2 NOVEMBRE 1975: LA STORIA SBAGLIATA DI PASOLINI
Data: Luned́, 02 novembre 2009 ore 09:59:03 CET
Argomento: Rassegna stampa


2 novembre 1975: la storia sbagliata di Pasolini


“Mostrare la mia faccia, la mia magrezza, alzare la mia sola puerile voce, non ha più senso: la viltà avvezza a vedere morire nel modo più atroce gli altri, nella più strana indifferenza. Io muoio, ed anche questo mi nuoce”.

Come una profezia. Nel 1964, Pier Paolo Pasolini pubblicò Poesia in forma di rosa, di cui fa parte La Guinea, poesia dalla quale è tratto lo stralcio da cui siamo partiti.
Più di dieci anni. Più di dieci anni sarebbero passati prima che Pasolini morisse di morte violenta sullo sterrato dell’idroscalo di Ostia.

Come una profezia, ma a metà. Perchè quel modo atroce di morire non generò alcuna “strana indifferenza”. Paura, forse. Paura di andare oltre quello che sembrava e che era detto. Ma nessuna “strana indifferenza”.


Era la notte tra l’1 e il 2 di novembre del 1975.
Pasolini era in giro per Roma. Aveva cenato con Ninetto Davoli e famiglia, al Pommidoro, poi era montato in macchina, forse in cerca di qualche avventura da dichiarato “frocio comunista”. Se ne parlava spesso: “quel frocio comunista di Pasolini”, si diceva. E la cosa era scomoda e strana, anche a sinistra. Anche nel Pci, che alla fine degli anni ’40, lo aveva scomunicato ritirandogli la tessera di partito ancora prima che un tribunale avesse il tempo di assolverlo per non aver commesso il fatto.


- Quale fatto?
- Come quale fatto? Violenza (omo)sessuale su minore!

Una storia sbagliata

E' una storia da dimenticare
e' una storia da non raccontare
e' una storia un po' complicata
e' una storia sbagliata.
Comincio' con la luna sul posto
e fini' con un fiume d'inchiostro
e' una storia un poco scontata
e' una storia sbagliata.
Storia diversa per gente normale
storia comune per gente speciale
cos'altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.

E' una storia di periferia
e' una storia da una botta e via
e' una storia sconclusionata
una storia sbagliata.
Una spiaggia ai piedi del letto
stazione Termini ai piedi del cuore
una notte un po' concitata
una notte sbagliata.
Notte diversa per gente normale
notte comune per gente speciale
cos'altro ti serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.

E' una storia vestita di nero
e' una storia da basso impero
e' una storia mica male insabbiata
e' una storia sbagliata.
E' una storia da carabinieri
e' una storia per parrucchieri
e' una storia un po' sputtanata
o e' una storia sbagliata.
Storia diversa per gente normale
storia comune per gente speciale
cos'altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.

Per il segno che c'e' rimasto
non ripeterci quanto ti spiace
non ci chiedere piu' come e' andata
tanto lo sai che e' una storia sbagliata
tanto lo sai che e' una storia sbagliata.

Sì, perchè un ragazzetto di Casarsa – il paese del Friuli nel quale era nata la madre di Pasolini – raccontò ad un pretino, in confessione, che era stato costretto dal poeta a prestazioni di tipo sessuale. Il pretino, alla faccia del segreto del confessionale, raccontò tutto ai genitori del ragazzetto, che denunciarono Pasolini, che fu preventivamente espulso dal Partito Comunista Italiano, che non aveva dunque neppure aspettato il primo grado di giudizio del processo, che si era poi concluso con la provata innocenza di Pasolini... che al mercato mio padre comprò.

Era la notte tra l’1 e il 2 di novembre del 1975, si diceva.
Pino Pelosi è un ragazzo di vita di diciassette anni che sta con un gruppo di amici suoi vicino ad un bar nei pressi della stazione Termini di Roma. Arriva uno e gli chiede se vuole fare un giro. O almeno questa è la versione ufficiale fornita da Pelosi. Lui accetta. Una cena. Una proposta. Una carezza. E si ritrovano all’idroscalo di Ostia.

Più o meno un paio d’ore più tardi Pier Paolo Pasolini è sullo sterrato di quell’idroscalo, con dieci costole spaccate, ematomi ed ecchimosi sparse lungo tutta la superficie del corpo ed il cuore spappolato.
Pino Pelosi invece è in carcere. Prima perchè reo-confesso del furto della macchina di Pasolini. Poi perchè reo-confesso del di lui omicidio.


