IL PIACERE DI USARE GLI ALTRI:KANT E LA PROSTITUZIONE
Data: Mercoledì, 02 dicembre 2009 ore 00:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Il piacere di usare gli altri. Kant e la prostituzione.

di Yolanda Estes

 
Molti resoconti “liberali”, o libertari, sostengono che da un punto di vista morale la prostituzione è un lavoro come qualsiasi altro. Al contrario io credo che la prostituzione violi il principio di umanità kantiano, perché riflette un’attitudine irrispettosa, espressa nell’uso disinvolto del corpo umano come mero mezzo per ottenere uno scopo. Essa pone un sostituto monetario in cambio di un desiderio e un piacere reciproco: per questo la considero dannosa e moralmente discutibile. Kant identifica soggettività e dignità con una volontà libera che si autodetermina. E la sessualità è uno dei modi attraverso cui si esprime la propria soggettività. Di conseguenza ogni soggetto è, in parte, determinato dalle sue scelte riguardo al sesso.

A volte però il sesso riflette il tentativo da parte di una persona di controllarne un’altra, ricevendo il riconoscimento altrui senza reciprocità, e perciò senza contrarre alcun fastidioso obbligo. Per Kant, sesso sì, ma rispettoso.La sessualità rispetta l’altro quando c’è consenso, desiderio e partecipazione reciproci. Il rispetto richiede che potenziali partner diano un’esplicita, o per lo meno un’implicita, espressione della loro volontà di partecipare all’atto sessuale. Il consenso verbale ne è l’espressione più ovvia, ma da solo non procura alcuna immunità dal disonore morale. Senza una reciprocità di atti e interessi, gli approcci sessuali diventano intrusioni che oscurano la distinzione tra un corpo umano e un oggetto. Se le motivazioni del rapporto sessuale precludono il trattare il partner con rispetto, l’attività sessuale trasforma i partner in oggetti, così violando la loro dignità umana. Mostrare rispetto per il partner vuol dire essere sensibili ai suoi desideri.

Ciò non significa che si debba esaudirli, ma che si deve, per lo meno, prenderli in considerazione. E c’è di più: ci si dovrebbe prendere cura anche degli interessi, dei bisogni e del benessere generale del partner. Senza tali prerequisiti il sesso diventa un’intrusione che oscura la distinzione fra l’essere umano e una cosa, con cui ci appropriamo dell’altro senza riguardo della sua dignità. La dinamica generale della prostituzione presume l’assenza di desiderio reciproco e in quanto tale fallisce nel soddisfare i criteri minimi di relazioni sessuali reciprocamente rispettose.La prostituta usa il proprio corpo come mezzo per guadagnare denaro. Infatti nello svolgere atti sessuali ella non soddisfa un suo desiderio, o comunque ciò non è il suo scopo, e non tiene neppure in conto la sua tollerabilità del sesso nel rapporto che ha con il cliente, il quale a sua volta usa il corpo della prostituta solo come gratificazione sessuale.

Il piacere sessuale è la sua motivazione primaria. Ma il cliente capisce che, in certi casi, qualcos’altro rispetto al desiderio sessuale motiva le azioni della prostituta. Solo un uomo molto stupido crede che una donna lo desideri quando respinge le sue avances sessuali senza un compenso in denaro. D’altro canto la mancanza di interesse del cliente per lei è tanto ovvia nella misura in cui egli accetta le condizioni della prostituta. Molti resoconti liberali sulla prostituzione comparano i desideri sessuali ai bisogni fisici, come la fame, e la prostituzione alla prestazione di un servizio, come quello dei camerieri e dei cuochi di un ristorante. Se questo paragone fosse corretto, l’analogia fra comprare sesso e cenare fuori dovrebbe chiarire gli obiettivi del cliente, ma non è così. Un uomo compra un pasto al ristorante perché è affamato e non ha voglia o tempo o capacità di cucinare.

Con la stessa logica, un uomo userebbe una prostituta per saziare il suo appetito sessuale. Ma l’analogia mostra la sua fragilità nella misura in cui confonde oggetti e soggetti.La prostituta non può essere consumata come un pasto, né offre semplicemente un servizio, come la cameriera, perché c’è in gioco molto di più. Infatti la prostituzione non serve a soddisfare bisogni sessuali: il cliente vuole qualcosa di più di un mero orgasmo, vuole una relazione sessuale con una donna. E spesso con un tipo particolare di donna. Questo però non spiega il fatto che paghi. Forse non è in grado di sedurre. Tuttavia, in maggior parte gli uomini che vanno a prostitute non soffrono questo problema, hanno anzi compagne o mogli. In altre parole, ciò che cercano non è tanto una donna con cui fare sesso, ma un certo tipo di donna.Il cliente cerca un tipo di donnaChe tipo di donna vuole il cliente? F

