidatura alla superprocura, ma
Borsellino rifiuta, sebbene sia consapevole che quella sia l’unica
maniera che ha per condurre in prima persona le indagini sulla strage di
Capaci. Così risponde al Ministro: "...La scomparsa di Falcone mi
ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi
beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso
evento....". Resta a Palermo, nella procura dei veleni per
continuare la lotta alla mafia, diventando sempre più consapevole che
qualcosa si è rotto, che il suo momento è vicino.
Ad un mese dalla
morte dell’Amico Falcone, tra le fiaccole e con molta emozione
parla di lui, cerca di raccontarlo: "Perché non è fuggito, perché ha
accettato questa tremenda situazione....per amore. La sua vita è stata
un atto d’amore verso questa città, verso questa terra che lo ha
generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per
lui, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a
questa terra qualcosa, tutto ciò che era possibile dare delle nostre
forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa
città e la patria a cui essa appartiene. ..Sono morti tutti per noi, per
gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo,
continuando la loro opera...dimostrando a noi stessi e al mondo che
Falcone è vivo".
Vuole collaborare
alle indagini sull’attentato di Capaci di competenza della procura di
Caltanissetta. Le indagini proseguono, i pentiti aumentano e il giudice
cerca di sentirne il più possibile. Arriva la volta dei pentiti Messina
e Mutolo, ormai Cosa Nostra comincia ad avere sembianze conosciute.
Spesso i pentiti hanno chiesto di palare con Falcone o con Borsellino
perché sapevano di potersi fidare, perché ne conoscevano le qualità
morali e l’intuito investigativo. Continua a lottare per poter avere la
delega per ascoltare il pentito Mutolo. Insiste e alla fine il 19 luglio
1992 alle 7 di mattina Giammanco gli comunica telefonicamente che
finalmente avrà quella delega e potrà ascoltare Mutolo.
Lo stesso giorno
Borsellino va nella casa del mare, a Villagrazia, con la scorta. Si
distende, va in barca con uno dei pochi amici rimasti. Dopo pranzo torna
a Palermo per accompagnare la mamma dal medico e con l’esplosione
dell’autobomba sotto la casa, in via D’Amelio, muore con tutta la
scorta. E’ il 19 luglio del 1992.
La
morte
Borsellino ha un
forte rapporto con la morte; è presente in ogni parte della sua vita.
Teme per gli
altri, per la sua famiglia, per I ragazzi della scorta. E’ molto
protettivo con i suoi collaboratori e con la sua famiglia. Parla spesso
della morte un po’ per scherzarci sopra un po’ per ricordarsi sempre che
non è poi così lontana. "Se muoio adesso, il mio compito l’ho svolto".
Ha visto morire
molte persone, uomini di valore morale ed intellettuale e sa benissimo
di non essere esente da una fine simile. Eppure a volte scherza con la
morte, se ne prende gioco, ci ride sopra con un unico cruccio: quello di
aver preparato i propri figli ad affrontare la vita.
"Non sono né un
eroe né un kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine
perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà
nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il
sopravvento...Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia,
potrei anche morire sereno". |