Ma questa è storia, e la storia è scritta, detta e mostrata, anche piuttosto bene. Vedi Pasolini, un delitto italiano, di Marco Tullio Giordana, o Blu Notte di Carlo Lucarelli e della sua (vedi Morte di un poeta), o ancora Ombre sul giallo di Francesca Leosini (vedi Pasolini: l'ultima verità).

Noi non ne parleremo. Non andremo oltre. Ci limiteremo solo a dire che proprio nel corso della trasmissione della Leosini, Pino Pelosi ha raccontato di non aver aggredito Pier Paolo Pasolini a colpi di bastone (così come ha fatto intendere per trent’anni), ma di aver addirittura tentato di difenderlo dai tre aggressori “dall’accento del sud”, e non meglio di così identificati, che ridussero il poeta ad un grumo di sangue e fango.

“Ho mentito – ha dichiarato Pelosi - perchè gli aggressori mi dissero che si sarebbero vendicati sulla mia famiglia se avessi raccontato la verità”.

Ma già alla fine del processo, nell’aprile del ’76, non è che la storia di Pelosi avesse convinto proprio tutti! Già gli stessi avvocati della madre di Pasolini, che si era costituita parte civile nel processo, avevano ipotizzato (se non certificato) la presenza di almeno un’altro aggressore, “anzi – sosteneva l’avvocato Marazzita – Pelosi non ha affatto partecipato al pestaggio, che è stato dunque opera di altri”.

Intanto, Oriana Fallacci, che in quegli anni scriveva per L’Europeo, in una sua controinchiesta parlava di tre aggressori, e dichiarazioni di questo genere furono rilasciate anche a Furio Colombo, che scriveva invece per La Stampa, da un abitante delle baracche abusive dell’idroscalo.
Ma l’indagine fu archiviata, “anzi – spiega l’altro avvocato della famiglia Pasolini, Calvi – un’indagine vera e propria non ci fu”.

Nove anni, sette mesi, dieci giorni. E’ questa la pena alla quale fu condannato Giuseppe Pelosi come unico colpevole provato dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini, sebbene nella sentenza si parli chiaramente di “ignoti”. In ogni caso, però, qualcuno esige che non si proceda.


Dopo cinque anni circa, arriva De Andrè, uno che di certo non le manda a dire, e, assieme a Massimo Bubola, scrive una canzone che rievoca la tragica vicenda della morte di Pier Paolo Pasolini. La scrive su commissione, per un documentario di Rai2 sulla morte di Pasolini e di Wilma Montesi.

E come la intitola? Una storia sbagliata. E come mai?
De Andrè disse chiaramente, in un’intervista, che lo “sbaglio” di quella storia stava nel fatto stesso che fosse accaduta, ché una vicenda come quella non era ammissibile in una società civile come quella italiana avrebbe dovuto essere nel 1975.


De Andrè, nella solita intervista, non accenna apertamente alla fretta con la quale l’inchiesta fu archiviata, ma il testo della canzone reca una traccia chiara di quel dubbio sollevato anche da Marazzita-Calvi & Co. (e la Co. comprende pure gli avvocati dello stesso Pelosi, anch'essi convinti che, quella sera, all'idroscalo, ci fossero altre persone oltre alla vittima accertata e al carnefice ufficiale). Insomma, non sarà un caso se De Andrè canta di “una storia mica male insabbiata” e di “una storia da non raccontare”.

E c’è un altro riferimento (probabilmente): quello all’eventualità di un movente politico: “è una storia vestita di nero”.
D’altra parte, “quel frocio comunista di Pasolini”...
Ma questa è solo un’ipotesi, direbbe Lucarelli.


Pennellate. Questa canzone è una serie di impressioni sul tempo di quella notte e su quello di una vita intera, macchiata da quell’onta indelebile dell’omosessualità. E così che De Andrè racconta di “una storia di periferia”, di “una storia da una botta e via”, di una “storia diversa per gente normale”, e di una “storia comune per gente speciale”.

Una serie di pennellate che sfiorano anche quel “fiume di inchiostro” nel quale la storia terminò, trasformandosi per questo, dice il cantautore, in un succulento boccone per le riviste patinate da leggersi dal parrucchiere.


Una serie di pennellate su quanto si è detto, si poteva dire, e forse non si dirà. Su Pasolini, sulla sua storia, sulla sua morte violenta. Su quanto De Andrè lascia solo assaporare, quasi implorando l’ingiusto e rassegnato silenzio di chi vorrebbe sapere, per giustificare l’impotente e definitivo silenzio di chi non può dire. E per questo conclude: “non ci chiedere più come è andata, tanto lo sai che è una storia sbagliata”.

[Dario Coriale]







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