orse, dal suo punto di vista, iniziare, costruire e mantenere una relazione sentimentale ha un inconveniente: richiede tempo, impegno e soprattutto disponibilità. Il sesso, poi, offre sicuramente piacere, ma può anche comportare delle sfide da cui conseguono ansie e senso di inadeguatezza. I partner sessuali possono soddisfare i nostri desideri, ma vogliono che anche i loro desideri siano presi in considerazione. Mantenere relazioni affettive e sessuali pone il cliente di fronte a esigenze e responsabilità che lui preferirebbe evitare. La prostituta, allora, soddisfa la fantasia del cliente di una donna disponibile quando lui vuole, che per di più scompare appena lui non ne sente più il bisogno. Un cliente cerca una prostituta per evitare quelli che considera gli “inconvenienti” di una relazione stabile. Al contempo, il cliente non si accontenta di ricevere una mera prestazione sessuale. Con il denaro vuole comprare sia il corpo che il sentimento della prostituta: lei deve comportarsi come un’amante che lo desidera.

Come fu notato da John Stuart Mill e Immanuel Kant, e più recentemente dalla teorica femminista Carol Pateman: “I clienti richiedono qualcosa di più che un servizio usuale. Gli uomini non vogliono solamente l’obbedienza delle donne, essi vogliono i loro sentimenti. Tutti gli uomini, eccetto i più brutali, desiderano avere non una schiava forzata ma una donna compiacente, una favorita”. Qui, il resoconto liberale della prostituzione come beneficio reciproco, moralmente neutrale, come accordo razionale tra parti uguali si disintegra. Il cliente nutre desideri contraddittori: compra una prestazione e vuole spontaneità. Di più, il suo desiderio esprime obiettivi moralmente sospetti: infatti quale differenza c’è tra un servizio domandato a una professionista piuttosto che a una serva o a una schiava? La prostituta e il suo corpoNella prostituzione, come nella schiavitù, il desiderio del padrone di ricevere una sottomissione volontaria rimane insoddisfatto: proprio perché l’obbedienza è comprata non ha nulla di spontaneo, è mera finzione.

Recitare la parte della “schiava volontaria” richiede che la prostituta escluda la propria individualità sessuale dall’incontro. Ella vuole preservare l’integrità della sua soggettività e della sua vita personale senza mettere in pericolo il suo accordo con il cliente. Un’attitudine indifferente potrebbe isolare la sua soggettività individuale, ma il cliente si aspetta di più di un “esperto automa”. Spesso l’attività sessuale delle prostitute evoca sentimenti, emozioni e reazioni autonome che minacciano l’illusione. Ogni reazione visibile del suo corpo deve aggiungere qualcosa al desiderio del cliente, non al proprio. La sua ripugnanza non deve apparire a lui come disgusto. Anche l’eventuale piacere, seppur improbabile, minaccia il suo senso di controllo. Per soddisfare il desiderio del cliente senza soccombere alle proprie reazioni, deve distaccarsi da ciò che sta avvenendo, senza tuttavia separarsi completamente dal suo corpo. Ella deve, paradossalmente, disgiungere se stessa dall’“evento corporeo” senza separarsi dalla sua fisicità.

La desensibilizzazione richiesta dalla prostituzione annulla ogni emozione o reazione che minacci il suo artificiale distacco rischiando di renderla partecipe. Ella tenta di annullare la sua presenza all’interno dell’attività sessuale riducendo al minimo le sue reazioni. Conscia della minaccia di sensazioni ed emozioni potenzialmente intense, si aliena dalla carne che prostituisce, presentando lo spettro di un soggetto con una sensibilità che non può permettersi di possedere. Una profonda frammentazione del proprio sé le permette di credere che il suo corpo, che sente la presenza fisica del cliente, non sia il suo “vero” sé. Ella crea un miraggio, fingendo coinvolgimento sessuale, ma quando l’illusione svanisce, attende di reintegrare il suo intoccabile sé reale. Comunque, si tratta di un autoinganno, perché distaccarsi a piacimento dal proprio corpo è semplicemente impossibileL’ingiustizia della prostituzioneSia il cliente che la prostituta tentano di usare l’altro come mero mezzo per raggiungere un fine, senza però riuscirvi, perché i loro fini si contraddicono a vicenda. Entrambi intendono andarsene avendo guadagnato qualcosa, ma ognuno perde più di quanto aveva previsto nell’accordo. Lo scambio sessuale in tale contesto potrà anche essere consenziente, ma in ogni caso dimostra una crudele insensibilità per gli interessi dei partecipanti.

Questo mancato interesse per le persone rende la prostituzione ingiusta dalla prospettiva morale kantiana. Ancora peggio, essa intrappola i partecipanti in una rete di inganni e contraddizioni dalla quale non si può uscire incolumi: è una forma di interazione profondamente distruttiva. La moralità non può essere ridotta a un accordo, a un contratto e a una questione di prezzi di mercato.







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