Crocefisso e sentanza Ue: se lo stabilissero i docenti?
Data: Mercoledì, 04 novembre 2009 ore 14:29:49 CET
Argomento: Opinioni


Diciamo subito che alla stragrande maggioranza dei ragazzi, presi come sono dalle interrogazioni o dai bullismi, dai panici quotidiani o dalle inefficienze della scuola, non interessa molto che in classe, oltre la cattedra e più in alto, sopra la testa del professore, ci sia il crocefisso. Ma alla maggioranza interessa pure poco che ci sia la lavagna o la carta geografica o il proiettore multi-mediatico o il computer con i laboratori: loro vogliono il voto: sufficiente, maledetto e subito per dedicarsi ad altro. Ugualmente, moltissimi insegnanti, entrando in classe, più che guardare alla parete, in alto sopra la loro testa, osservano in basso, sulla sedia per scoprire eventuali spilli, o sul tavolo per evitare di inficiare le dita con le gomme da masticare abbandonate dappertutto, a parte i controlli dei videofonini che spiano chiunque. Se dunque per una volta si lasciassero da parte le solite accuse, come fa la ministra Gelmini rivolgendosi contro “i giudici ideologizzati della corte europea” che hanno decretato l’esposizione del crocefisso “una violazione dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e una violazione alla libertà di religione degli alunni", forse ci si capirebbe meglio, anche perché il dibattito risale al “68 e a scuola i problemi non mancano. Questo tuttavia non significa che ponendosi la questione, e vista come si è posta, non merita una soluzione, ma la crociata contro l’ideologia che vorrebbe “cancellare la nostra identità” appare esagerata, visto pure che in moltissime scuole mancano pure i banchi e i soffitti talvolta cadono senza preavviso e senza decreti contro l’inopinato crollo. L’esposizione del crocefisso in classe non ha bisogno di sentenze ma solo di un buon governo della scuola, nel senso che potrebbero essere i docenti, in piena autonomia, a stabilire cosa fare. La nostra scuola non può andare avanti a colpi di imperio o di verdetti, ma per alimentazione sapiente di scelte condivise e di decisioni collegiali, anche perché sembrerebbe assurdo che in una materia tanto delicata si intervenga per legge, sia della corte europea e sia domestica. Ogni istituto saprà come regolarsi sulla base della propria utenza e sulla base delle scelte dei propri docenti che ogni giorno vivono la scuola e delle scuola ne assorbono le contraddizioni, più o meno gravi e più o meno tollerabili. Ormai sono anni che gli esperti più innovativi e lungimiranti invogliano le scuole a conquistarsi spazi sempre più ampi di autonomia gestionale, proprio perché ognuna vive una sua particolare, intrinseca avventura locale e territoriale all’interno della quale può sperimentare pure di non mettere crocefissi o di lasciare a una possibile minoranza islamica un’aula per il culto; o di nominare (fondi di istituto permettendo) un docente di altra religione per gli alunni di altra religione: chi lo impedisce? Anche questa presa di posizione forte e generalizzata contro o a favore della sentenza della corte europea di giustizia sembra avere dunque tutto il sapore della polemica per ringalluzzire un dibattito già sopito o per rinfocolare consensi, sfruttando pure i timori della gente per il diverso come quello della metamorfosi kafkiana. Lo sbaglio profondo in problematiche di questa natura ci pare consista nell’esasperare i fatti, nel buttarli subito in contrapposizione fra buoni e cattivi, usando la lavagna della politica anche perché nessuna sentenza mai potrebbe entrare nell’autonomia didattica di una scuola che sceglie, collegialmente, un suo progetto educativo nel quale sia previsto o meno l’esposizione del crocefisso. Ecco dunque cosa ci attenderemmo dalla ministra: non dichiarazioni infuocate come: “il crocifisso rappresenta l`Italia e difenderne la presenza nelle scuole significa difendere la nostra tradizione”, ma inviti alla tolleranza, al dialogo, alla moderazione, alle scelte condivise, in combutta con la democrazia, quella della libera scelta perché libera da condizionamenti. Fra l’altro ciò che nel “68 era spontanea ribellione o insofferente ideologia, oggi è stabilito da una corte europea la cui decisione potrebbe valere anche per tutti gli altri stati membri: quanto tempo potrà ancora la nostra tradizione avere luogo, dopo che tante altre sono state divorate dal noto provincialismo italiano?
PASQUALE ALMIRANTE






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