POPPER E LA TRADIZIONE ANTIMETAFISICA
Data: Lunedì, 16 novembre 2009 ore 00:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Popper e l'antimetafisica

di Roberto Lolli*

Popper e la tradizione antimetafisica

La critica di Karl Raymund Popper (1902-1994) alle inclinazioni metafisiche del pensiero si ritrova sia all’interno delle sue riflessioni epistemologiche sia in quelle politiche. In ciò il filosofo viennese si ritrova già perfettamente all’interno di quell’ambito della filosofia anglosassone nella quale andrà a inserirsi, sino a diventare un giorno baronetto, dopo la fuga dall’Austria nel 1937. Infatti, una lunga tradizione, che va da Ockham fino a John Stuart Mill, vede i filosofi anglosassoni impegnati in una lotta intellettuale per delimitare i confini della scienza e, una volta stabilita questa linea di demarcazione, per applicare alla politica le conseguenze delle premesse fissate a livello gnoseologico-epistemologico. Pertanto, dal punto di vista didattico, affrontare il tema di Popper e l’antimetafisica è una straordinaria occasione per richiamare agli studenti una serie di autori e di temi fortemente correlati.

È soprattutto all’esempio di John Locke che possiamo ricondurre l’iniziativa antimetafisica di Popper. In Locke, infatti, la critica all’innatismo cartesiano nel campo gnoseologico era la necessaria premessa per smantellare le indimostrabili pretese di fondazione dell’autorità politica sul campo del trascendente, quali quelle sostenute da Robert Filmer nel De Patriarcha, manifesto dell’assolutismo tradizionalista: Dio, secondo Filmer, avrebbe donato ad Adamo la sovranità sul mondo e questa sarebbe discesa per rivoli segreti fino alle case regnanti contemporanee, che i popoli lo volessero oppure no. Al contrario, se per Locke non esistono le idee innate non esiste neppure la sovranità innata, ma è solo la costruzione del tutto umana del patto sociale, per altro nelle forme limitate indicate dal Secondo Trattato sul Governo, a fondare l’ordine politico.

La critica alla metafisica dell’antimetafisica: Popper e il Circolo di Vienna

Popper nella sua Logica della scoperta scientifica (1931) contesta alcune premesse a suo giudizio ancora intrise di metafisica che continuavano ad apparire, al di là delle dichiarate intenzioni di segno completamente opposto, anche all’interno delle posizioni neopositiviste del Circolo di Vienna. Secondo Popper, infatti, il paradigma verificazionista dei neoempiristi viennesi – Hahn, Neurath, Carnap, Schlick. tra i principali – contiene elementi che contraddicono la volontà di affermare una ‘visione scientifica del mondo’: non è sufficiente dichiarare di voler liquidare gli aspetti metafisici del linguaggio ordinario per sostituire ad ambigui enunciati i sorvegliati e dettagliati protocolli, se poi la ‘Verità’ continua a essere oggetto che si presume ‘verificabile’ empiricamente sotto forma di ‘corrispondenza’ tra l’asserto di base e il riscontro ‘certificato’ nella realtà esterna. Per quanto inconsciamente – in fondo l’ambiente è ancora freudianamente viennese – all’interno della posizione verificazionista del Circolo di Vienna continua ad agire un supporto alla metafisica cui Popper contrappone un diverso approccio, quello ‘falsificazionista’.

Popper rovescia l’impianto ‘realista’ su cui per secoli si è basata la ricerca scientifica: non è sufficiente verificare in ‘n casi’ che una teoria sia suffragata dall’evidenza empirica se i casi possibili sono anche solamente ‘n+1’, poiché basta quell’unico caso, se difforme, a confutare l’intera teoria. La natura deve invece essere interrogata al contrario, cercando sistematicamente non la ‘verifica’ di una teoria quanto piuttosto la sua ‘falsificazione’. Condizione di ciò è che la teoria sia ‘falsificabile’, ovvero che i suoi enunciati siano almeno potenzialmente confutabili e il compito della ricerca consiste proprio nel trovare i limiti e i punti di crisi della teoria e non solo nel corroborarla. Per questo Popper giudica non scientifiche alcune accreditate teorie, quali la psicanalisi e il marxismo poiché non contengono elementi di falsificabilità o meglio non permettono ai critici di lasciarsi confutare in quanto tendono a interpretare eventi anche in contraddizione tra loro quali prove a sostegno in ogni caso valide.

Più tardi, nel prosieguo della propria carriera, Popper riconoscerà motivi di utilità alle inclinazioni metafisiche del pensiero, specie in Congetture e confutazioni (1972), ricollegandosi alla funzione regolativa assegnata da Kant alle idee metafisiche (Io, Mondo, Dio) nella sezione Dialettica trascendentale della Critica della Ragion Pura: pur essendo gli assunti metafisici non falsificabili e, pertanto, sempre non scientifici, essi costituiscono lo stimolo alla ricerca e un orientamento per l’indagine sulla natura.

La critica al totalitarismo metafisico

Nella riflessione politica che si concretizza ne La società aperta e suoi nemici (1945), la critica alla metafisica di Popper non è affatto sfumata, bensì diventa un impegno di lotta militante: la guerra che si sta combattendo mentre il filosofo compone l’opera si svolge anche tra le sue pagine. Solo che i nemici contro i quali egli rivolge le sue armi sono i pensatori che nel corso della storia si sono resi più di tutti responsabili, a suo giudizio, di avere costruito la struttura delle ideologie autoritarie e totalitarie del presente, vale a dire Platone, Hegel e Marx.

La critica di Popper a Platone rappresenta forse il più grande esempio, nella storia della filosofia, dell’attacco di un pensatore a un proprio predecessore: “Benché io ammiri molte cose nella filosofia di Platone […] non ritengo sia mio compito quello di aggiungere agli altri, innumerevoli, un nuovo atto di omaggio al suo genio. Mi propongo, piuttosto, di smantellare ciò che, a mio giudizio, vi è di nocivo in questa filosofia. È la tendenza totalitaria della filosofia politica di Platone” (La società aperta e i suoi nemici, tr. D. Antiseri, Roma, Armando 1996, p.56). Popper vede nella teoria delle Idee la malta metafisica con la quale si cementa la struttura dell’archetipo degli stati totalitari, la Kallipolis platonica, la Città Perfetta consacrata all’ordine immarcescibile, immutabile e metastorico. Su questo schema si sono sovrapposte nella storia altre utopie, alcune innocue altre terribili prove di ingegneria sociale, quali le tirannidi totalitarie del Novecento. Hegel viene accusato di aver concepito la giustificazione ideologica dello Stato etico e Marx di avere fatto un uso anti-umano della profezia storica, ingabbiando il mobile articolarsi delle vicende umane entro un perimetro di necessità e di ineluttabilità.

Ciò che per Popper accomuna i tre filosofi è stato, soprattutto, l’utilizzo dell’arma metafisica della ‘Verità’ non intesa quale nobile aspirazione umana verso il perfezionamento, ma quale parametro universale per decidere chi debba servire e chi comandare, chi vivere e chi morire. La società aperta, invece, come la scienza falsificazionista, è consapevole dei limiti umani e li tollera proprio perché nessun discorso è vero o falso a priori e, pertanto, è sempre disponibile a riformare se stessa.

*Insegna Filosofia e storia presso il Liceo scientifico 'A. Roiti' di Ferrara. Ha curato con P. Salandini l'opera di storia della filosofia Filosofie nel Tempo, diretta da Giorgio Penzo, 4 voll., Roma, SpazioTre, 2000-2006.







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