HEIDEGGER E LA RIFLESSIONE SUL NICHILISMO
Data: Luned́, 28 dicembre 2009 ore 00:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


  Heidegger e il nichilismo
 
Suling Wang

di Ferdinando G. Menga*

 


All’interno della tradizione di pensiero, con il termine nichilismo viene connotata quell’epoca, iniziata con la tarda modernità e il cui tramonto è probabilmente ancora di là da venire, il cui senso complessivo è costituito da una radicale perdita di senso nei confronti del mondo, della verità e dell’orientamento del vivere sociale. In altre parole, nichilismo vuol dire che, da un certo punto in poi nella storia dell’umanità occidentale, del fondamento dell’essere, che sostiene e lega assieme tutte le cose, non ne è più niente.

Heidegger, la metafisica e Nietzsche
Soltanto che è proprio questa connessione fra essere e nulla, ovvero questa perdita del fondamento, a risultare il pensiero più difficile da pensare. Questa è la tesi di fondo sostenuta da Martin Heidegger, allorquando egli, nel criticare la tradizione intera del pensiero, cioè la metafisica, le rimprovera l’incapacità di porsi all’altezza di un tale pensiero. Incapacità che si rivela, poi, tanto più vistosa quanto più, al culmine di tale tradizione, è Nietzsche stesso ad annunciare esplicitamente suddetta connessione attraverso la sentenza: ‘Dio è morto!’.

Partiamo anzitutto dalla necessaria illustrazione della congiunzione che Heidegger opera fra Nietzsche, la metafisica e il nichilismo.
La lettura heideggeriana di Nietzsche si orienta fondamentalmente alla messa in luce della permanenza di quest’ultimo all’interno della tradizione metafisica, vale a dire all’interno di quella pratica di pensiero che, avendo sempre operato nell’ordine della rappresentazione e presentificazione dell’essere, lo ha anche e già sempre ridotto all’ente, cancellandone così l’ulteriorità rispetto al mero piano ontico. Per questo, Heidegger afferma anche che una tale tradizione, che vive della costitutiva tensione verso l’oggettivazione dell’essere, può essere definita anche come storia dell’oblio dell’essere, cioè dimenticanza del fatto che, se si vuole pensare adeguatamente l’essere, bisogna allora cogliere anzitutto che esso non si trova affatto sul piano dell’ente e di ogni determinazionepossibile di ente. L’essere, invece, è esattamente il trascendens puro e semplice rispetto all’ente.

L’immanenza sostituisce la trascendenza
Questo anzitutto, ma non solo, poiché per Heidegger, Nietzsche non resta semplicemente all’interno della metafisica, ma, con la sua posizione nichilista, ne rivela anche il compimento, cioè il dispiegamento massimo delle intime possibilità. E questo dal momento che il suo pensiero, con l’espresso annuncio della morte di Dio, cancella il luogo stesso della trascendenza, precludendo così ogni ulteriore possibilità di conservare una qualsivoglia traccia di ulteriorità dell’essere rispetto al mero piano ontico.
Nietzsche, in effetti, al primato della trascendenza sostituisce definitivamente il predominio dell’immanenza, poiché il nucleo essenziale della sua proposta nichilista si concretizza nel fatto che, di fronte alla scoperta del carattere illusorio di ogni forma di trascendenza a governo e sostegno del vivente, resta una sola possibilità di reazione: che il vivente stesso, a partire da sé, ovvero dalla sua sola volontà di potenza, divenga il fondamento di tutte le cose e il produttore di tutti i valori, compreso quel valore dell’essere, classica prerogativa della trascendenza.
Essendo questo l’esito a cui tende l’assunto nichilistico nietzscheano, si capisce bene allora come, per Heidegger, ciò non possa che rappresentare anche l’assoluto compimento della metafisica, in quanto l’assolutizzazione del piano ontico operata da una tale volontà di potenza comporta inevitabilmente la completa cancellazione della differenza fra essere ed ente.


Dal nichilismo inautentico al nichilismo autentico
Una tale impostazione nichilistica, tuttavia, non determina, per Heidegger, soltanto il compimento della metafisica, ma, a ben guardare, rivela anche un’implicazione ulteriore, che è quella di un occultamento del nichilismo nella sua forma autentica che si dà proprio in un legame essenziale con la logica stessa di donazione dell’essere. Secondo una tale logica di donazione, infatti, il nihil riguarda intimamente l’essere, in quanto è proprio il sottrarsi dell’essere all’ente, ovvero il suo assentarsi che si ritrae nel ni-ente, a donare lo spazio stesso di presenza per l’ontico. Questo è, perciò, il nichilismo pensato in modo autentico: l’avvertimento che il movimento di sottrazione dell’essere, nel mentre stesso dona la presenza all’ente, altro non è che la dinamica del nihil vero e proprio, ovvero il trascendersi dell’essere dall’ente in quanto ni-enti-ficare. Ecco, dunque, l’apice speculativo a cui Heidegger conduce la sua meditazione: l’essere che dona la presenza sottraendosi e tenendosi in sé equivale a dire che l’essere si dà come – ovvero è – il niente.


L’inconsapevolezza metafisica del nichilismo di Nietzsche
In conclusione, è a questa autenticità del nichilismo che il pensiero metafisico di Nietzsche non sarebbe giunto. E questo dal momento che un siffatto pensiero, insistendo sulla produzione di presenza a partire dall’immanenza del vivente, non si sarebbe messo all’altezza di capire che, non la presenza dell’ente, ma il nihil stesso è al cuore dell’essere proprio nel mentre esso la provoca col suo assentarsi. Ma non solo: ciò che un siffatto pensiero inautentico del nichilismo non si sarebbe messo in grado di comprendere è che il nihil riesce a essere tanto più se stesso, cioè assentarsi dell’essere, quanto più resta indisturbato da un pensiero che, permanendo nell’affermazione della presenza, alla fine, nemmeno nota questo assentarsi.
Il nichilismo di Nietzsche si rende colpevole pertanto di una tale inconsapevolezza metafisica che si imbeve di presenza. Il nichilismo di Heidegger, invece, si rivelerebbe autentico proprio in quanto gesto di pensiero che, capace di penetrare nel cuore dell’essere, ne comprende anche la logica, cioè comprende che l’abbandono dell’essere da parte della presenza, in fondo, è il gioco stesso che l’essere conduce per preservarsi indisturbato nel suo stesso essere niente, appunto nihil originario.


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Collabora con la cattedra di Filosofia del Diritto dell’università di Catania. Oltre ad aver pubblicato numerosi saggi su riviste italiane e straniere, è autore della monografia: La passione del ritardo. Dentro il confronto di Heidegger con Nietzsche (Milano, Franco Angeli, 2004).








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